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Perché si muove? Parliamo di attrito

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Perché un’auto si muove, e perché non si muove, per esempio sul ghiaccio? Facciamo la conoscenza di un amico-nemico, poco noto e poco stimato, ma senza il quale non potremmo usare nessuno dei nostri usuali mezzi terrestri, che siano bici, autobus o supercar: l’attrito.

 di Vittorio Milani

Cosa permette alla nostra auto di muoversi? Ovvio, si dirà, il motore (termico o elettrico che sia).  Ma immaginate l’auto ferma su una pista di ghiaccio: la vostra cara macchina resterà lì inchiodata, con motore e ruote che girano a vuoto. Per muoversi ha bisogno di un alleato fondamentale: l’attrito.

L’attrito come un giano bifronte: all’inizio è la forza

L’attrito è fondamentale per stare al mondo. È indispensabile per compiere un gesto così essenziale come il camminare. Quando usiamo la nostra auto ci permette di accelerare, curvare seguendo la strada di frenare quando serve.

Un amico cui dobbiamo molto, che però, quando le cose sembrano funzionare al meglio, ti presenta un conto salato: la grande quantità di energia che si divora trasformandola in calore inutilizzabile: uno spreco totale del quale faremmo volentieri a meno. Ma in fondo non si può avere tutto nella vita.

Prima di arrivare alla ruota che gira, partiamo da un concetto fondamentale: la forza. Un corpo con una massa e in stato di quiete (come la nostra automobile ferma al semaforo) per iniziare a muoversi e proseguire nell’accelerazione ha bisogno di una forza esterna, ovvero una forza applicata da fuori.  La seconda legge della dinamica lo spiega in modo chiaro e semplice quanto ci dice che:

F = m * a

dove:
m = massa in kg
a = accelerazione (cioè aumento della velocità, che si misura in metri / secondo2)

Possiamo scriverla anche così:

a = F / m.

Quest’ultima espressione ci dice che è possibile imprimere un’accelerazione ad una massa solo se su di essa agisce una forza.  Quindi, se non agisce alcuna forza, il corpo resta fermo o permane nel suo stato di moto rettilineo uniforme (pensate ad un asteroide nello spazio lontano da corpi celesti che possano agire attraverso la gravitazione).

Dalla forza del motore al movimento, grazie all’attrito

Veniamo alla nostra auto che vogliamo muovere.  È importante sottolineare il concetto di forza “ESTERNA”: se spingete con una certa forza un’auto da dietro riuscirete, a fatica, a muoverla. Se invece la spingete stando all’INTERNO (cioè con voi stessi come parte del sistema che stiamo considerando), ad esempio stando seduti al volante e spingendo il parabrezza davanti a voi, potete metterci tutta la forza che volete ma non si muoverà di un millimetro.  Quindi se l’auto si muove significa che su di essa una forza esterna è applicata da qualche parte.

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Ora togliamo l’uomo che spinge da dietro e chiediamoci: qual è l’unico punto di contatto dell’auto con il mondo esterno?  Esatto, è quel piccolo spazio di pochi centimetri quadrati dove le ruote motrici appoggiano sull’asfalto.  È in quella piccola superficie che agisce l’attrito (quello buono), più precisamente la forza di attrito perché si tratta a tutti gli effetti di una forza, che si palesa però solo come reazione ad una forza “motrice”.

Vediamo di collegare bene tutte le cose. Il motore genera una coppia (che è come dire una forza) che, passando attraverso la trasmissione, raggiunge le ruote motrici. Se l’auto fosse sollevata sul ponte dal meccanico o su una pista di ghiaccio le ruote inizierebbero a girare all’impazzata a vuoto non incontrando alcuna resistenza. Se invece l’auto è ben appoggiata su di una superficie ruvida, qual è l’asfalto delle strade, appena una ruota cerca di girare incontra una resistenza molto consistente: la forza di attrito RADENTE.

Nota: l’unità di misura della forza è il Newon (N).

Come dicevamo, la ruota, sottoposta alla coppia motrice del motore vorrebbe girare liberamente (come sul ghiaccio) ma è “bloccata” dalla forza di attrito Fa, che agisce nel punto di contatto con la strada, e che la costringe ad entrare nel cosiddetto regime di puro rotolamento.  Questo vuol dire che il punto di contatto in ogni istante resta fermo e il resto della ruota “trasla” mentre gira per effetto della coppia motrice.

Tutto si gioca in pochi centimetri, fra l’asfalto e la ruota

Esaminiamo in dettaglio questa forza di attrito Fa. La formula che la esprime è la seguente:

dove:
μ = il coefficiente di attrito (dipende solo dal tipo di superfici in contatto)
m = massa che grava sulla ruota in kg
g = accelerazione di gravità (9,81 m/sec2)

Nota: a volte al posto di m*g troviamo P, ovvero il peso che comunemente esprimiamo in Kg omettendo g; in realtà P è una forza , quindi si esprime in N (Newton). Per capirci, quindi una bottiglia d’acqua di un litro non pesa un chilo ma 9,81 Newton. Quindi potremmo scrive P intendendolo sempre m * g.

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Cerchiamo di capire cosa ci dice questa formula:

  1. il coefficiente di attrito μ (si pronuncia “mu”) dipende esclusivamente dalle caratteristiche dei due materiali a contatto, (alla fine dell’articolo pubblichiamo una tabella con i valori di alcuni casi significativi): più il valore è alto e maggiore sarà la forza di attrito (vedi tabella in fondo alla fine dell’articolo con i valori di alcune superfici)
  2. Se cresce il valore della massa (o il peso, se preferite) la forza di attrito aumenta in proporzione
  3. l’unica condizione che permette all’auto di accelerare senza slittare è che la forza Fa che arriva dal motore sia minore o uguale alla forza di attrito Fa, cioè deve essere

Solo se è rispettata questa disuguaglianza si instaura il moto molto vicino al  rotolamento puro, quello che comunemente avviene quando l’auto viaggia in condizioni normali. Se invece diamo troppo gas, con un’auto molto potente o siamo in condizioni di aderenza ridotta – come quando piove o nevica- allora può accadere che Fm superi Fa in quanto diminuisce il valore coefficiente di attrito μ.  In questo caso la ruota perde la condizione di rotolamento puro e subentra lo strisciamento: le ruote iniziano a slittare e non si riesce più ad avanzare.

Tre domane e tre risposte sulla forza d’attrito

Guardando questa formula e possiamo porci le seguenti domande:

    • Immaginiamo di avere un’auto con tutta la coppia che vogliamo (ovvero potentissima). È giusto dire che maggiore è il valore di attrito μ e maggiore sarà l’accelerazione massima ottenibile? GIUSTO
    • È giusto dire che più il mezzo è pesante e maggiore sarà la forza di attrito Fa che si oppone allo slittamento: GIUSTO
    • Allora maggiore sarà il peso e tanto maggiore sarà l’accelerazione massima sopportabile prima che inizi lo slittamento! SBAGLIATO, perché se è vero che aumenta il valore di Fa è altrettanto vero che aumentando la massa che deve essere spostata l’accelerazione dinamica ne risente secondo la legge della dinamica a = F/m.  In pratica la stessa massa che aiuta a non far slittare il veicolo è la stessa che ne rallenta l’accelerazione. In condizioni normali (asfalto asciutto) le auto di F1 sono leggere, eppure schizzano come fulmini perché hanno pneumatici ad altissimo coefficiente di attrito (superiore a 1 con gli slick) e una coppia motrice esagerata al punto da dover essere dosata per evitare il pattinamento in partenza o a bassa velocità (*). All’opposto un camion carico accelera lentamente perché, pur stando lontano dal limite di slittamento grazie al peso, la sua pur poderosa spinta è rallentata dalla massa stessa.

Questo è il motivo per cui il limite fisico al valore dell’accelerazione di un’auto, leggera o pesante che sia, è imposto unicamente dal coefficiente di attrito, che sua volta dipende dalle caratteristiche dei due materiali a contatto.

(*) di coppia del motore, alle ruote e cambio abbiamo parlato nel precedente articolo.

 L’auto aumenta la velocità, e arrivano gli attriti “cattivi”

Arriviamo alla faccia cattiva del nostro Giano bifronte. Premesso che tutti i concetti esposti sono riferiti ad un’auto che si trovi in piano (per evitare di aggiungere elementi che complicano le cose), ci si potrebbe chiedere perché un’auto spinta non continui ad accelerare, visto che il motore continua a fornire spinta e a consumare energia, energia che da qualche parte deve pur finire visto che l’energia “nulla la crea e nulla la distrugge”.

In altre parole, ci chiediamo perché, ad esempio, un razzo nello spazio continua ad accelerare finché il motore non si spegne, trasformando l’energia del carburante in energia cinetica associata alla velocità del razzo stesso (e dei gas espulsi, per essere pignoli) mentre un’auto accelera fino a raggiungere presto una sua velocità limite, ovvero la sua velocità massima. Limite che caratterizza ogni auto, che sia la Panda del nonno o una Bugatti Veyron.  Dove finisce l’energia “bruciata”? Chi se l’è rubata?

Dal mondo della forza al mondo del lavoro

Lasciamo un minimo di suspence prima di rispondere e dare il nome del colpevole,  e chiariamo una cosa importante. Finora abbiamo parlato di forze, ma le forze da sole non producono “lavoro”, ovvero energia (lavoro = energia). Una forza che rimane lì ferma non produce lavoro e di energia non se ne parla.  Ma quando la forza si muove ecco che magicamente entriamo “nel mondo del lavoro”, o se preferite nel regno dell’energia. Il lavoro nasce quando la forza F si sposta:

L = F * S

dove S è lo spostamento (in metri). L’unità di misura del lavoro (e dell’energia) è il “Joule”

Ad esempio, se tenete ferma una valigia in mano avvertirete una certa fatica perché il corpo deve tenere in tensione i muscoli (non siamo stati progettati dalla natura per stare fermi in mezzo alla savana tenendo una valigia in mano).  Tant’è che qualcuno, che ha pena nel vedervi in quello stato, potrebbe benissimo portarvi un tavolino della stessa altezza della base della valigia dove appoggiare la valigia: fine della fatica, fine della forza del vostro braccio e la valigia è rimasta lì dove era prima.  Zero lavoro e zero energia in gioco.

Se per esempio con una valigia…

Ma immaginate di dover alzare la valigia, ad esempio per metterla nell’armadio, alzandola fino ad una certa altezza: in questo caso dovete compiere un lavoro perché la forza-peso della valigia deve compiere un percorso; quindi, vale la formula appena vista L = P *S, dove P è forza peso della valigia.

Nel nostro caso la forza richiesta per sollevare la valigia vale : P = M*g.  Ma cosa succederebbe se non ci fosse la gravità, che genera la forza peso, e noi continuassimo ad applicare una forza, cioè a sollevarla?

Immaginiamo di mettere la nostra valigia su una pista di ghiaccio e di iniziare a spingerla con una forza F. Abbiamo eliminato la gravità perché stiamo su un piano (non la solleviamo). Quello che succede è chiaro, la valigia accelera seconda la nota legge a = F / m.  Se noi continuiamo a spingere con questa forza correndogli dietro come pazzi la valigia continuerà ad accelerare finché non la smettiamo di applicare questa forza.

Quindi capiamo bene che ogni secondo che passa la forza F ha dovuto percorrere uno spazio S maggiore perché va sempre più veloce, e ricordando che L = F * S è altrettanto chiaro che cresce l’energia che dobbiamo trasferire alla valigia in ogni secondo.

L’energia che produciamo in ogni secondo si chiama potenza, e in formule si scrive

P = F * v

L’unità di misura della potenza è il “Watt”

Questo spiega perché ad un certo punto non ce la facciamo più a spingere la valigia correndogli dietro: è richiesta troppa energia.

Rimettiamoci in auto e torniamo alle forze di attrito

Fatte queste importanti premesse torniamo alle forze di attrito “cattive” che si oppongono all’avanzamento della nostra auto.

attrito

Ora siamo in grado di capire cosa succede alla nostra auto e perché non continua ad accelerare all’infinito. Un’auto si muove perché, come abbiamo visto, la forza di attrito Fa si genera per effetto della forza di spinta del motore che arriva alle ruote. Ma muovendosi l’auto genera delle forze di attrito che abbiamo definito cattive perché si oppongono al moto. Sostanzialmente abbiamo due tipi di forze:

Rm = Forza di resistenza per attriti meccanici; è causata dalla somma degli attriti dei vari organi del motore, della trasmissione e anche dall’attrito volvente delle ruote (che qua non esaminiamo). È una forza che possiamo considerare costante e dipende dalle caratteristiche fisiche del mezzo.
La sua forma è:
Rm = A   dove A è una costante

Ra = forza freno aerodinamico: è causata dell’attrito viscoso causato dalle molecole dell’aria che investono una superficie solida.  L’intensità dipende dalla forma del veicolo (il famoso CX),  e cresce con il quadrato della velocità.
La sua forma è:
Ra = B * v2 dove B è una costante che integra il CX e i fattori dimensionali

Se facciamo la somma vettoriale (quindi considerando la direzione) di tutte queste forze e abbiamo la forza risultante F che agisce sul veicolo:

F = Fa – Rm – Ra

Fa è la forza che spinge la macchina e, come abbiamo visto, deriva dalla coppia che arriva alle ruote messa a terra grazie all’attrito. Ricordando la solita formula della dinamica che lega forza e accelerazione abbiamo che l’accelerazione vale

a = F / (mg) 

Tante forze in equilibrio: la velocità massima

Finché il valore di F è positivo (maggiore di zero) l’auto continuerà ad accelerare. Ma crescendo la velocità crescerà anche la forza di attrito aerodinamica in quando questa è una forza che cresce con la velocità (addirittura con il quadrato della velocità). Raggiunta una certa velocità la somma delle forze resistenti sarà uguale alla forza motrice Ra. A quel punto la forza risultante F si azzera e l’auto non accelera più.

Tuttavia anche l’attrito aerodinamico non cresce più perché non cresce più la velocità, quindi il risultato è una condizione di equilibrio dove la velocità si stabilizza ad un limite, la velocità massima.  Tutto ciò vale sia che abbiamo il piede a tavoletta sia tenendolo premuto in modo parziale. In questo secondo caso questo l’equilibrio si raggiungerà ad una velocità inferiore perché la forza che spinge è minore.

 

Ma, ci chiedevamo, l’energia che arriva dal carburate (o dalla batteria) quando la macchina non accelera più e procede a velocità costante in piano, dove finisce?

L’insostenibile leggerezza dell’aria

Quando l’auto non accelera più significa che la forza motrice richiesta è esattamente quella che serve per vincere le forze degli attriti e impedirne che queste inizino a frenare l’auto (accelerazione negativa). Se rilasciamo il gas l’auto rallenta e dopo un po’ si ferma. La potenza del motore, quindi, finisce per essere utilizzata per “vincere” la potenza delle forze di attrito, che sono anch’esse forze che si spostano a tutti gli effetti, producono lavoro e quindi potenza secondo la formula vista P = R * v, avendo indicato con R la somma delle forze d’attrito resistenti (perché si oppongono al moto).

Possiamo dunque riscrivere la formula della potenza complessiva con tutte le forze in gioco:

P = (Fa – Rm – Ra ) * v

ovvero 

P = Pa – Pm – Pa

dove:
Pa = Fa * v     è la potenza che arriva dal motore che spinge l’auto
Pm = Rm * v     è la potenza sviluppata dagli attriti meccanici
Pa = Ra * v       è la potenza sviluppata dalla resistenza dell’aria

Quando tutta l’energia diventa solo calore

Se eliminassimo le due forze di attrito avremmo una potenza che, teoricamente, andrebbe tutta ad accelerare la vettura senza alcuno spreco energetico (come nei razzi). Se immaginiamo una Panda che viaggia su un’autostrada lunare (dove non c’è atmosfera che frena) potremmo vederla sfrecciare a velocità impensabili, sarebbe sufficiente dotarla di un cambio con marce lunghissime. Ovviamente è presumibile che scoppino gli pneumatici abbastanza presto, o salti qualche altro pezzo meccanico…

attrito

Quindi rispondiamo alla domanda che avevamo lasciato in sospeso: “dove finisce l’energia che consumiamo procedendo velocità costante tipo a 130 km/h in autostrada?”  

La risposta è triste: raggiunta la velocità limite questa energia è esattamente la potenza prodotta dalle forze d’attrito e finisce convertita in calore che, secondo dopo secondo, viene dissipato nell’ambiente.

E le elettriche? Hanno un asso nella manica, la rigenerazione

Una nota finale: non abbiamo mai fatto riferimento alla tipologia di motorizzazione, elettrica o endotermica, perché tutto quanto scritto vale per entrambe.  Le elettriche, però, hanno un asso nella manica nella guerra contro gli attriti “spreconi”: la rigenerazione. Ma questa è un’altra storia, ne parleremo.

Riassumendo:

  • Un veicolo su ruote si muove grazie all’attrito gomma-asfalto che genera una forza di reazione alla forza motrice nella direzione del moto (attrito radente) che instaura il “regime di rotolamento”
  • Questo attrito è una forza a tutti gli effetti che dipende dal coefficiente μ caratteristico solo dei materiali a contatto
  • Se la forza motrice che spinge l’auto supera in un certo istante la forza di attrito radente le ruote iniziano a slittare e si perde il rotolamento, con spreco di energia
  • Quando si muove, un’auto è soggetta a due forze di attrito resistenti: la forza di attrito meccanico (costante) e la forza di attrito aerodinamico che invece cresce con il quadrato della velocità
  • Con l’aumentare della velocità cresce rapidamente la forza della resistenza aerodinamica fino al punto che (unitamente alla forza di attrito meccanico) raggiunge il valore della forza motrice: a questo punto l’auto non accelera più e raggiunge uno stato di equilibrio, ovvero la velocità massima
  • Alla velocità massima la potenza (cioè l’energia espressa in un secondo) generata dalle forze in gioco è interamente consumata dagli attriti che la convertono in calore dissipato e non più per accelerare il veicolo.

Ingegnere, già dirigente d’azienda in ambito multinazionale automotive e non solo, ora consulente aziendale.  Appassionato della prima ora ai temi della mobilità elettrica e della transizione energetica, ultimamente si cimenta come divulgatore per le cose che un po’ conosce. Crede nella tecnologia perché non crederci è peggio.

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3 COMMENTI

  1. Ing. Milani, lei è un bravissimo divulgatore: a parte i contenuti, interessantissimi, è la forma e il linguaggio che sono veramente chiari, semplificati quanto basta ed esposti con un linguaggio accattivante e che non intimorisce.

    Venendo al contenuto, peccato non abbia trattato l’attrito volvente, che non è trascurabile: il consumo cambia notevolmente in presenza di pneumatico sgonfio (massima deformazione) o pneumatico ad altissima pressione (quindi vicino all’indeformabile). Le Tesla hanno come pressione di gonfiaggio standard 2.9 bar, ad esempio. Un pneumatico sgonfio si surriscalderà molto a differenza di uno particolarmente gonfio, proprio a causa degli attriti. Immagino che sia una scelta per non complicare ulteriormente le formule, dando per scontato che si circoli con gli pneumatici gonfiati alla pressione prescritta.

    • Grazie per l’apprezzamento. Non ho introdotto l’argomento dell’attrito volvente perché il piatto era abbastanza ricco e non volevo creare confusione con l’attrito radente. In ogni caso l’effetto di questo tipo di attrito è compreso nella formula generica che comprende tutte le varie forze di attrito meccanico che, in prima approssimazione, possono essere considerate costanti. Mi interessava evidenziare la differenza con la forza di attrito aerodinamico, che invece cresce il quadrato della velocità.

  2. C’è dell’energia”nascosta” nell’attrito a terra . perché qualcuno non prova a misurarla e soprattutto a trasformarla?
    Raffaele

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