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La coppia, questa sconosciuta

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Inzia con questo articolo la collaborazione dell’ingegner Vittorio Milani. Già dirigente d’azienda in ambito multinazionale automotive e non solo, ora consulente aziendale, si presenta così: «Appassionato della prima ora ai temi della mobilità elettrica e della transizione energetica, ultimamente mi cimento come divulgatore per le cose che un po’ conosco. Credo nella tecnologia perché non crederci è peggio». Da oggi i suoi articoli compariranno nella rubrica «La stanza dell’Ingegnere».

Quando la coppia è una chiacchiera da bar

                                          di Vittorio Milani

Che si parli di motori termici o di motori elettrici ci troviamo sempre a fare i conti con questo concetto ostico e non facile da digerire del tutto. Proviamoci.

«Hai visto che è uscito il nuovo modello tal-dei-tali?  Ha ben 600 Newton di coppia!». Non è raro sentire al bar o leggere in un blog affermazioni del genere (più grave se lette in articoli specializzati del settore).  L’errore non risiede tanto nell’eventuale espressione dell’unità di misura (la coppia si misura in Nm, e si pronuncia Newton-metro, tutto attaccato) ma nel “messaggio” che finisce per essere trasmesso, ovvero che un’auto con 600 Nm di coppia sia più prestazionale, o comunque migliore, di un modello che magari ha “solo” 550 Nm di coppia. Vediamo di capire perché non è così, e di vederci un po’ più chiaro quando si parla di coppia (e inevitabilmente di potenza).

Tutto inizia dalla forza

Quando parliamo di auto parliamo di cose che si muovono, e la fisica ci insegna che per muovere qualunque cosa è necessario imprimergli una forza. Poi, raggiunta una certa velocità, se azzeriamo questa forza, l’auto – o quello che è – inizia a rallentare per effetto delle forze di attrito. A questo punto per mantenerla ad una velocità costante è necessario continuare ad applicare una forza motrice che non sarà più “usata” per accelerare ma per pareggiare i conti con le forze di attrito.

Sarebbe troppo bello se raggiunta una certa velocità potessimo staccare il piede dall’acceleratore e proseguire senza consumare più nulla, per inerzia pura, come un disco da hockey su una pista di ghiaccio, ma purtroppo, nel mondo reale non funziona così, perché il mondo reale è un mondo dove non esiste il moto perpetuo.

Ma andiamo con ordine. Parliamo di moto lineare, come quello di un’auto che procede dritta. La seconda legge della dinamica ci dice che:

F = m * a
dove
-m = massa in kg
-a = accelerazione (cioè aumento della velocità, che si misura in metri / secondo-quadrato)

La formula si può scrivere anche così:
a = F / m.

Quest’ultima espressione ci dice che è possibile imprimere un’accelerazione ad una massa solo se su di essa agisce una forza. Teniamo presente questo concetto e passiamo alla coppia. Se la forza, che è un vettore, è rivolta in senso contrario al moto l’auto subirà una decelerazione.

 Quando le cose girano entra in scena la coppia

Immagiamo di dover stringere un dado con una chiave inglese lunga 20 cm.  Le prescrizioni del manuale dicono di applicare una coppia di serraggio di 20 Nm.  Possiamo eseguire l’operazione spingendo una chiave in un punto situato a 10 cm dal centro di rotazione – il centro del dado – con una forza perpendicolare di 200 N oppure a 20 cm con una forza di 100 N. Alla fine il risultato sarà lo stesso, il dado risulterà stretto con una coppia di serraggio di 20 Nm.

Vediamo di capire cosa è successo introducendo il concetto di coppia. La coppia C – o “momento della forza”- è definita come il prodotto della forza per la distanza (presa in perpendicolare) dal punto di applicazione, il cosiddetto “braccio”:

C = F * d
dove
F = forza
d= componente perpendicolare della distanza della forza dal centro di rotazione, nell’esempio rispettivamente d1 = 0,1 m e d2= 0,2 m.

L’unità di misura della coppia C è il Nm (Newton-metro). Quindi, nei due casi, si ha:

Primo caso :                     C1 = 200 * 0,1 = 20
Secondo caso :                 C2 = 100 * 0,2  = 20
Quella che abbiamo visto però è una situazione statica perché il dado, una volta serrato si blocca o, in ogni caso, noi cessiamo di spingere la chiave avendo finito l’operazione.

L’applicazione della coppia, come pure di una forza, non determina necessariamente movimento (se spingete un muro con tutta la forza che avete il muro non si muove, idem se continuate a stringere il dado già ben serrato). La coppia diventa interessante quando l’oggetto sul quale applichiamo la coppia può muoversi di un moto rotatorio, cioè quello che accade in un motore. Esaminiamo quindi il motore endotermico perché si presta bene per cogliere i concetti fondamentali.

La coppia del motore: da dove arriva?

Qualsiasi motore rotativo è, per definizione un generatore di coppia, in pratica utilizza un certo tipo di energia (benzina, energia elettrica, vapore, carbone) per fornire una coppia su uno o più alberi rotanti in uscita.  Lo schema riportato sotto che andiamo ad esaminare si riferisce ad un motore a ciclo otto/ diesel. La miscela brucia espandendosi e spingendo il pistone. Questa forza lineare è trasformata in un moto rotatorio attraverso il cinematismo biella-manovella.

Moltiplicando in ogni istante il valore di F per il braccio s si ha il valore istantaneo della coppia C.  Poiché s varia durante il ciclo di 360 gradi e la fase attiva (quella che genera la forza) avviene ogni due giri, il valore di C sarà la media della coppia istantanea sprigionata in ogni istante durante le 4 fasi. Poi sappiamo che i motori reali hanno più cilindri con fasi “sfalsate” e che all’asse del motore è applicato un volano. Tutto ciò permette di livellare la coppia reale che il motore trasmette a valle.

Per inciso, nel motore elettrico non esistono questi problemi, tutto nasce giù fluido e livellato.

Il “calcio nel sedere” dei motori termici

All’inizio parlavamo di coppia massima.  Capiamo cosa vuol dire. Immaginiamo di spingere il piede a tavoletta e misurare la coppia ai vari giri regimi di rotazione. Otteniamo il classico grafico delle curve coppia-potenza dei motori termici. Nel grafico ne è rappresentato uno tipico di un motore diesel.

Tipico grafico coppia-potenza di un motore endotermico diesel. In rosso la curva di potenza, in blu quella di coppia

Sottolineiamo il fatto che questi grafici rappresentano la condizione “piede a tavoletta”, e che quindi non rappresentano la situazione di normale utilizzo ma le massime prestazioni del motore.  Detto questo, sappiamo tutti che sotto un certo numero di giri (il cosiddetto “minimo”) il motore si ferma perché la coppia è talmente bassa da non riuscire a mantenere le masse meccaniche interne in movimento.

Con il salire del numero di giri (quindi della velocità dell’auto) la coppia cresce. Questa è la fase piacevole in cui si sente la spinta.  Ad un certo punto però la coppia raggiunge il suo valore massimo appiattendosi.

 

Il punto più alto della coppia è proprio il numero che viene messo nelle schede delle caratteristiche del motore, che è sempre accompagnata dal regime cui corrisponde tale valore: coppia massima X Nm a Y giri/min.  Poi la curva si mantiene per un po’ abbastanza piatta, e le cose vanno ancora bene, ma salendo di giri (e quindi aumentando la velocità) la curva inizia a decrescere perché il motore gira troppo veloce e perde la capacità di sfruttare al meglio la combustione.

Questo è il momento in cui sentiamo la necessità di passare ad una marcia superiore (parleremo tra poco del cambio) perché il veicolo sta perdendo spinta, anzi, più si insiste ad aumentare i giri e meno spinge: è una brutta sensazione. Se abbiamo compreso bene questo aspetto possiamo concludere che, ai fini di una guida piacevole, non serve tanto una curva con un picco alto e concentrato in un range di giri stretto, piuttosto una curva che salga rapidamente e rimanga “piatta” a lungo con il crescere dei giri.

E la potenza?

Non possiamo parlare di coppia ignorando il suo frutto principale, che poi è quello che conta davvero, ovvero la potenza, la cui curva infatti compare sempre nei grafico dei motori. La potenza non è nient’altro che la coppia moltiplicata per la velocità di rotazione (che si esprime in radianti al secondo” e con il simbolo ω (pr. omega), ma il concetto non cambia se continuiamo a pensarla in “giri al minuto”.

P = C * ω

si misura in kW (Kilowatt) oppure più tradizionalmente in CV (cavalli, un kilowatt vale a 1,36 CV

La potenza è una grandezza fondamentale perché esprime l’energia erogata dal motore. Come si vede dal grafico, l’andamento della potenza segue il destino della coppia. Osserviamo che quando la coppia inizia a scendere la potenza continua comunque a crescere, grazie ai giri che crescono, mai poi, quando la coppia è scesa troppo, anche la potenza inizia a calare, da cui la caratteristica forma della linea “a uncino”.  Limitiamoci per ora a tenere presente il concetto: la potenza è “coppia per velocità” ed esprime il lavoro (energia) eseguito nell’unità di tempo.  Come per la coppia esiste il punto più alto della curva, che esprime la famosa potenza massima del motore.

Se avessimo un motore ideale che anziché erogare la coppia massima ad un certo numero di giri la erogasse subito (a zero giri) e poi mantenesse costante la potenza avremmo un motore con una curva molto differente, come quella che vedete sotto.  La si ottiene sempre dalla formula P = C * ω che può essere scritta come C = P / ω che disegna l’iperbole del grafico. Un motore che si avvicina a comportarsi così esiste, ed è il motore elettrico.  Questo spiega le impareggiabili sensazioni di spinta forte, immediata e continua che caratterizzano l’auto elettrica.

Curva caratteristica di un motore ideale che esprime fin da subito la massima potenza

La coppia alle ruote: è quella che conta davvero

La coppia di cui si parlava quando spiegavamo i grafici di coppia-potenza è quella prelevata dall’albero d’uscita del motore. Ma quella che in realtà serve per far muovere l’auto è la coppia alle ruote, dove avviene la trasformazione da coppia a forza di trazione (grazie all’attrito). La coppia C che arriva alla ruota è trasformata in forza motrice secondo la formula F = C / r, dove r è il raggio della ruota. La forza Fa che spinge di fatto l’auto è resa possibile dagli attriti (ne parliamo in un articolo ad essi dedicato).

La forza che spinge l’auto è la forza di attrito Fa che si oppone alla forza Fm generata dalla coppia C.

Il cambio è dispositivo fondamentale per le auto a motore termico, mentre praticamente non serve per le elettriche, e se abbiamo compreso il grafico del motore ideale abbiamo capito il perché. Ma oggi parliamo di coppia e quindi non possiamo ignorare quel dispositivo che con la coppia “ci gioca” tutto il tempo.

Osserviamo questo disegno che rappresenta due ruote dentate. La più piccola (ruota conduttrice) è collegata al motore che le fornisce una coppia C1 alla velocità ω1.

Il mestiere del cambio? Scambiare coppia con velocità

Notiamo subito che velocità della seconda ruota (ruota condotta) è determinata rigidamente dal rapporto tra i numeri di denti dei due ingranaggi, che sono proporzionali alla lunghezza dei raggi r1 e r2. In pratica la velocità della seconda sarà ridotta in ragione del rapporto tra il numero di ingranaggi delle due ruote (ovvero dei raggi delle ruote):

Il rapporto tra le velocità ω1 / ω2 è detto rapporto di riduzione che dice di quanto è ridotta la velocità della seconda ruota, e vale la relazione

ω1 / ω2 = r2 / r1

Se nel nostro esempio r1 = 0,02 m e r2 = 0,06 m, il rapporto di riduzione vale 0,06/0,02 = 3, cioè la seconda ruota gira a un terzo della velocità della prima.

Ipotizziamo che ω1 = 15.000 giri/min
Riscriviamo la formula in funzione di ω2:
-ω2 = ω1 * (r1 / r2)
-quindi ω2 =15.000 * (0,02 / 0,06) = 5000 giri/min

Abbiamo detto delle velocità di rotazione, vediamo che succede alla coppia. Nel punto di contatto dove si esercita la forza F, per la prima ruota vale la relazione F = C1 / r1 (secondo la formula di definizione della coppia), per la seconda F = C2 / r2 (F è sempre uguale, è la forza di azione e reazione che le due ruote si scambiano).

Quindi si ha:
-F = C1 / r1 = C2 / r2
Che possiamo scrivere così:
-C2 = C1 * (r2/r1)

Se nel nostro esempio supponiamo che la coppia sulla prima ruota sia C1 = 100 Nm. Calcoliamo C2:
-C2 = (0,06 /0,02) * 100 = 300 Nm

Abbiamo triplicato la coppia della seconda ruota, la cui velocità si è ridotta nella stessa proporzione.  In ogni caso, se è vero che la coppia può essere incrementata a piacimento, ciò non vale per la potenza, come ovvio che sia perché l’energia non può crescere a piacimento. Valendo sempre la definizione P =  C * ω, vale sempre il rapporto C2 / C1 = ω1 / ω2.

La regola generale, dunque, è che accoppiando ruote di diversi diametri è possibile MODIFICARE A PIACIMENTO IN MODO INVERSO COPPIA E VELOCITA’.  Se invertiamo le due ruote, cioè rendiamo conduttrice quella più grande otteniamo una diminuzione di coppia e un aumento di velocità.  Questo compito di “giocare con la coppia” è esattamente il compito di quel dispositivo che si chiama “cambio” la cui importanza (nei veicoli termici) consiste nell’adeguare la coppia erogata alle ruote motrici al valore più adatto per le condizioni di avanzamento del veicolo in una certa situazione, ad esempio per accelerare velocemente, o per affrontare una salita, oppure per viaggiare a velocità costante facendo sempre lavorare il motore nelle sue condizioni migliori in termini di efficienza e minor consumo.

Quanto conta la coppia massima di un’ endotermica?

Come si diceva all’inizio, il valore di coppia massima è un dato su cui si potrebbe tranquillamente sorvolare perché non dice molto se non è accostato alla velocità di rotazione e soprattutto alla forma della curva di erogazione ai vari giri del motore. In fondo un uomo di 80 kg seduto su un ramo lungo 1 m produce una coppia (alla base del ramo) di 800Nm, come il motore di una supercar…

Cerchiamo di capire meglio con un esempio. Prendiamo un’auto a con motore aspirato a benzina con 100 CV e una turbodiesel di pari potenza massima. Messe a confronto faranno lo 0-100 negli stessi tempi, anche se con una sensazione diversa (spinte più brevi e forti col turbodiesel, più regolare e lunghe con il benzina).  Eppure, se si guarda nella scheda del motore il valore della coppia massima, il turbodiesel avrà oltre 50% di coppia massima in più.

Diesel e benzina: come cambia la curva di coppia

Guardiamo però un grafico che mette a confronto due curve di coppia tipiche di un diesel e di un benzina:

Nel diesel la coppia è subito molto più alta ma cala molto prima e più repentinamente. Ne segue che le marce devono essere maggiormente demoltiplicate (attraverso un riduttore con un rapporto maggiore rispetto a quello dell’auto a benzina) in modo da “barattare” fin da subito coppia (che ha in abbondanza) con velocità, che invece scarseggia. Alla fine, la coppia alle ruote avremo un valore medio molto simile tra i due tipi di motorizzazione, e questo spiega perché accelerazione e velocità massima sono praticamente uguali. Possiamo concludere che per capire come si comporterà un veicolo è necessario esaminare la forma della curva di coppia, caso per caso.

E nelle auto elettriche?

Il motore elettrico, a differenza del termico, la coppia è erogata in modo molto più regolare e non sono presenti le “campane” tipiche del termico. Questo è un tipico andamento della coppia alle ruote e della potenza di un motore elettrico. Assomiglia molto al motore ideale che avevamo visto.

Cerchiamo di capirlo. La curva di coppia parte subito al suo valore massimo e tale si mantiene per un certo tratto. In questo tratto iniziale la potenza cresce linearmente da zero fino ad arrivare al suo valore massimo. A quel punto, valendo la relazione P = C * ω , aumentando ω la coppia deve decrescere non potendo crescere la potenza.

In termini di esperienza di guida un simile andamento della coppia si traduce in una spinta iniziale immediata, forte e regolare nei primi istanti, poi la sensazione di spinta scema con continuità senza gli andamenti sussultori dei motori termici che seguono l’andamento a campana della curva di coppia e le cambiate che per alcuni istanti azzerano la spinta (il tempo di azzeramento nei cambi automatici moderni è in realtà brevissimo, ma comunque resta sempre).

Così il cambio non serve più

Un aspetto notevole del motore elettrico è che non richiede la presenza del cambio (sono presenti pochissimi modelli che utilizzano un cambio a due marce per ottimizzare al massimo alcuni fattori). Il powertrain di una vettura elettrica richiede, oltre al motore, solo un riduttore/differenziale (come nelle termiche) che ha il compito di ridurre la velocità di rotazione e incrementare la coppia alle ruote in un rapporto fisso. Quindi è tutto molto più semplice dal punto di vista meccanico. Fa riflettere pensare a che meravigliose “cattedrali” di ingegneria meccatronica siano i moderni sofisticatissimi cambi automatici, e che servono a fare una cosa di cui il motore elettrico non ha alcun bisogno.

Ricapitolando:

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