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ShargeMe, la ricarica tra veicoli e l’Italia che non ti aiuta

ShargeMe, ovvero come una buona idea stenta a trovare in Italia chi la faccia crescere. Facendo venire alla start-up in questione voglia di traslocare a Londra.

Marin Krosi, fondatore di ShargeMe

ShargeMe, lo sharing della ricarica tramite una app

Una decina di giorni fa abbiamo scritto della frustrazione dei ragazzi riminesi di Motoveloci che hanno ideato il Retrokit, il kit per convertire in elettrico il mitico Vespino. Il sistema funziona, potrebbe farci respirare aria migliore, ma politica e burocrazia non hanno ancora sbloccato l’impasse dell’omologazione. E oggi invece vi parliamo di ShargeMe, una start-up triestina che da anni lavora a un’idea molto ambiziosa. Creare un grande network di automobilisti elettrici che, grazie una app dedicata, possano rifornirsi attingendo agli altri veicoli. In pratica: possano comprare o vendere i kWh che servano da altre auto che si trovino nei paraggi, senza l’ansia di dover trovare una colonnina libera. Accanto al vehicle-to-grid e al vehicle- to-home in sperimentazione all’Audi, ecco il vehicle-to-vehicle. L’idea di ShargeMe, ambiziosa, è di diventare un po’ l’Uber della ricarica, con una app che renda facilmente disponibile a tutti non un’auto con autista, ma l’energia accumulata nelle batterie.

 

Sabrina Velikonja, co-fondatrice

Marin, Sabrina e…chi ci sta?

L’idea (illustrata nel video sopra) è affascinante. Ci  lavorano (ma solo per l’auto che stanno sviluppando, la Sion), anche i ragazzi tedeschi di Sono Motors. I ricavi di ShargMe arriverebbero da una piccola commissione applicata su ogni transazione e dal business legato ai dati raccolti, ovviamente rispettando le normative sulla privacy. Il numero uno della start-up triestina, Marin Krosi, è stato invitato a una passerelle tecnologiche importanti, come il CES di Las Vegas. E sono stati vinti dei premi. Ma manca chi creda nel progetto e investa i 400 mila euro che servono per svilupparlo definitivamente e portarlo in porto. Sarebbe molto più facile trovarli su una piazza come quella londinese, ma Marin e i suoi ci terrebbero a svilupparlo in Italia. Un’altra occasione perduta?

 

 

 

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