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Il prestito a FCA, l’Italia e l’elettrico (secondo noi)

Il prestito a FCA, l’Italia e l’elettrico: una partita che continua a far discutere, su  cui entra in campo l’associazione ambientalista Transport&Environment (T&E) (leggi qui la controreplica di Transport&Environment a questo nostro articolo).

Il prestito a FCA? “Deve impegnarsi sull’elettrico”

L’oggetto del contendere è noto: FCA ha chiesto la garanzia statale su una Lina di credito da 6,3 miliardi che verrebbe erogata da Banca Intesa. Le polemiche sono originate dal fatto che il gruppo automobilistico non ha più né sede legale né sede fiscale in Italia, ormai stabilite a Londra e in Olanda. Ora T&E è entrata nella partita con Legambiente, Kyoto Club, Greenpeace Italia, WWF Italia e Cittadini per l’Aria, Campagna Sbilanciamoci! .

Tutti insieme hanno firmato una lettera inviata al premier Giuseppe Conte e ad altri membri dell’esecutivo. Il succo è: “se FCA vuole accedere al prestito a tasso agevolato e garantito dallo Stato, deve impegnarsi a creare in Italia una catena di valore della mobilità elettrica”​. Ciò al fine “di assicurare la competitività  dell’industria automobilistica italiana e della sua forza lavoro negli anni a venire“.

“Stop alla produzione di auto fossili al 2025”

Secondo i firmatari della lettera, in primo luogo, FCA “deve impegnarsi a garantire che la produzione europea di auto elettriche sia raddoppiata per il 2023, 2024, 2025. E  che questa avvenga interamente in Italia. Deve poi mettere fine alla produzione di auto fossili “non più tardi del 2025”.  Garantendo che il 100% della produzione europea dei propri veicoli elettrici avvenga interamente in Italia almeno fino al 2025.

John Elkann, presidente FCA Group.

Altra condizione: mantenere i livelli occupazionali attuali e indirizzarli verso l’elettromobilità. Deve destinare almeno l’80% del budget ricerca e sviluppo alla catena di valore dei veicoli elettrici o a joint ventures per la produzione di celle agli ioni di litio. Deve infine facilitare la creazione di una gigafactory italiana per la produzione di celle di batterie sostenibili. Unendosi a consorzi con i produttori di batterie seguendo l’esempio dei principali produttori europei…”.

Il nostro parere: non è il prestito lo strumento giusto

No, non siamo d’accordo con buona parte della lettera. Per almeno due buoni motivi. Il primo: non ci piace l’idea di una mobilità elettrica imposta dall’alto, per decreto o per ricatto. Le auto a batterie devono diventare competitive con i veicoli a benzina grazie al progresso tecnologico, cosa che (per gradi) sta puntualmente avvenendo. E non vorremmo che un domani, nel licenziare migliaia di persone, collegasse la decisione con un insufficiente ritorno dai forzati investimenti sull’elettrico. Il secondo: non bisogna fare confusioni, le garanzie statali a questi prestiti nascono per tutelare l’occupazione, non per finanziare la conversione verso motorizzazioni pulite. Non a caso la Francia, nel concedere alla Renault la garanzia su su un finanziamento da 5 miliardi, ha insistito soprattutto sul fatto che non si licenzi e che molte produzioni  ora all’estero vengano fatte rientrare. Lo strumento giusto per sostenere la transizione all’elettrico è rappresentato dagli incentivi, che infatti Parigi ha aumentato da 6 a 7 mila euro

 

 

 

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