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Cop 28 in Dubai: ultima chance per il clima-show

cop 28 dubai

Con il ritorno dei decisori politici e le prime bozze di  risoluzione finale, da oggi a martedì, giorno di chiusura dei lavori, entra nel vivo dei problemi (e dello scontro sul destino delle fonti fossili) la Cop 28,  Conferenza sul Clima dell’Onu in Dubai.

Lo scontro sulla “fine” del petrolio

Il sultano Al Jaber

Il presidente del summit, il sultano Al Jaber, deve mantenere la promessa iniziale, quando aveva detto che Cop28 avrebbe rappresentato la tappa più rilevante per il Pianeta dall’Accordo di Parigi del 2015.

Sarà vero solo se porterà a un accordo sull’impegno globale ad eliminare o almeno a ridurre progressivamente l’utilizzo dei carburanti fossili. Ma delle quattro bozze circolate ieri, solo la più ambiziosa cita le fonti fossili con la formula della “graduale riduzione“. Le altre non le nominano nemmeno, vagheggiando invece di future tecnologie di cattura del carbonio dall’atmosfera, tutte da inventare e da rendere economicamente sostenibili.

I lobbisti del fossile all’attacco

Come stupirsi? La più kolossal Cop della storia, con 100 mila delegati e un quartiere dedicato grande come il Central Park di New York, è stata presa d’assalto dai lobbisti del petrolio (2.000 delegati) e monopolizzata dai grandi produttori del Golfo, padroni di casa. A cui ha dato voce proprio lo stesso Al Jaber affermando che “non esistono evidenze scientifiche” sul legame tra carburanti fossili e crisi climatica. E a proposito di negazionisti climatici, ha fatto scalpore  l’arrivo a Dubai, giovedì scorso, del presidente russo Vladimir Putin, che finanzia la guerra in Ucraina esportando gas e petrolio.

L’ingresso al quartiere di Cop28 a Dubai, con la grande cupola centrale

Un vertice partito con il piede giusto, centrando al debutto  l’accordo sul Fondo Loss & Damage (obiettivo 100 miliardi di dollari si dotazione annua entro il 2030) a che risarcisce i Paesi più deboli per le conseguenze della crisi climatica, rischia così di concludersi con un flop epocale.

Un primo accordo. Poi palla in tribuna?

Preoccupano soprattutto le parole del ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita Abdulaziz bin Salman. Il regno saudita, ha dichiarato,  non accetterà mai una riduzione graduale, per non parlare dell’eliminazione graduale, dei combustibili fossili. Lo stesso inviato americano per il clima John Kerry ha affermato che la “cattura del carbonio svolgerà un ruolo chiave nel raggiungimento dello zero netto entro il 2050″.

L’impressione, dunque, è che molti paesi stiano cercando di mandare la palla in tribuna pur di non affrontare il problema alla radice.

Restano da definire anche altre due misure chiave di finanza climatica: il sostegno economico dei Paesi ricchi ai Paesi in via di sviluppo sui due fronti dell’adattamento climatico e della transizione ecologica.

Ma la crisi climatica si aggrava

E dire che l’apertura dei lavori era stata preceduta da evidenze sempre più drammatiche sulla crisi climatica.

Il servizio Copernicus Climate Change, finanziato dall’Unione europea, aveva certificato che il 2023 sarà certamente l’anno più caldo della storia. Chiuderà probabilmente a +1,43 gradi rispetto alla media dell’era pre industriale, con ottobre addirittura a +1,7 gradi.

E uno studio della Columbia University pubblicato sull’ultimo numero della rivista scientifica Science ha stabilito che la concentrazione di CO2 in atmosfera non è mai stata così alta (419 parti per milione) da 14 milioni di anni.

In sostanza, il surriscaldamento globale accelera oltre le previsioni e i gas serra in atmosfera hanno raggiunto livelli tali da proiettarci già verso temperature medie globali anche di 5 gradi superiori alla media degli ultimi 800 mila anni, cioè dalla comparsa dell’uomo sulla Terra.

L’intervento di Giorgia Merloni a Dubai

L’Italia? Al passo del gambero

Ciliegina sulla torta,  un rapporto di Germanwatch, NewClimate Institute e CAN che retrocede l’Italia dal 29esimo al 44esimo posto nella classifica delle politiche ambientali. La Danimarca è il paese che è più allineato agli obiettivi. In fondo Emirati Arabi, paradossalmente organizzatori di Cop 28,  Iran e Arabia Saudita.

Ma la premier italiana Giorgia Meloni nel suo intervento in plenaria di venerdì 1 dicembre non ha recepito il messaggio. «L’Italia sta facendo la sua parte nel processo di decarbonizzazione in modo pragmatico» ha detto. Cosa significa? «Un approccio tecnologicamente neutro, libero da inutili radicalismi. Ciò che dobbiamo perseguire – ha sintetizzato con il consueto refrain – è una transizione ecologica, e non ideologica». Per esempio, rispolverando il nucleare.

L’OPEC diffida i suoi: non firmate risoluzioni contro i carburanti fossili

Aggiornamento-Iniziativa senza precedenti, oggi pomeriggio, da parte dell’OPEC che ha inviato una lettera ai 13 Paesi membri dell’organizzazione per diffidarli dal firmare qualsiasi risoluzione finale di Cop 28 che contenga un accenno alla riduzione progressiva dell’utilizzo di carburanti fossili. La lettera è firmata dal segretario generale, il kwaitiano Haitham al-Ghaist ed è stata inviata anche ai 10 grandi produttori di petrolio alleati dell’Opec, i cosiddetti OPEC+, tra i quali figurano anche Messico e  Russia. Un eventuale punto di svolta contro petrolio e gas, si legge, «metterebbe a rischio la prosperità e il futuro dei nostri popoli».

Altre 100 delegazioni presenti al vertice di Dubai, però, hanno chiesto che la risoluzione finale prevede l’eliminazione graduale dei combustibili fossili dal mix energetico mondiale.

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