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Il paradosso dell’idrogeno verde: frena la decarbonizzazione

L’idrogeno verde torna in auge un pò in tutta Europa. Anche l’Italia l’ha inserito nel suo PNRR, stanziando 3,2 miliardi per la ricerca, la sperimentazione, la produzione e l’utilizzo come vettore energetico. Ma ci sono problemi tecnici ed economici che rendono troppo ambizioso l’obiettivo di breve termine (2030). Lo sostengono due ricercatori italiani dell’Isfor-CNR di Bologna, Nicola Armaroli e Andrea Barbieri, in un articolo pubblicato poche settimane fa sulla rivista internazionale Nature. Ne riportiamo alcuni stralci.

«L’idrogeno molecolare è attualmente prodotto su larga scala, ma utilizzato principalmente per la sintesi dell’ammoniaca necessaria per i fertilizzanti, nei processi di raffinazione del petrolio e per la sintesi del metanolo. È derivato dal gas naturale, e l’energia necessaria per produrlo proviene dai combustibili fossili. Questo idrogeno è chiamato grigio o marrone. Ricercatori, aziende e governi si stanno ora concentrando sull’unica opzione che porta a zero emissioni di CO2, cioè l‘idrogeno verde. In questo caso la materia prima è l’acqua dolce, che viene scissa in idrogeno e ossigeno per mezzo di elettrolizzatori alimentati da elettricità ottenuta da fonti rinnovabili. Attualmente, il prezzo dell’idrogeno verde è almeno tre volte più alto della sua controparte grigia, e la tecnologia degli elettrolizzatori non è sufficientemente sviluppata per produrre milioni di tonnellate di H2 l’anno.

Il caso Italia: come produrre idrogeno verde per 1,6 milioni di tonnellete?

Si prevede che l’idrogeno verde diventerà competitivo sul mercato in circa un decennio, ma anche in questo scenario è importante valutare quanta elettricità, superfici e acqua richiede. Qui ci concentriamo sull’Italia e, per semplicità, assumiamo che l’energia per produrre idrogeno verde provenga solo dal fotovoltaico (PV), la tecnologia rinnovabile predominante».

I due studiosi partono dall’attuale fabbisogno di idrogeno, che in Italia è oggi solamente “grigio”. Ammonta, per gli impieghi citati, a 480 mila tonnellate annue.

Volendolo utilizzare nella siderurgia al posto del carbone, ne servirebbero altre 300 mila tonnellate. E altre 850 mila tonnellate sarebbero necessarie per coprire il 2% degli usi finali di energia entro il 2030 (e il 20% entro il 2050) comprendendo trasporti e riscaldamento.

Servirebbero quindi 1,6 milioni di tonnellate di idrogeno verde, per produrre il quale sarebbe necessario disporre di 85 Terawattora (TWh) all’anno di  elettricità, corrispondenti a circa il 30% della produzione italiana nel 2019. Per generarlo esclusivamente da fotovoltaico occorrerebbe installare 75 GW (e oltre 10 GW di capacità di elettrolizzatori), insieme a un’adeguata capacità di stoccaggio. 

«Il fabbisogno di superficie di 600-750 km2 (quasi il doppio della superficie del lago di Garda) non sarebbe di per sé un problema _ continuano i due ricercatori _. Corrisponde a meno dell’1% dei terreni inutilizzati o abbandonati in Italia. Anche il consumo di acqua dolce non sarebbe un fattore limitante. I quasi 30 milioni di metri cubi necessari corrispondono allo 0,4% dell’uso totale di acqua industriale in Italia.

Impresa impossibile: raddoppiare in nove anni la quota di rinnovabili

Il vero problema è il tasso di diffusione dell’elettricità rinnovabile. Nel decennio 2006-2016, sono stati installati in Italia quasi 20 GW di fotovoltaico. Con un record di circa 7 GW nel 2011 (vedi figura qui sotto). Quindi, l’aggiunta di ulteriori 75 GW in meno di 10 anni è un’impresa enorme che richiederebbe un forte impegno politico. Inoltre, i tre usi dell’idrogeno di cui sopra richiederebbero per l’Italia quasi 11 GW di capacità di elettrolizzatori entro il 2030. Considerando che 40 GW è l’obiettivo per l’intera UE entro il 2030, la prospettiva appare molto ottimistica».

Serie temporale della capacità di generazione elettrica installata da fonti rinnovabili selezionate (sinistra) e il loro tasso di installazione (destra) in Italia. Il picco di circa 1 e 7 GW/a, rispettivamente per l’eolico e il solare fotovoltaico, è stato toccato intorno al 2010-11.

«Nel frattempo, a prescindere da qualsiasi piano per l’idrogeno verde, è necessario un aumento sostanziale della produzione di elettricità rinnovabile per decarbonizzare il sistema elettrico italiano, ora fortemente basato sul gas naturale. L’attuale quota di produzione elettrica rinnovabile in Italia (circa il 40%, 120 TWh/a) deve essere aumentata a circa il 70% (cioè oltre 200 TWh/a) entro il 2030 per raggiungere gli obiettivi dell’UE. È interessante notare che questo significa generare almeno 80 TWh/a di elettricità verde, cioè una quantità paragonabile a quella calcolata per i tre obiettivi dell’idrogeno verde discussi sopra. La somma complessiva, 165 TWh/a, è più del 50% dell’attuale consumo nazionale di elettricità e non è oggettivamente realistico generare ex-novo una produzione così grande in meno di un decennio».

Decarbonizzazione a un bivio: idrogeno o elettrificazione?

«L’idrogeno, in altre parole, pone un dilemma per il futuro del sistema energetico, in Italia e in altri paesi. Finché non avremo grandi surplus di elettricità rinnovabile, cosa che difficilmente avverrà prima del 2030, usare l’elettricità per produrre idrogeno e poi utilizzarlo per alimentare le auto o riscaldare gli edifici è in netto contrasto con l’obiettivo di aumentare l’efficienza energetica dell’UE del 32,5% entro il 2030. Sono già disponibili tecnologie elettriche dirette più mature ed efficienti, come i veicoli a batteria e le pompe di calore».

In conclusione, sostengono Armaroli e Barbieri, è arrivato il momento – non solo per l’Italia ma per tutta l’Unione Europea – di prendere decisioni politiche sulle priorità. Insomma «si deve fare una scelta chiara tra puntare principalmente sull’elettrificazione diretta o sulla produzione di idrogeno».

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