L’AGI trova il tallone d’Achille dell’auto elettrica: le prolunghe. È il succo di un (controverso) articolo publicato dall’agenzia di stampa. Di proprietà dell’Eni. Articolo che poi l’AGI è costretta a rettificare dopo essere stata sbugiardata da uno dei più noti cacciatori di bufale della rete, il giornalista ticinese Paolo Attivissimo, noto anche come “il Disinformatico”.
Pur concedendo che l’auto elettrica è considerata “il futuro più ragionevole per lo spostamento urbano”, l’Agenzia Italia riporta un allarme che arriva dall’Inghilterra. Con un articolo dal titolo maliziosetto: “Il successo dell’auto elettrica è diventato un bel problema“. Quale? Il fatto è che il passaggio alle auto a emissioni zero “si starebbe svolgendo a ritmi alti, talmente alti che le infrastrutture ad oggi faticano a star dietro…“.
Poche colonnine
“L’analisi dei dati fornita dal Dipartimento dei Trasporti britannico“, continua l’AGI, “ci dice che la velocità con la quale si vendono e vengono utilizzate su strada auto elettriche è circa cinque volte più veloce rispetto agli sforzi che il governo sta facendo per mettersi al passo con l’allargamento della propria rete di ricarica pubblica”. Al momento il numero di punti di ricarica a Londra è di 147 per 100 km quadrati (2,6 ogni 10 mila residenti).
“Un’ingarbugliata rete di prolunghe”
E qui sta problema, che la stessa AGI ritiene “piuttosto bizzarro e non previsto”. “Secondo un’indagine di Electrical Safety First, “sono in tanti quelli che ovviano al problema della ricarica della propria auto collegando il motore direttamente ad una presa di casa, magari con una ingarbugliata rete di prolunghe“. Niente di più sbagliato, ammonisce l’AGI.
Il Disinformatico ci va a fondo e scopre che…
SECONDO NOI. Il fatto che l’AGI appartenga all’Eni ha scatenato più di un malevolo commento in rete. Noi non vogliamo credere che sia la voce del padrone, notoriamente poco entusiasta dell’elettrico, a ispirare un articolo con argomenti basati su un dato falso. Sul quale sono stati costruiti un titolo e un articolo che danno una visione deformata della realtà. Resta un retrogusto amaro nel vedere come si enfatizzano tutte queste ricerche che sembrano avere un filo conduttore comune: screditare la mobilità elettrica. Spesso andando a cercare il pelo nell’uovo. Come se viaggiare bruciando petrolio fosse invece la cosa più bella e pulita del mondo.
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