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La lunga storia di una goccia di petrolio: 150 milioni di anni bruciati così

petrolio milioni di anni

Come si è formata, in quanto tempo e quanta energia racchiude una goccia di  petrolio o un metro cubo di gas natura? Se ognuno di noi lo sapesse, si chiederebbe come ha potuto  bruciarne allegramente tonnellate, per di più sfruttando il 20% scarso del suo potere energetico. E ora, dopo aver letto questa breve e tragica storia di un barile di “oro nero”, cosa penserete mettendo in moto la vostra auto termica?

  All’inizio furono alghe, microrganismi e plancton

                                        di Alessandro Abbotto*

Alessandro Abbotto

Quanta energia è contenuta in un litro di petrolio o in un metro cubo di gas naturale? Quanto tempo si è reso necessario perché si formasse questa quantità? Quanta energia riusciamo effettivamente a sfruttarne e in che modo?

Tutte domande che nessuno di noi si pone quando mette in funzione un elettrodomestico, accende una lampadina o guida un’automobile ma che, in effetti, sono alla base di tutte queste operazioni che altrimenti non potremmo compiere. Proviamo a dare alcune risposte.

Sia il petrolio che il gas naturale derivano da microorganismi marini molto antichi, come le diatomee e il plancton (o anche le alghe), che si sono depositate sul fondo del mare e degradate, nel corso di decine di milioni di anni, in particolari condizioni di aria e formazione rocciosa.

Dopo 150 milioni di anni resta solo idrogeno e carbonio

Materia organica, composta principalmente da atomi di carbonio, C, e idrogeno, H, si è quindi depositata lentamente, circa 150 milioni di anni fa, prima dell’avvento dei dinosauri, per esempio nell’Europa settentrionale, allora ricoperta dal mare, e si è degradata, per via batterica e chimica in assenza di ossigeno (elemento O), formando dei depositi sempre più profondi e separati dalla parte vivente del pianeta da strati sempre più spessi di sabbia, limo e roccia.

In presenza delle elevate pressioni causate dagli spessi strati sovrastanti e dell’altissimo calore questi residui (tra i quali il cherogene) si sono infine trasformati, a seconda delle condizioni, in petrolio o gas naturale. Arrivati a questo punto, non essendoci ossigeno, sono rimasti quasi esclusivamente atomi di carbonio e idrogeno, da cui il termine idrocarburi per identificare questi derivati. Avete mai pensato perché il petrolio si chiama così (dal latino medievale petroleum, cioè petrae oleum, olio di pietra)?

Un campo petrolifero in Texas

Il petrolio è una miscela liquida molto complessa, e variabile da sito a sito, di sostanze chimiche.  A seconda di dove e come si è formato può avere innanzitutto vari colori – nero, marrone scuro, giallo, rossastro, finanche verde – e può trovarsi sotto la crosta terrestre delle terre emerse o sotto i fondali marini più profondi.

Sempre più difficile e costoso estrare petrolio e gas

Infine, può essersi concentrato in serbatoi o trovarsi all’interno di rocce (più o meno porose) o nelle sabbie bituminose. Nel primo caso è più facile estrarre il petrolio (si parla di petrolio convenzionale) o il gas naturale, negli altri due (ad esempio nel caso delle rocce di scisto bituminoso) è più complesso e, di conseguenza, costoso (petrolio non convenzionale, come il petrolio di scisto, o shale oil, e il gas di scisto, o shale gas).

Lo shale oil o petrolio di scisto, si ottiene frantumando rocce profonde con getti d’acqua ad altissima pressione. Il materiale così ottenuto viene poi portato in superficie, depurato degli inerti e dell’acqua e il petrolio che resta avviato alla raffinazione. Un processo costosissimo ed estremamente inqunante. E’ stato dimistrato per esempio, che la frantumazione delle rocce profonde può generare instabilità e quindi terremoti. Oggi quasi la metà del petrolio e del gas vengono estratti con questa metodologia

Negli idrocarburi (come abbiamo detto costituti da atomi di carbonio e idrogeno) l’energia è conservata nei legami tra gli atomi. Se adesso estraggo dalle viscere della Terra questo composto e lo faccio finalmente reagire di nuovo con l’ossigeno dell’aria, in una reazione di combustione, si formano nuovi prodotti a minore contenuto energetico in cui gli atomi di C e H si sono combinati con l’ossigeno (biossido di carbonio e acqua). Il resto dell’energia viene rilasciato e, quindi, può essere utilizzato, direttamente in forma di calore o indirettamente come altre forme di energia (ad esempio, meccanica o elettrica).

La combustione libera energia, ma non tutta si utilizza

Per convenzione l’energia contenuta nel petrolio o nel gas è uguale all’energia che si riesce ad estrarre. In realtà l’energia contenuta nelle sostanze chimiche che costituiscono il petrolio è maggiore ma, a causa dei prodotti di scarto (biossido di carbonio e acqua), l’energia sfruttabile è minore. Però questa quantità è quella che, comunque, ci interessa.

La tabella seguente riporta la quantità di energia sfruttabile (espressa in chilowattora, kWh, l’unità di energia che tutti conosciamo bene perché utilizzata nelle bollette della luce) per unità di peso (kWh/kg) e di volume (kWh/L). Nella terza colonna aggiungiamo anche lo stato (liquido o gassoso) in cui il combustibile si trova in condizioni atmosferiche e di temperatura normali.

kWh/kg kWh/L stato in condizioni normali
petrolio 12 10 liquido
benzina 13 10 liquido
diesel 13 11 liquido
gas naturale 15 0,01 gassoso
H2 (1 atmosfera) 33 0,003 gassoso

La tabella spiega perfettamente l’enorme successo e popolarità dei combustibili fossili derivati dal petrolio a partire dal XX secolo. Dei due contenuti energetici, per unità di peso e di volume, quello che conta per le applicazioni pratiche è il secondo. Se devo stivare un combustibile in un mezzo di trasporto su strada, ad esempio un’automobile, quello che interessa è il volume massimo del serbatoio che il veicolo può contenere. Allo stesso tempo se lo devo trasportare dal sito di produzione a quello di utilizzo, via mare o terra, anche qui quello che conta è il volume della stiva o il diametro del gasdotto.

Il gas naturale viene liquefatto (LNG) a temperature di -160 gradi per ridurne il volume e consentirne il trasporto con le navi gasiere. A destinazione viene riportato allo stato gassoso con i famosi rigassificatori. Sono tutte operazioni estremamente energivore.

Non solo, ma è evidente per tutti che è molto più semplice trasportare un liquido che un gas (terza colonna della tabella). Tutti andiamo al supermercato a comprare liquidi di ogni tipo (acqua, alcolici, detersivi ecc.) ma nessuno di noi esce dal supermercato con un faldone di gas. Trasportare un gas, e per lunghe distanze, richiede infrastrutture più complesse e costi più elevati.

Piccolo problema, petrolio e gas non sono inesauribili

Premesso questo, la tabella si commenta da sé: i derivati del petrolio sono gli unici combustibili liquidi e con una densità energetica volumetrica di ordini di grandezza superiore a quella di ogni altro. Da qui la loro grande comodità d’uso.

Ma soffrono di gravissimi, e ormai decisamente bloccanti, inconvenienti: richiedono decine di milioni di anni per essere prodotti (quindi non sono inesauribili), sono concentrati solo in poche zone del pianeta, dipendono fortemente da condizioni geopolitiche e, non da ultimo, sono estremamente inquinanti a causa del fatto che contengono quell’atomo di carbonio, C, che con ossigeno, O, va a dare uno dei peggiori gas climalteranti, la CO2, oltre a sostanze tossiche (ossidi di zolfo e di azoto) a causa della presenza di altri elementi chimici.

E bruciando, il carbonio si lega all’ossigeno e inquina

Seicento pozzi petroliferi in fiamme in Kuwait dopo prima la Guerra del Golfo

E terminiamo con l’ultima domanda. Di tutta l’energia che la Natura ha stivato nel petrolio in decine di milioni di anni, quanta alla fine ne riesco a sfruttare, ad esempio, per far muovere la mia automobile a benzina?

Da un barile di petrolio grezzo (159 litri, corrispondente a un contenuto energetico sfruttabile di circa 1.600 kWh) si estraggono circa 70 litri (circa 650 kWh) di benzina e 40 litri (430 kWh) di gasolio.

Questo è dovuto al fatto che il petrolio estratto, detto grezzo, non è utilizzabile di per sé ma deve essere sottoposto a un complesso processo petrolchimico, la raffinazione, necessario per separare i vari componenti e ottenere le frazioni utilizzabili, dalla benzina al cherosene e all’asfalto.

Il 90% dell’energia stoccata in milioni di anni va in fumo

La raffinazione del petrolio, come l’estrazione stessa, è un processo a enorme impatto ambientale ed energetico. Per non parlare degli enormi rischi legati alla sicurezza (si pensi, tra tutti, al disastro della piattaforma offshore Deepwater Horizon nel 2010) e al trasporto (sversamenti in mare a causa di incidenti).

Torniamo all’energia. Dei 70 litri di benzina (abbiamo detto equivalenti a 650 kWh), solo circa il 20% viene utilizzato per il movimento. Ovvero poco più di 130 kWh. Il resto viene disperso sostanzialmente in calore. Cioè in grandissima parte utilizzato per “scaldare” il motore e l’aria (e solo in piccolissima parte sfruttato nei mesi invernali per riscaldare l’interno dell’abitacolo).

In conclusione, dei 1.600 kWh del barile di petrolio iniziale, con le automobili a benzina alla fine ne utilizziamo solo 130 kWh, cioè meno del 10%.

E così arriviamo alle conclusioni del nostro percorso. La Natura ha impiegato decine di milioni di anni per stivare nelle viscere della terra, sotto la superficie terrestre e nella profondità dei mari, enormi quantità di materia organica, cioè di vita, che si è poi trasformata in petrolio e gas naturale corrispondenti ad altrettanto enormi quantità di energia.

Di questa, però, quando guidiamo la nostra vettura termica ne utilizziamo solo una piccolissima parte, oltretutto con enormi implicazioni in termini di inquinamento, cambiamenti climatici, tossicità, sicurezza, impatto ambientale e, come ben sappiamo in questi mesi, tensioni geopolitiche.

Comprereste 100 arance per mangiarne 8?

Finora lo abbiamo comunque fatto proprio per le ragioni descritte: i derivati del petrolio sono molto comodi da trasportare e utilizzare e, almeno fino a qualche tempo fa, anche relativamente facili da estrarre. Tutta questa apparente abbondanza, a relativamente poco costo, ci ha fatto dimenticare le enormi implicazioni di ogni genere e l’eccezionale spreco energetico.

Ma le periodiche crisi, come quella petrolifera del 1973 e quella attuale del gas naturale, ci riportano con i piedi per terra e ci consentono, per lo meno, di riflettere sui fortissimi limiti e rischi di questo sistema energetico.

Anche trascurando tutto il resto e considerando solo i bilanci energetici, è come se andaste al mercato a prendere una cassetta di 100 arance, riuscendo a portarne in tavola solo 7 o 8 per i vostri scopi. Anche se non mi risulta che le arance abbiano mai provocato disastri ambientali o guerre, continuereste a farlo?

*Il proferssor Alessandro Abbotto è un chimico. Insegna presso il Dipartimento di Scienza dei Materiali Centro di Ricerca Energia Solare MIB-SOLAR all’Università di Milano–Bicocca. E’ stato co-fondatore e primo coordinatore del Gruppo per la chimica delle Energie Rinnovabili della Società chimica italiana e Direttore di un progetto del Miur rivolto ai Dipartimenti di eccellenza su idrogeno, batterie e fotovoltaico. E’ autore del libro “Idrogeno, tutti i colori dell’energia”  (leggi) e  di “La mobilità elettrica, Storia, tecnologia, futuro” (leggi). 

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