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Amarcord EV: Malaguti vent’anni prima di Vespa

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Ecco la Vespa Elettrica. Ma perché poi tanto clamore, si chiede Gianni nostro assiduo lettore, se già ci aveva provato la Malaguti nel lontano 1999 con il suo Ciack EP? Già, il Ciak EP. Fu presentato nel 2001, quando ancora il listino era in “vecchio conio” e un litro di benzina costava 2.000 mila lire e rotti.

Diciamolo subito, non fu un grande successo. Anzi, la casa di San Lazzaro di Savena ne vendette poche centinaia e, dopo un aggiornamento nel 2003, cessò di produrlo nel 2006. Scartabellando negli archivi abbiamo poi scoperto che il prezzo di listino dell’ultima versione era di 3.069 euro, più di quanto si sborsa oggi per uno scooter Ev cinese o per i modelli low cost nel catalogo di produttori italiani come Askoll e Wayel.

Ma che abisso, però, fra la tecnologia e le prestazioni di quel Ciak e ciò che oggi sembra il minimo sindacale per ogni veicolo elettrico sul mercato! Sembra passato un secolo e non sono ancora 18 anni. Le quattro batterie al piombo da 12 volt ciascuna per un totale di 48 volt (tre piazzate in un massiccio tunnel centrale e una nel sottosella), pesavano da sole 66 chili, quasi la metà dei 145 chili dell’intero veicolo. Eppure garantivano al piccolo motore Brushless da 1,23 kW a 1.400 giri e 17 nm di coppia un’autonomia massima dichiarata di appena 60 chilometri. Ma solo a condizione che si girasse in pieno centro e in pianura, perché sui percorsi di periferia, spingendo lo scooter a ridosso della massima velocità (45 kmh), il chilometraggio quasi si dimezzava. E si riduceva drasticamente in inverno, ma anche in autunno e in primavera, appena la temperatura scendeva sotto i 20 gradi centigradi.

Servivano 3 ore per ricaricarle all’ 80% e 6 ore per un “pieno” che, specificava il volantino del costruttore, “costa appena 900 lire”. Quasi patetico il gomitolo di cavo nero con presa a tre vie (una normale prolunga) avvolto nel sottosella e dato in dotazione per la ricarica a 220 volt.

E il quadro comandi? Dimentichiamoci i dispaly connessi al cellulare, i controlli da remoto, le App e il Gps. Solo due spie per la riserva di corrente e lo stato di ricarica sul cruscotto e un bottone per dar corrente al sistema sul manubrio. A dispetto dell’aggressiva scritta in rosso carico “Electric Power” che campeggiava sullo scudo, anche la più dolce delle salite metteva in crisi il “power”. Raccontano le cronache che lo scooter rallentava a 20, poi 15 kmh fino a piantarsi completamente se la pendenza superava il 10%. E in discesa, in mancanza dell’ormai classica frenata rigenerativa, meglio attaccarsi ai freni (a disco anteriormente e a tamburo sulla ruota posteriore) altrimenti l’accelerazione diventava infinita. Quella da fermo molto meno: 12,1 secondi per cento metri, decisamente peggio di un atleta (femmina, però).

Gironzolando nel web, ancora si trovano citazioni di quei gloriosi antesignani dell’Ev, come graffiti rimasti su vagoni abbandonati. Qualche vecchio proprietario che lamenta un’autonomia scesa negli anni a 7 chilometri 7. Uno che si chiede se può sostituire le vecchie batterie al piombo con un moderno pacco al litio (non è possibile). Un altro ormai rassegnato a cambiare batteria una volta all’anno; uno che, appena ritrovato in cantina il malandato Ciak Ep del padre,  vorrebbe cambiare proprio tutto, accumulatori, motore e comandi, per entrare a testa alta nell’era della mobilità elettrica.

Tutto questo fa sorridere. Ma non si pensi che l’insuccesso di quel modello fosse colpa di chi lo produsse: il Ciak Ep era espressione della tecnologia di quegli anni e anzi Malaguti era sempre stato un pioniere. In perfetta coerenza con il motto aziendale “Idee in Moto” a listino mise perfino Pedalight, una delle prime biciclette a pedalata elettro assistita viste in Italia. E nel dopoguerra aveva inventato il Mosquito, una bicicletta motorizzata su cui viaggiò tutta l’Italia povera del miracolo economico. La storia di Moto Malaguti si interruppe bruscamente nel 2011, con la chiusura dello stabilimento gialloblù a ridosso dell’autostrada e il licenziamento di tutti i 160 operai. Aveva sbagliato i tempi: troppo presto per le due ruote elettriche, troppo tardi per resistere all’invasione degli scooter termici con gli occhi a mandorla.

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