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Che colore ha l’idrogeno? Due parole sulla produzione

colore idrogeno

Dopo il grande interesse (e l’acceso dibattito, vedi  commenti) suscitato dal precedente articolo, il professor Alessandro Abbotto, Direttore del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano – Bicocca, torna sull’argomento del “colore dell’idrogeno”, in particolare su quello verde. E sulle tecnologie di produzione e stoccaggio. Ecco il suo contributo, per il quale lo ringraziamo sentitamente. 

di Alessandro Abbotto

Si parla sempre più di idrogeno come vettore energetico, non solo nei paesi più avanzati dal punto di vista delle strategie (vedi Germania, Giappone, parte degli USA, ecc.) ma adesso anche in Italia. Nei giorni scorsi il Ministero dell’Università e della Ricerca italiano ha pubblicato le prime linee guida per la strategia nazionale sull’idrogeno. Citando dal sito del Ministero, il documento mette in rilievo “la produzione e l’impiego dell’idrogeno come risorsa energetica nel prossimo decennio e il ruolo dell’Italia nell’ambito del Green Deal europeo e del programma quadro per la ricerca e l’innovazione Horizon Europe”.

Idrogeno nel mirino da Roma a Bruxelles

Questo documento governativo origina infatti dal programma europeo sulla transizione ad un sistema energetico decarbonizzato e al ruolo chiave della “hydrogen economy” sviluppato in luglio dalla Commissione Europea. In questo documento la Commissione von der Leyen fissa gli obiettivi per la produzione di idrogeno pulito. In sintesi: installazione di 6 GW di elettrolizzatori per la produzione di 1 milione di tonnellate di idrogeno verde entro il 2024; 40 GW e 10 milioni di tonnellate entro il 2030, con un investimento di oltre 500 miliardi di Euro (vedi qui).

Ma, forse ancora più rilevante, la Commissione Europea mira a dare all’idrogeno un ruolo primario in tutto il sistema energetico integrato entro il 2030. Cioè estendere l’applicazione dell’idrogeno verde ai vari comparti industriali e alla mobilità pesante (TIR, navi, treni). Nonché sviluppare, entro i successivi 20 anni, tecnologie mature e a basso costo, impiegabili su larga scala in tutti quei settori dove altre tecnologie di decarbonizzazione non sono possibili o hanno costi maggiori. Nel contesto italiano la previsione per il 2050 è addirittura che l’idrogeno soddisferà il 25% dell’intero fabbisogno energetico.

Il colore dell’idrogeno, grigio e blu

Prima di vedere in dettaglio la prospettiva del nostro governo, che potrà essere oggetto di un articolo a parte, conviene cominciare a fare un po’ d’ordine sull’argomento, a partire proprio dalla produzione dell’idrogeno. Negli ultimi tempi si comincia sempre di più a parlare di colore dell’idrogeno: grigio, blu e verde. L’”idrogeno grigio” è quello “sporco”, prodotto dai combustibili fossili, in particolare dal metano tramite la reazione di steam reforming, che produce CO2. Purtroppo, al momento, l’idrogeno grigio copre la maggior parte dell’idrogeno prodotto. Se la stessa reazione viene associata alla cattura della CO2 prodotta, quindi evitando l’emissione di gas climalteranti nell’atmosfera, allora si parla di “idrogeno blu”, che sta attraendo sempre più l’interesse dei grandi produttori di energia nel mondo (e anche in Italia, vedi Eni).

Il colore dell’idrogeno: due sfumature di verde

Infine, il migliore e l’unico veramente pulito, è l’”idrogeno verde”, a cui abbiamo accennato nell’articolo sulle strategie commerciali di trasporto pesante da parte di Hyundai. Ed è sull’idrogeno verde che, prima o poi, meglio prima, anche i grandi produttori dovranno focalizzare, per varie ragioni, la loro attenzione.

Produzione di idrogeno verde per elettrolisi, impianto H2 South Tyrol

L’idrogeno verde è l’unico che assicura due importanti vantaggi: 1) utilizzo primario di fonti rinnovabili (quindi non fonti fossili); 2) emissioni zero (solo vapore acqueo). Al momento vi sono due strategie principali per produrlo. La prima implica in realtà un doppio passaggio. E’ la produzione di elettricità green da fonti rinnovabili accoppiata all’uso di un elettrolizzatore, che scinde l’acqua nelle sue componenti, idrogeno ed ossigeno molecolari (H2 e O2).

Si tratta della tecnologia verde ad oggi più matura, già utilizzata in molti ambiti (ad esempio nell’unica stazione italiana di rifornimento di idrogeno nell’Autobrennero a Bolzano costruita da H2 South Tyrol, in cui viene utilizzata energia da idroelettrico).

Cattedrale nel deserto? Proprio così

Per chi obietta che si tratta di “cattedrali nel deserto” si può citare ad esempio (proprio a proposito di deserto) il progetto della città futuristica NEOM (Arabia Saudita), nel deserto vicino al Mar Rosso, ovvero uno dei centri mondiali del petrolio. Qui tutta la città (che dovrebbe ospitare, nel progetto, milioni di persone) utilizzerà esclusivamente idrogeno verde. Per questo progetto è prevista la costruzione nei prossimi anni del più grande impianto al mondo di produzione di idrogeno verde (4 GW!), a partire da eolico e fotovoltaico (vedi qui vedi qui e qui).

Fotosintesi artificiale, il Santo Gral dell’idrogeno

Ma questa non è l’unica tecnologia verde. Ne esiste un’altra che salta il doppio passaggio e parte direttamente da Sole e acqua: la fotosintesi artificiale. In un processo di fotosintesi artificiale, che mima la fotosintesi naturale (da cui il nome), dei composti, chiamati fotosensibilizzatori (o antenne molecolari), in combinazione con alcuni catalizzatori, catturano efficacemente la luce solare promuovendo la reazione di scissione dell’acqua in idrogeno ed ossigeno.

Ad esempio, una di queste strategie, quella fotoelettrochimica  richiama da vicino quella delle celle a combustibile, la quale produce acqua da idrogeno ed ossigeno, ma vista al rovescio. Qui si ha una cella elettrochimica dove un elettrodo fotoattivo cattura, grazie alle antenne molecolari sintetiche, la luce del sole ed innesca un processo di trasferimento di elettroni. Esattamente come fanno le clorofille nelle piante, ma in maniera molto più efficiente. Alla alla fine, tramite l’intervento di opportuni catalizzatori (il cui ruolo troviamo anche nella versione naturale della fotosintesi), scinde l’acqua in idrogeno ed ossigeno.

La tecnologia c’è, ma non ancora matura

Questa tecnologia non è ancora matura per il mercato a causa della bassa efficienza e degli alti costi (ma non si dimentichi che anche la fotosintesi naturale è a bassissima efficienza di conversione energetica, meno dell’1%, eppure funziona!). Ma a livello di ricerca è ormai molto sviluppata (in realtà i primi esempi risalgono addirittura agli anni ’70 del secolo scorso). E ha incontrato recentemente l’interesse prioritario della Commissione Europea, nei programmi di ricerca di punta (ad esempio la partnership europea SUNERGY, in cui l’Italia riveste un ruolo chiave), e di molte industrie. Non solo nel comparto energetico, ma anche produttivo. Per esempio, chimico, dove l’idrogeno trova già oggi largo impiego per la sintesi di importanti derivati industriali.

Quando arriverà? Arriverà

Nel nostro Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano-Bicocca, tra gli altri, stiamo sviluppando da alcuni anni un centro di eccellenza proprio in questo ambito. Si aggancia al progetto “Dipartimenti di Eccellenza” del Ministero della Ricerca e Università,  in stretta collaborazione con altri centri di ricerca nazionali ed esteri e industrie del comparto energetico.

Come sempre in questi casi è difficile fare previsioni accurate. Si preferisce parlare di “scenari”, da quelli più conservativi (o addirittura immobili, ovvero business-as-usual) a quelli più avveniristici. Il punto in comune di tutti questi scenari è però che è sempre previsto un aumento, in alcuni casi significativi, dell’utilizzo dell’idrogeno nel prossimo futuro. Le proiezioni al 2050 prevedono la totalità di idrogeno prodotto in larga scala in forma “blu” e “verde” (vedi piano della Commissione Europea sopra citato). 

Idrogeno o batterie? Entrambe

In conclusione, batterie di nuova generazione, idrogeno, trasporto sostenibile, industria verde, sono tutte facce della stessa medaglia che ormai stanno guidando il mondo intero verso una nuova transizione energetica, ormai già in atto. Rallentarla, o addirittura negarla, ad esempio ancora incentivando il trasporto su gomma a base di combustibili fossili, a mio parere non solo non giova all’ambiente, al clima e alla salute delle persone, ma ormai appare anacronistica, superata e, tutto sommato, poco difendibile.

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