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Dalle celle alle batterie: grande è la confusione sotto il cielo

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Dalle celle alle batterie, grande è la confusione sotto il cielo. Con l’aiuto dell’ing. Milani vediamo allora di fare chiarezza, in due puntate,  sui principi base della fisica e della chimica degli accumulatori che alimentano i motori elettrici delle moderne auto elettriche.  Ecco la prima.

 di Vittorio Milani

“Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente”. La famosa massima attribuita a Mao Tse Tung rende bene l’idea di quello che sembra stia succedendo a livello globale nel campo delle batterie per auto elettriche.

Ogni giorno siamo raggiunti da titoli che annunciano la novità clamorosa “in arrivo sul mercato” che rappresenterà la svolta tanto agognata, poi leggiamo di una nuova Gigafactory che sta per essere aperta qua piuttosto che là, ma però forse, ma forse anche no. Per non dire del “nuovo modello in uscita”, finalmente con capacità di mille-mila km di autonomia, e così le auto termiche sono servite.  

L’informazione in questo settore sembra una giostra impazzita. In realtà, dall’industria del settore le innovazioni arrivano eccome, ma quasi sempre senza troppo clamore. Enormi investimenti spingono la ricerca su vari fronti, a volte dando sì l’impressione di inseguire la “killer application”.

Ma più concretamente con continui miglioramenti, magari apparentemente marginali, che però messi insieme rappresentano sostanziali passi avanti in termini di prestazioni, sicurezza, riduzione dei costi e, ultimo ma non meno importante, scompaginano le carte in tavola a livello geopolitico sostituendo materie prime critiche per alcuni aspetti, con altre, che magari lo sono ma per altri motivi.  

Il tutto in un teatro di guerra commerciale che vede un po’ tutti contro tutti. Insomma, un pentolone in ebollizione. Vi proponiamo due articoli per spiegare i concetti tecnici che riteniamo importanti per districarsi in questa sorta di giungla.   

 Perché si chiamano batterie

Se cerchiamo “batteria” in un dizionario troviamo qualcosa di simile a: “Unità fondamentale dell’artiglieria: consta di quattro o più bocche da fuoco”.

Il termine “batteria”, dunque, rimanda a qualcosa composto da più unità che, raggruppate in un certo modo coordinato, formano un’entità più complessa in grado di svolgere funzioni superiori rispetto a quelle delle singole unità prese da sole. Quindi “batteria di cannoni” è diverso che dire un “gruppo di cannoni” o “qualche cannone”.

Nel caso delle batterie per auto vale lo stesso concetto se sostituiamo “cannone” con “cella elettrochimica”. La nostra batteria (elettrica) diventa quindi un insieme organizzato di celle.

Se le cose stanno così, dobbiamo prima di tutto comprendere qualcosa di queste celle, e poi vedere come si “organizzano” per dare vita alle nostre batterie per autotrazione.

 Al principio c’è la cella: guardiamola da fuori

Dalle celle alle batterie/La “mitica” cella 4680 di Tesla

Avviso agli elettro-naviganti: no panic!  Non abbiamo nessuna intenzione di entrare nel dettaglio del funzionamento chimico-fisico, faccenda assai complessa. Guarderemo la cella solo da fuori, da una certa distanza e con cautela, perché ci interessa vedere cosa fa più che come è fatta. Faremo sempre riferimento alle celle agli ioni di litio, quelle utilizzate (in diverse varianti) nelle batterie della auto elettriche.

In estrema sintesi, una cella elettrochimica è un dispositivo in grado di convertire energia elettrica in energia chimica con lo scopo primario di immagazzinarla e rilasciarla quando richiesto. È costituita da due elettrodi, uno negativo (catodo) e uno positivo (anodo), immersi in un elettrolita con un elemento separatore nel mezzo.

Il separatore consente il trasferimento interno degli atomi di ioni di litio (*) tra i due elettrodi (in un verso o nell’altro a seconda che si tratti carica o scarica) ma blocca gli elettroni costringendoli a fare il giro lungo per un circuito esterno per ricongiungersi con i loro ioni; questo flusso esterno rappresenta la corrente elettrica, ovvero la cosa che più ci interessa. Non andiamo oltre nelle spiegazioni.

(*) uno ione è un atomo che ha guadagnato o perso uno o più elettroni, assumendo una carica negativa o positiva.

 Le grandezze elettriche fondamentali di una cella

celle batterie

celle batterie
Dalle celle alle batterie/I tre tipi di celle più diffuse in autotrazione

Dal punto di vista fisico le celle si presentano normalmente in tre forme differenti, qui a fianco illustrate: Cilindriche, Puoch e Prismatiche. Le dimensioni sono molto variabili.

Dal punto di vista elettrico una cella è caratterizzata da tre grandezze fisiche, che sono sempre riportate sull’involucro:

  • Tensione V: si misura in volt. La tensione rappresenta la “forza” che spinge le cariche elettriche. La tensione di una singola cella è una proprietà intrinseca e dipende solo dalla tecnologia con cui è realizzata (ad esempio per quasi tutti i tipi di celle agli ioni di litio è 3,7 volt).
  • Capacità C: si misura in Ah (o mAh, cioè un millesimo): è la quantità di carica elettrica che la cella può contenere. È espressa, in modo indiretto, come l’intensità di corrente che la cella può erogare in un’ora prima di esaurirsi.  Il suo valore dipende sia dalla tecnologia sia dalla dimensione della cella stessa, più è grande e più sarà capiente.
  • Energia E: si misura in Wh (wattora). Rappresenta l’energia massima che la cella può trattenere. Questo valore dipende direttamente dai primi due.

Soffermiamoci sull’ultimo punto, l’energia, perché ci porta dritti al primo importante concetto che riguarda le “misure elettriche”: energia e capacità sono due cose diverse, e sono legate da una relazione fondamentale da fissare a memoria:

Energia = Capacità x Tensione

Questa espressione ci dice che senza una tensione la carica elettrica è come “morta”, non è in grado di trasformarsi in energia.  Per fare un paragone idraulico, è come avere un serbatoio pieno d’acqua posato per terra e uno identico a 10 metri di altezza: solo da quest’ultimo riuscirei ad avere un getto d’acqua sfruttabile energeticamente, grazie alla pressione dovuta alla differenza di altezza (la tensione, non per niente si chiama anche differenza di potenziale).

Purtroppo, il genio maligno della confusione è sempre al lavoro e spesso ci fa ingarbugliare sui termini capacità ed energia. Quando diciamo che la batteria di una certa BEV ha una capacità di 70 kWh in realtà intendiamo l’energia che può contenere.

Vediamo un esempio concreto osservando l’etichetta di una vera cella agli ioni di litio.

celle batterie

Leggiamo:

Tensione V: 3,7

Capacità C: 2600 mAh

Energia E: 9,62 Wh

Verifichiamo il valore dell’energia (trasformando i mAh in Ah) e applichiamo la formula E  =  C * V:

E = 3,7 * 2,6 = 9,62 Wh

Esattamente come indicato! Quindi fissiamo un altro concetto:

Si usa spesso il termine “capacità” di una batteria, intendendo in realtà è l’energia che può contenere. Infatti il “kWh” è una misura di energia.

Cos’è la corrente? Abbiamo visto che una cella è un contenitore di cariche elettriche, e che per misurare il valore di tale carica si usa l’Ah (ampere-ora). Come già detto, l’ampere, da solo, misura l’intensità di corrente, che possiamo immaginare come la misura di quanti elettroni transitano al secondo, mentre la cella può essere vista come il recipiente che contiene questi elettroni. Quindi:

A =(ampere) : misura l’intensità di corrente

Ah =(ampere-ora ) : misura la quantità di carica elettrica. Un Ah equivale ad un flusso di un ampere che scorre per un’ora.

Quindi, se moltiplichiamo gli ampere per il tempo (A*t) otteniamo la quantità di carica che entra o esce dal recipiente. Per capirci: se ho una cella con una capacità di 10 Ah (Ampere-ora) possono succedere le seguenti cose:

  • La scarico in modo molto tranquillo con una corrente di 2A. La cella impiegherà 10/2 = 5 ore per scaricarsi
  • La scarico in modo normale (o nominale) con una corrente di 10A. La cella impiegherà 10/10 = 1 ora per scaricarsi
  • La scarico in modo esagerato con una corrente di 50A. La cella impiegherà 10/50 = 0,2 ore (12 minuti) per scaricarsi.

Dalla piccola cella alla grande batteria

A questo punto sappiamo alcune cose importanti della cella: è piuttosto piccola (ma non sempre), lavora a 3,7 volt (quelle al litio), e la sua capacità dipende dalle dimensioni.

Della batteria sono note alcune cose perché se ne parla sempre: ad esempio che una tipica batteria di una BEV lavora intorno ai 400V e ha una “capacità” (che in realtà è una energia!) tipica di 50-70 kWh e anche oltre per i modelli top.

Vediamo ora come si passa dalla cella alla batteria, che, come dicevamo a proposito dei cannoni, è un insieme “organizzato” di singole unità, le nostre celle. Questa organizzazione si realizza collegando opportunamente gruppi di celle ma sempre sulla base due possibili schemi di base: il collegamento in serie e quello in parallelo.

Collegamento in SERIE. Se le celle si collegano tra loro con i poli opposti (negativo con positivo della successiva).  La tensione finale del gruppo sarà pari alla somma della tensione di ciascuna. Quindi, come si vede in figura, collegando in serie 4 celle da 1,5 V si ottiene una “batteria” da 6V, la capacità resta le stessa della singola cella.

 

celle batterie
Collegamento in serie di 4 celle da 1,5 V: la tensione si somma, la capacità non cambia

 Collegamento in PARALLELO.  Per aumentare la capacità si mettono le celle in parallelo, ovvero collegate tutte con lo stesso polo. Le celle raggruppate in parallelo diventano un’unica cella con capacità pari alla somma della capacità della singola cella. La tensione invece resta costante, nel nostro esempio 1,5 V.

Collegamento in parallelo di 4 celle da 1,5 V: la tensione non cambia mentre la capacità si somma

Quindi possiamo realizzare una batteria con le caratteristiche desiderate in termini di tensione e capacità combinando a piacere più gruppi di celle in serie e in parallelo, ad esempio come in figura:

celle batterie
Collegamento in serie di 3 moduli parallelo di 4 celle

La corrente: è lei da tenere a bada

Abbiamo detto della corrente, che rappresenta il numero di elettroni che transitano al secondo e si misura in ampere. La corrente ha una caratteristica decisamente spiacevole: più è elevata e più calore produce, con conseguenze in termini di sicurezza, degrado o semplicemente dispersione termica e abbassamento del rendimento complessivo del sistema. Una corrente intensa impone di dover utilizzare cavi in rame a sezione maggiore e quindi un peso e un costo superiore. Teniamo presente questo, e passiamo al punto successivo.

E se serve potenza, la tensione ci dà una mano

La prima cosa che si specifica di un certo modello di auto (specialmente per le termiche ma anche per le BEV) è la potenza del motore.  La potenza, infatti, rende l’idea della prima e più importante caratteristica dinamica di un automezzo. Nessuno vorrebbe un’auto lussuosa, confortevole e piena di gadget fantastici ma che disponesse di soli 30 kW di potenza!

Nelle auto elettriche la potenza è ottenuta, prima di tutto, grazie alla possibilità di alzare la tensione “a piacere” collegando un numero adeguato di celle in serie, come abbiamo visto. Infatti, la formula della potenza P recita:

P è la potenza e si misura in W (watt), V è la tensione (in volt) e I è l’intensità di corrente (in Ampere).  Se alziamo la tensione (il voltaggio, come si dice), collegando in serie un numero opportuno di celle, riusciamo ad ottenere la potenza desiderata, ad esempio quella necessaria per alimentare un motore senza mandare arrosto i conduttori per colpa di una corrente eccessiva.  La maggioranza delle BEV sul mercato lavora con un sistema con tensione a 400 V, alcuni modelli a 800 V.  Nella pratica, però, non si può alzare troppo la tensione perché subentrano problemi di isolamento e di sicurezza.  Se la tensione delle nostre prese di casa è di 230 volt e non di 200.000 volt (come nei cavi degli elettrodotti della rete di trasmissione nazionale), il motivo è evidente.  Fissiamo dunque il concetto:

Quando una cella è carica? E quando è scarica?

Come dicevamo, una cella agli ioni di litio ha una tensione nominale di 3,7 volt. In realtà questo è il valore medio. La cella lavora tra i 2,5 e 4,2.  Una cella carica, a mano a mano che fornisce corrente vede la sua tensione diminuire; quando raggiunge il limite inferiore significa che è scarica, cioè non è più in grado di rilasciare corrente.

All’opposto, durante la carica, la tensione sale progressivamente, e quando raggiunge i 4,2 V la cella non è più in grado di recepire corrente. Applicare una tensione maggiore significa solo scaldarla e alla fine distruggerla. In realtà durante la carica non si applica mai una tensione fissa, o una corrente fissa, ma si procede con una regolazione complessa di entrambe, tensione e corrente. Lo vedremo bene quando parleremo dei caricatori nella seconda parte.

celle batterie
Dalle celle alle batterie/Una cella che si scarica: nel tempo la tensione scende dai 4,3V a meno di 2,5 V

Ogni tecnologia ha la sua specializzazione

Accennavamo al fatto che sono diverse le tecnologie con cui si realizzano le celle agli ioni di litio. Tutte usano il litio come elemento di base ma si differenziano per i materiali usati per gli elettrodi e per soluzioni costruttive diversificate. Nel seguente grafico sono mostrate le più diffuse varianti tecnologiche di batterie al litio, ordinate per una delle caratteristiche più importanti, la densità energetica, che si misura in Wh/kg.

 Non ci soffermiamo oltre sugli aspetti che riguardano la tecnologia delle celle, sottolineiamo solo il fatto che ad oggi non esiste una tecnologia “vincente” da tutti i punti vista. Una specifica tecnologia può avere una buona densità energetica ma essere più lenta nelle ricariche, un’altra è più economica ma meno performante. Il grafico che segue mette bene in luce queste differenze. Teniamo presente che l’innovazione in questo campo galoppa, quindi aspettiamoci continue novità.

celle batterie
Daelle celle alle batterie/Un grafico pubblicato sul sito di Flash Battery che mette a confronto le caratteristiche delle diverse chimiche per batteria

Costruiamo una batteria: facciamo due conti

Immaginiamo di avere a disposizione celle da 100 Wh ciascuna. Vogliamo costruire una batteria di 70 kWh che lavori vicino ai 400 V, come nelle più diffuse BEV.  Come dobbiamo procedere? Innanzitutto, calcoliamo quante celle sono necessarie per avere l’energia di 70 kWh:

70.000 Wh / (100 Wh/cella) = 700 celle.

Poi dobbiamo combinare queste 700 celle nel modo giusto. Per avere la tensione di 400 volt dobbiamo calcolare quante devono essere le celle da mettere in serie: 400 / 3,7 = 108.  Noi ne prendiamo solo 100, per fare cifra tonda, che ci danno 370 V, e diciamo che ci basta.  Poi calcoliamo quanti di questi moduli da 100 celle dobbiamo collegare in parallelo per arrivare alla capacità desiderata: 700 celle /(100 celle/modulo)  = 7 moduli. In realtà l’architettura interna delle batterie non è così schematica (spesso i produttori ne sono gelosi e non la divulgano) ma è sempre riconducibile a un mix di collegamenti in serie e parallelo di celle opportunamente combinate tra loro.

La “capacità” della batteria non è mai una certezza

(E va bene ci arrendiamo: abbiamo usato il termine “capacità “in modo improprio, intendendo l’energia contenuta in KWh, ma ci siamo intesi).

Totò diceva: “E’ la somma che fa il totale!”.  Nel caso delle batterie è vero ma non del tutto: la batteria è qualcosa di diverso da una somma di celle collegate tra loro (come si diceva dei cannoni all’inizio).  Ma andiamo con ordine.

La batteria di una BEV, un oggetto piuttosto pesante e impegnativo, comprende una serie di sistemi e strutture atte a garantirne prestazioni, sicurezza e affidabilità nel tempo.

 

celle batterie

I principali elementi che costituiscono una batteria sono:

  • La struttura interna che alloggia e permette il collegamento dei moduli
  • I moduli contenenti le celle elettrolitiche
  • Il contenitore protettivo, per resistere agli urti e alle intemperie
  • Il circuito di raffreddamento (molto più piccolo di quello del motore di un’auto termica)
  • La scheda elettronica con il software di gestione (BMS – Battery Management System) che controlla tutti i parametri di funzionamento – in particolare la gestione termica – e interviene per preservare efficienza e sicurezza
  • Cavi e moduli di collegamento con gli altri sottosistemi (caricatore, inverter, ecc.).

La “capacità” di cui dicevamo (in realtà l’energia stoccata) è il primo dato che si associa ad una batteria per qualificarla, i famosi “kWh”. Purtroppo, non è un dato stabile e oggettivo, come può esserlo la cilindrata di un motore termico. La capacità della batteria è un dato piuttosto ballerino perché è il risultato di una “prestazione” che dipende da molti fattori legati alle condizioni in cui si opera e al modo in cui è stata trattata (o maltratta) la batteria. Inoltre, la capacità della batteria, con il passare del tempo, è destinata a diminuire, mentre il serbatoio di un’auto di 50 anni contiene sempre gli stessi litri di benzina che aveva quando è uscita dalla fabbrica (al peggio potrebbe avere qualche buco!).

Cosa influisce sulla capacità della batteria?

A differenza di una batteria, il serbatoio mantiene inalterata nel tempo la sua capacità. Al massimo si buca.

I principali fattori che influiscono sulla capacità della batteria sono:

  • la temperatura. Il freddo è il nemico numero uno della chimica delle celle. A basse temperature, la reattività chimica all’interno della batteria diminuisce, riducendo la velocità con cui gli elettroni si muovono attraverso i materiali della batteria durante il processo di ricarica. Questo rallenta il flusso di energia elettrica e rende la ricarica meno efficiente.
  • La modalità di carica e scarica: il modo in cui si carica e scarica la batteria influisce sulla quantità di energia che si riesce a trasferire. Più la si stressa, usando correnti elevate, e meno energia si riuscirà a trasferire. Per questo non è consigliabile usare troppo spesso le ricariche veloci. Questo vale anche per il modo in cui si scarica: se avete una Tesla e con il settaggio “Ludicrous acceleration” sempre attivato e passate il tempo a fare lo 0-100 in meno di tre secondi (non avendo niente di meglio da fare), sappiate che la batteria non sarà molto felice per questo vostro hobby…
  • Il numero di cicli di ricarica: la batteria si degrada piano piano ad ogni ciclo di scarica/ricarica; quindi, con il passare dei km, la capacità inevitabilmente si ridurrà.

I costruttori, sia di batterie sia delle auto, realizzano opportuni sistemi per ridurre il più possibile questi effetti negativi. Ad esempio, le BEV più sofisticate riescono a contrastare efficacemente gli effetti della bassa temperatura con sistemi di gestione termica per mantenere la temperatura ottimale durante la ricarica e il funzionamento. È un settore di ricerca molto attivo (non esiste solo la ricerca della massima densità energetica, evidentemente).

 

celle batterie
Dalle celle alle batterie/Una batteria assomiglia ad una tanica flessibile: la “capacità” (intesa come energia) non è un dato fisso ma varia in funzione molti parametri

 

 Fare il pieno: è questo il grande equivoco

Abbiamo affrontato il tema della “capacità” (che in realtà è da intendersi “energia”).  A questo punto segue inevitabilmente quello della ricarica. Mi si permetta una considerazione più generale. Quando leggo o vedo un video che presenta una nuova auto elettrica, attendo con una certa impazienza la conclusione del pezzo con il fatidico “Per ricaricare la batteria servono X ore.”

Questo tipo di espressioni andrebbero vietate per legge!  Sono il modo migliore per generare confusione tra un pubblico che per la maggior parte non ha ancora assimilato il “senso” dell’auto elettrica ed è quindi vulnerabile a certi messaggi (purtroppo a volte lanciati ad arte con intenzioni non limpidissime).  Affronteremo il tema della ricarica nella seconda parte nostro viaggio dentro la batteria.

Ingegnere, già dirigente d’azienda in ambito multinazionale automotive e non solo, ora consulente aziendale.  Appassionato della prima ora ai temi della mobilità elettrica e della transizione energetica, ultimamente si cimenta come divulgatore per le cose che un po’ conosce. Crede nella tecnologia perché non crederci è peggio.

Il riassunto in pillole

  • Una batteria è un insieme di celle collegate tra loro in modo opportuno; le celle sono costruite in diverse forme, principalmente cilindriche, prismatiche o a pouch.
  • Una cella è un dispositivo in grado di trasformare in energia elettrica in energia chimica e viceversa, permettendo quindi di immagazzinarla.
  • È costituita a due elettrodi (anodo e catodo) immersi in un elettrolita che permette il passaggio degli ioni di litio tra uno e l’altro (nei due sensi a seconda che si tratti di carica o scarica). Una membrana posta nel mezzo impedisce il passaggio degli elettroni, che quindi sono costretti a passare per un collegamento esterno dando origine alla corrente elettrica.
  • Le grandezze fondamentali di una cella sono:
    • tensione V (in volt) – per le celle agli ioni di lito è di 3,7V
    • capacità C (in ampere-ora) – dipende dalle dimensioni della cella
    • L’energia E contenuta in una cella è data dal prodotto E = C * V e si misura in Wh
  • La cella eroga/riceve corrente I che si misura in ampere A.
  • Le batterie delle BEV oggi sono tutte basate sulla tecnologia agli ioni di litio, ma sono presenti varie tipologie costruttive che usano diversi differenti con prestazioni e costi differenti.
  • Una batteria è composta da un certo numero di celle, collegate in serie (per aumentare la tensione) e in parallelo (per aumentare la capacità).
  • La corrente è responsabile del surriscaldamento delle celle e dei cavi. Per questo si alza la tensione per avere, a parità di potenza, correnti più basse, secondo la formula della potenza P = V * I.
  • La tensione più utilizzata nelle BEV sul mercato è 400 V, diversi modelli 800 V. Aumentare troppo la tensione significa però affrontare problemi di isolamento e sicurezza.
  • In una batteria sono presenti strutture e sistemi software per gestire tenere tutti i parametri sotto controllo e proteggere le celle da surriscaldamento e degrado eccessivo nel tempo.
  • Nella seconda parte parleremo della ricarica.

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9 COMMENTI

  1. Mi ero perso questo ottimo e interessantissimo articolo.
    E niente, era solo per ringraziare la redazione. 🙂
    Non vedo l’ora della seconda parte.

  2. L’etimo della parola “batteria” è davvero interessantissimo e nella sua accezione “elettrica” è figlio di una tale quantità di traslazioni di significato da renderlo addirittura “gustoso” ai cultori della materia.
    Che però non è quella di questo sito, quindi tralascio.
    Ringrazio dunque l’ingegere per l’erticolo così completo e di comprensione tutto sommato semplice (anche per un perfetto ignorante di queste cose come il sottoscritto)

  3. Ringrazio l’autore per l’ottimo articolo dalla A alla Z, bilanciato tra informazioni e sintesi 🙂
    mi permetto aggiungere alcune divagazioni

    LCO – litio ad ossido di cobalto

    erano e forse sono ancora usate nelle batterie dell’elettronica di consumo (anche se fossero chiamate “litio polimeri”, che è una espresione generica per molti tipi di batterie a litio);

    vita relativamente corta (centinaia di cicli di ricarica) e una bassa stabilità termica,
    ricordate i detrattori delle auto elettriche che dicevano “la mia batteria del telefonino non dura oltre 4-7 anni e una serie di smarthone Sansung se schiacciati prendevano fuoco? ..batterie LCO

    in parte sono state ammodernate con piccoli drogaggi di altri metalli e in parte sostituite dalle LMO (all’ossido di managnese che erano popolari specie in utensili a batteria e pare anche su alcune auto elettriche di anni fa)

    forse (non mi intendo di smartphone e Pc portatili) le LCO ad oggi sono state sostituite non solo da LMO, ma anche da batterie a ossidi ternari (NMC) oppure dalle economiche LPF (per es. nei power-bank)

    le LCO sono anche le “famose” batterie che hanno catodi con 30-60% (!) di Cobalto, cioè molto, c’era stata la polemica per es. per I-Phones ed altra elettrronica di consumo (sigarette elettroniche, Pc, etc) le cui batterie, al contrario di quelle delle auto, non è detto che finiscano correttamente riciclate ( si dice circa al 50% )

    nelle batterie auto NMC recenti il cobalto nel catodo è stato rapidamente ridotto negli anni, ad oggi ci sono batterie che nel catodo ne hanno 10% (NCM 811) oppure 5% (NMC 955, che significa proporzioni tra i metalli 9-0,5-0,5) oppure 2,5% , e alcuni brand hanno preteso la certificazione della filiera estrattiva per i noti problemi etici del Cobalto estratto in Congo

    contando che il catodo è una frazione della batteria, una batteria NCM per auto recente contiene circa 4-3.kg di cobalto ( come un centinaio di telefonini con LCO ), che però in questo caso verrà riciclato ( gli impianti attuali già recuperano tra il 95% e il 99% delle batterie esauste)

    Cobalto è invece del tutto assente nelle batterie LPF e derivate LPMF, in cui mancano metalli costosi o problematici, non contengono neppure il nickel, in buona parte di origine russa

    LPF hanno molte qualità e (avevano) un paio di svantaggi, il maggior peso e la maggior sensilità al freddo

    INCREMENTI GRADUALI DELLE SPECIFICHE

    come scrive l’autore, le batterie progrediscono anno per anno, da qualche mio conto della serva, la densità energetica delle batterie cresce almeno +8% all’anno,

    sia quelle massime prestazioni ( es. NCM ) che le opzioni più economiche ( es. LPF e derivate)

    le batterie LPF per es, nel giro di 4 anni, con piccoli miglioramenti ogni 6 mesi, hanno raggiunto densità energetiche e velocità di ricarica che le batterie NCM avevano 2-3 anni fa, e continuano in questa progressione, spostando ogni anno di più l’interesse più verso la traziione elettrica

    Questo anche senza basarsi sull’attesa di grandi salti tecnologici nelle chimiche delle batterie (che pure arrivano anche loro, ad es. batterie semi-solide ad alta densità sono già usate ora su alcune vetture Cinesi) ma magari smussate dall’inerzia della filiera e dalle dinamiche dei costi, anche questi avanzamenti forse resteranno più o meno su una curva progressiva di miglioramento annuale, al limite solo un po’ più rapida

  4. ‘Più la si stressa, usando correnti elevate, e meno energia si riuscirà a trasferire.’

    scritta in quel modo mi sembra terrorizzante, un consiglio agli utenti di non usare le colonnine veloci, come se una quota crescente di energia venisse sprecata (e pagata dal malcapitato) nel processo di carica aumentando la corrente
    ovviamente nei limiti consentiti dalla cella più elevata è la corrente e più energia viene trasferita ed immagazzinata dalle celle
    ma come scritto nella seconda parte si entra nel dettaglio del processo di ricarica

    volevo solo evitare che qualcuno buttasse la tessera rfid
    🙂

    • In effetti non mi risulta che la ricarica rapida diminuisca la quantitá di energia che viene trasferita 🤔 (anzi, da quello che ho capito in genere sono le ricariche lente a soffrire di rendimenti piú bassi..) Credo che sia piú corretto parlare dell’effetto negativo delle “fast” sul SoH delle celle.

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