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Fonti rinnovabili, i “fissati” non siamo solo noi

fonti rinnovabili

 

L’articolo “Noi fissati con l’elettrico e contro l’idrogeno” ha scatenato un putiferio di commenti. Non meno polemiche hanno suscitato articoli precedenti, sempre sui temi energetici generali, come le prese di posizione di Francesco Starace (Enel) su nucleare e rinnovabili  o quelle di Davide Tabarelli (Nomisma Energia) sul caro gas. Ogni volta che si parla di elettricità green e fonti rinnovabili, insomma, spunta il commentatore di turno che dice: impossibile, è solo un’invenzione dei politicanti europei.

Eppure gli scienziati che hanno studiato ogni forma di energia per una vita e importanti operatori di mercato si sgolano per dimostrare che un mondo a impatto zero è assolutamente realizzabile (vedi Nicola Armaroli o Agostino Re Rebaudengo). Ecco per esempio cosa ha detto l’altro ieri alla rivista “Scienza in Rete” il top scientist della Stanford University Mark Z. Jacobson.

Uno studio della Stanford University

Jacobson è professore di ingegneria civile e ambientale, direttore del Programma Atmosfera/Energia dell’Università di Stanford e fra gli ispiratori del Green New Deal statunitense. Recentemente ha pubblicato uno studio su 145 Paesi per verificare se avessero potenzialità di soddisfare l’intero fabbisogno energetico con le sole fonti rinnovabili (eolico, fotovoltaico, idroelettrico) abbinate a sistemi di accumulo (qui il testo). E ha concluso che sì, è possibile arrivarci per il 2050, senza rischi di blackout e senza ricorrere alla panacea dell’energia nucleare.

Grandi investimenti, ma in sei anni si ripagherebbero

La transizione richiederebbe investimenti molto ingenti, ma si ripagherebbe in sei anni. E genererebbe 28 milioni di posti di lavoro in più di quelli che verrebbero eliminati. Che ci crediate o no, queste sono le sue dichiarazioni.

Premessa: il problema delle fonti rinnovabili è l’intermittenza (giorno-notte e copertura nuvolosa per il fotovoltaico, assenza di venti per l’eolico, siccità per l’idrico). Vero, ammette Jacobson. Ma anche le fonti fossili e il nucleare non funzionano sempre e richiedono perciò una capacità di backup. Causa manutenzione, per esempio, alla Francia manca attualmente il 30% delle sua capacità nucleare. E periodicamente devono fermarsi anche le centrali termoelettriche a gas o a carbone. «L’intermittenza con queste tecnologie è meno frequente _ dice Jacobson _ ma i periodi di disattivazione sono molto più lunghi. Eolico e fotovoltaico necessitano invece di meno manutenzione».

Un sistema elettrico basato su fonti fossili e nucleare concilia la domanda di energia che è fluttuante con l’offerta, che è variabile a causa di guasti e manutenzione, con centrali a gas e idroelettrico, fonti rapidamente attivabili e disattivabili.

Reti condivise e l’intermittenza non è più il problema

Ma l’idroelettrico è parte integrante del sistema rinnovabile; ed eliminando il gas subentrerebbero gli stoccaggi a batterie, a concentrazione solare, accumulatori di energia ad aria compressa o gravitazionale, e batterie a volano.

Le fonti rinnovabili sono intermittenti, sottolinea Jacobson, ma sempre più prevedibili grazie ai progressi della metereologia.

Stimare la quantità di energia ottenibile da eolico e solare in ogni punto del globo è abbastanza facile. E quando gli impianti sono collocati  in aree geograficamente disperse, collegate tra di loro, si può armonizzare facilmente l’offerta totale. In sostanza, più ampia è l’area geografica interconnessa, tanto più facile sarà garantire la copertura del fabbisogno.

L’Europa, che si estende su più meridiani e più paralleli, quindi con una varietà di longitudini e latitudini abbastanza ampia, non avrebbe difficoltà ad armonizzare domanda e offerta se collegata in una unica rete elettrica.

I casi virtuosi, dalla Grecia alla Norvegia

Ma gli studi condotti dalla Stanford University dimostrano che anche singoli Paesi possono raggiungere l’obiettivo dell’elettricità 100% green. Poche settimane fa, per esempio, la Grecia è stata al 100% rinnovabile per alcune ore. Altrettanto è accaduto più volte quest’anno in Portogallo.

Ancor più vicine all’obiettivo sono Norvegia, Austria e Danimarca che nel cumulato dei primi sei mesi di quest’anno hanno raggiunto rispettivamente il 99%, l’80% e il 77% di generazione elettrica da fonti rinnovabili.

Ma, in prospettiva, le sfide da vincere sono due e vanno affrontate in parallelo. Da un lato, come abbiamo visto, realizzare un sistema elettrico completamente svincolato dalle fonti fossili. Dall’altro decarbonizzare ed elettrificare la totalità, o quasi, dei consumi energetici. Dai trasporti alle residenze, dall’industria ad alto impiego di calore  alle macchine da lavoro.

Questo implicherà un raddoppio della capacità di generazione elettrica da fonti rinnnovabili, sia nell’utilizzo diretto, sia nella produzione di idrogeno verde da elettrolisi per i settori che non si possono elettrificare; per esempio l’aviazione a lungo raggio.

Due step per la decarbonizzazione totale

Jacobson ipotizza due step. Il primo prevede che l’80% della transizione alla generazione elettrica da fonti rinnovabili avvenga entro il 2030, con un moderato incremento dell’elettrificazione nel sistema energetico complessivo.

Il secondo step per coprire il restante 20% del percorso verso la decarbonizzazione è altrettanto impegnativo perchè comporta anche l’ accelerazione del processo di elettrificazione, quindi un forte aumento della domanda di elettricità. Per lo scienziato americano si può compiere in 5 anni, quindi entro il 2035, con un grande sforzo economico e con le tecnologie esistenti, ma con il vantaggio di contribuire da subito al riequilibrio delle emissioni e alla stabilizzazione del clima. Oppure in 20 anni, entro il 2050, diluendo gli investimenti e potendo presumibilmente contare su nuove tecnologie, più efficienti.

Ma, fa notare Jacobson, «i combustibili fossili causano molto inquinamento atmosferico. Ogni anno, nel mondo, sette milioni di persone muoiono a causa dell’inquinamento atmosferico (indoor e outdoor)». Anche per questo «sì, sarebbe meglio una transizione al 2035. Il 2050 è solo nel caso in cui non sia possibile prima».

A giorni si aprirà in Egitto il 27essimo summit della Conferenza delle Parti (Cop) dell’ONU. Ma i governi dei 196 Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi sono più che mai divisi sulle azioni da intraprendere. E la guerra in Ucraina, per molti versi una guerra dell’energia, non aiuta a riavvicinarli. Jacobson, però, pensa che  «i costi delle rinnovabili stanno scendendo così tanto che, anche se i governi non sono disposti a fare dei cambiamenti, le aziende li stanno facendo».

Pollice verso invece per il nucleare,  che richiede fra 15 e 21 anni tra progettazione ed entrata in produzione, costa 16 volte di più del solare e dell’eolico in termini di capitale investito e «produce energia a un costo livellato circa 7-8 volte superiore». Senza contare i rischi, che non sono tanto quelli di incidenti, bensì di sabotaggi o ritorsioni militari come sta avvenendo nella centrale ucraina di Zaporizhzhia.

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