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Che fare con i negazionisti? Parola allo specialista Antonio Disi

negazionismo climatico

Antonio Disi

Webinar

L’identikit del negazionista climatico e no watt?  Ha problemi d’identità, è in cerca disperata di un gruppo, vuole consolidare la propria appartenenza politica senza dimenticare che nega perchè ha timore di perdere vantaggi e benefici economici.

Lo specialista in negazionisti

Antonio Disi, ricercatore senior di Enea

Il ritratto è offerto da uno specialista: Antonio Disi, ricercatore senior a Enea dove si occupa di divulgazione e studia il negazionismo. E’ curatore dell’edizione italiana, per Franco Angeli, del libro di un esperto internazionale del tema: Lee McIntyre. L’opera è “How to Talk to a Science Denier: Conversations with Flat Earthers, Climate Deniers, and Others Who Defy Reason“. Tradotto: “Come parlare con un negazionista della scienza: conversazioni con terrapiattisti, negazionisti del clima e altri che sfidano la ragione“. Un titolo, un programma.

Quando l’identità vale più della ragione

Abbiamo conosciuto Antonio Disi alla fiera Ecomondo durante un incontro con studenti delle superiori dedicato all’energia. Un gioco, ma molto serio, sui temi energetici con approccio quasi artistico, visto che il ricercatore ha incorporato nel suo metodo paradosso e ironia. Ci vuole arte per divulgare.

Il fenomeno più curioso del negazionismo sono i terrapiattisti

Quali sono alcuni degli elementi che caratterizzano l’atteggiamento negazionista anche davanti all’evidenza dei dati scientifici?

L’identità è un elemento. Il terrapiattista se ne crea una che si rafforza perchè sta dentro un gruppo. Si tratta, infatti, di una teoria di gruppo e uno ci può stare dentro anche se non ci crede veramente. L’appartenenza dà forza e si è convinti di avere conoscenze che gli altri non hanno“. Si creano legami di gruppo molto forti. La logica del branco.

Ci si crea un ‘identità, ma c’è anche il lato opposto ovvero difendere quella che si ha da sempre. “Pensiamo al motore elettrico:  mette in discussione quello termico ma anche un’identità. Un esempio è il trasporto emotivo e l’impegno  con cui molti vivono la Mille Miglia. Sono persone che hanno un culto religioso verso l’automobile e questo li fa sentire parte di una comunità. Mettere in discussione questa identità è pericoloso“.

La forza del condizionamento politico

Un altro elemento che alimenta il negazionismo è l’appartenenza politica. “Si vede bene in relazione ai cambiamenti climatici. Se sono un conservatore nego tutti quegli elementi che mettono in discussione gli interessi della mia categoria. Non riconosco, quindi, l’impatto generato dall’uomo sul clima. Un tema che riguarda soprattutto conservatori e repubblicani statunitensi che rifiutano ogni sacrificio in nome della libertà personale“.

L’ex presidente Usa Trump

I veicoli elettrici infatti “Non ti offrono la stessa libertà rispetto a quelli termici soprattutto nei contesti dove non c’è quasi alternativa all’automobile. Mentre nei comuni di cintura ci sono più opportunità offerte dal servizio pubblico“.

I test drive li fa chi ha già cambiato idea

Antonio Disi ci parla del dato normativo. “C’è diffidenza e e paura della norma, della regolamentazione e il timore che questa possa crearmi disagi, cambiare la mia vita e stravolgere le mie abitudini. La curva Rogers (un modello usato per illustrare il modo in cui l’innovazione viene adottata dai differenti individui in un sistema sociale Ndr) dimostra che quando un’innovazione arriva sui mercati solo il 4,5% delle persone la adatterebbe. Sono quelli dell’innovazione a qualsiasi costo, come chi fa la fila per comprare l’ultimo modello di cellulare. Infine ci sono i ritardatari che rappresentano il 10/15% della popolazione“. Gli ultimi a salire a bordo.

Un test drive in città

La gran parte delle persone sceglie la tecnologia che gli può essere più utile. L’automobile può essere più facile da cambiare rispetto alla casa: basta recarsi alla concessionaria e provarla con un test drive. Ma quante persone lo fanno? Poche. La prova la fanno quando hanno già cambiato idea“.

Analisi tutta al negativo? “La visibilità della tecnologia è un fattore positivo: le auto elettriche stanno aumentando e la loro presenza è sempre più percepita nei centri urbani. Ormai per i ragazzi è anche normale usare il monopattino mentre nei piccoli comuni ti possono ridere dietro. La norma sociale è importante anche per la diffusione della tecnologia”.

Che fare? Elettrico nelle autoscuole, attenzione ai conflitti interni al mondo green

Mancano le conoscenze per contrastare la disinformazione dei negazionisti. “Sapere che si deve trasmettere nelle autoscuole dove oggi il motore è solo quello termico. Ma ci vuole perizia per trasmettere le conoscenze”.

Un altra leva è quella economica: “Lo sharing in alcuni contesti potrebbe scardinare alcuni meccanismi. I ragazzi della generazione Z sono molto sensibili e meno legati a interessi di parte, ma dipende dal contesto sociale“.

E cosa devono fare i fautori dell’elettrico? “Riprendo l’analisi dell’economista americano Michael Munger.  Ci sono coloro (direzionalisti) che sostengono qualsiasi soluzione che porta verso l’obiettivo finale. Ma anche chi (destinazionisti) invece  è attento alle modalità e magari non accetta le soluzioni transitorie e  questo genera conflittualità“.

Su questo tema Disi cita un recente articolo di The Guardian dedicato ai secondi, i destinazionisti, che “bloccano e rifiutano tutto ciò che non si adatta alla loro visione perfetta. Se vogliono vedere un mondo senza auto, spingono contro i veicoli elettrici (EV), anche se taglierebbero di molto le emissioni“.

Non basta la tecnologica, ci vuole comunicazione

Non bastano gli investimenti in tecnologia per accompagnare il cambiamento” sottolinea  Disi: “Si può utilizzare anche l’arte per comunicare. I tecnologi, faccio l’esempio del 110% dove ho lavorato, sono andati a presentare il lieto fine ma si doveva raccontare bene la storia, mettendo in evidenza tutti i problemi legati al non intervento“.

Sugli incentivi ecologici non utilizzati? “Servono dei bravi narratori perchè non compri dal progettista, ma da un venditore“. Bisogna puntare sul meccanismo dell’agire sottolinea Disi: “Non basta la norma, bisogna coinvolgere le persone“.

Quando il tabacco faceva bene

La disinformazione pilotata, la storia delle multinazionali del tabacco negli anni 50

Oggi si fa il pieno di narratori negazionisti che puntano a mettere in dubbio la scientificità degli studi a favore della propulsione elettrica. Su questo punto Disi torna indietro nel tempo: “Pensiamo alla pericolosità del fumo. Il negazionismo delle multinazionali del tabacco negli anni 50  quando insinuavano dubbi sugli articoli scientifici, sostenevano che non erano veri e attaccavano le evidenza scientifiche”.

La potenza della narrazione: ExxonMobil per esempio…

Spesso queste campagne si basano sulla potenza della narrazione. Dopo le multinazionali del tabacco Disi ricorda quelle dei produttori di idrocarburi: “Negli anni ’80, la ExxonMobil elaborò una narrazione persuasiva, seminando dubbi sulla scienza del clima e dipingendo gli ambientalisti in modo negativo. Nonostante fosse basata su menzogne, questa narrazione ha colpito individui influenti, tra cui giornalisti e politici“.

Una storia che si potrebbe ripetere, ma per ridimensionare il negazionismo. “Bisogna sempre contestualizzare. Faccio un esempio: puntare solo sulla leva economica per la riqualificazione energetica per un reddito medio non è molto importante. Meglio puntare anche sui benefici del comfort, delle condizioni di salute indoor“.

Mettere in risalto, insomma, che si tratta di un investimento sul proprio benessere e dei propri cari. Se volete seguire Antonio Disi, qui il link al suo blog  100 WATT dove leggere i suoi scritti e trovare i riferimenti ai suoi libri.

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