Site icon Vaielettrico

Batterie/2 Il sogno impossibile della ricarica in 5 minuti

Nella seconda puntata di questo approfondimento tecnico sulle batterie l’ing.Milani prende in esame i limiti fisici della ricarica. Spiegando il concetto di C-rate, e perchè nessuna cella, con le chimiche disponibili, possa sopportare le potenze teoricamente necessarie a “fare il pieno” in 5 minuti.

di Vittorio Milani

Caricare una batteria come se fosse un serbatoio di benzina, sarà possibile?  La ricarica super-veloce è come la ricerca nel Sacro Graal.  Si migliora sempre, ma non si può andare contro le leggi della fisica e della chimica. 

La cella e la sua velocità: il C-rate

Abbiamo visto nell’articolo precedente i concetti di base relativi alla cella elettrochimica, e come le celle possono essere connesse per creare una batteria. Riprendiamo il discorso ricordando la grandezza fondamentale che caratterizza una cella, la sua capacità, ovvero la quantità di carica elettrica che la cella può contenere. Il suo valore si esprime indirettamente indicando l’intensità di corrente che la cella è in grado di fornire mediamente nel tempo di un’ora:

Data una cella con una certa capacità, viene spontaneo chiedersi quanto tempo sia necessario per ricaricarla.   La risposta si nasconde in un indicatore, che si chiama C-rate, poco conosciuto, che indica proprio la velocità di carica/scarica di una cella e che dipende (principalmente) dalla sua specifica tecnologia. Il C-rate è un numero seguito una “C”. Sembra un po’ criptico, ma un esempio chiarisce meglio di molte parole. Prendiamo una cella come quella della figura sotto e leggiamo le indicazioni sull’involucro:

Batterie e ricarica/ Partiamo dall’etichetta delle celle

2600 mAh: indica la capacità elettrica: questo significa che la cella è in grado fornire una corrente media di 2600 mA (ovvero 2,6 ampere) per un un’ora. Se non è specificato nulla, come nel nostro esempio, è sottointeso che il C-rate valga 1C, cioè che la cella è concepita per trasferire una quantità di 2600 mAh di carica elettrica proprio in un’ora senza effetti negativi.

Se ci fosse stato scritto 2C avrebbe significato una scarica a 5200 mAh (il doppio), nel tempo di 1/2 ora, quindi due volte più veloce; 3C una corrente di 7220 mAh in 1/3 ore (venti minuti) cioè tre volte più veloce, e così via.  Tutto ciò vale anche per le velocità più lente: ad esempio 0,3C (con un numero minore di uno) significa scaricare la cella con una corrente di 2600/3 = 866 mAh in 1/0,3 ore, cioè oltre tre ore. Questa tabella chiarisce tutto:

Batterie e ricarica/ Il C-rate tradotto in tempo

Nell’immagine sotto abbiamo un caso particolare relativo ad una cella concepita per reggere correnti molto intense, infatti troviamo scritto 20C. Si tratta, in realtà, di un valore altissimo che riguarda batterie speciali che devono fornire grandi quantità di corrente per un tempo breve (come nel caricatore che usa l’elettrauto per far rinvenire la classica batteria 12V “morta” che ci ha lasciato a piedi).

Batterie e ricarica/ Significato del C-rate: più il numero è alto e più la carica/scarica è veloce in quanto il tempo richiesto (in ore) è dato da un’ora diviso il numero prima del “C”.

Normalmente il C-rate nominale non è riportato per varie ragioni. Una di queste è che il C-rate reale è un dato molto ballerino (come sempre in questo campo, non siamo nella meccanica!) perché dipende molto dalle condizioni operative. Tuttavia, è un indicatore molto utile per dare una base di riferimento. Vedremo esempi più avanti. Il C-rate delle celle agli ioni di litio in commercio variano tra 1C e 2C, con alcuni casi che arrivano a 3C.

Ma noi vogliamo la ricarica più veloce!

Certo, il desiderio più sentito è quello di fare, quando serve, ricariche il più possibile veloci; quindi, non ci accontentiamo di un C-rate di 1C che equivale ad un’ora. Cosa succede se cerchiamo, per velocizzare le cose, di caricare una batteria con un C-rate alto o molto alto (che vuol dire “spingere” corrente più elevata nella cella)?

La risposta è: dipende. Se si esagera con l’intensità per un tempo prolungato sicuramente si danneggerà la batteria per il surriscaldamento. Se invece si utilizza un C-rate elevato ma non in modo esagerato e per periodi di tempo controllati, si possono avere due effetti collaterali: il primo è una riduzione più o meno accentuata delle prestazioni della batteria nel lungo periodo. Il secondo è l’effetto indesiderato di non riuscire a sfruttare interamente la capacità della batteria.

Per capire quest’ultima affermazione vediamo cosa succede ad una batteria che viene scaricata a diversi C-rate (ma vale anche per la ricarica) aiutandoci con il grafico sotto.

Batterie e ricarica/ Aumentando la velocità di carica/scarica, la tensione resta più bassa e alla fine l’energia traferita sarà minore.

L’asse orizzontale rappresenta il livello di scarica (100% vuol dire vuoto). Sono mostrate tre scariche complete usando tre intensità di corrente diverse (corrente bassa a 0,3C, normale a 1C, intensa a 2C). Ovviamente il tempo si riduce in proporzione, come abbiamo visto: 0.3C significa tre ore, 1C un’ora, 2C mezz’ora. Ma osserviamo come si comporta la tensione V: si vede che più aumenta la corrente (cioè la velocità di scarica) più la tensione si mantiene bassa.

Questo significa che la curva della scarica ha seguito “percorsi” differenti per quanto riguarda la tensione. In altre parole, aumentando il C-rate la tensione V resta sempre più bassa; e dato che la potenza, cioè al secondo, vale P=V*I, alla fine l’energia totale trasferita sarà minore. Tutto ciò vale anche per la ricarica, basta leggere il grafico da destra a sinistra.

Quindi, in conclusione: se si forza corrente maggiore di quella prevista (1C) si guadagna tempo ma alla fine l’energia traferita sarà minore di quella nominale.

In pratica, per andare più veloci abbiamo perso per strada una quota di energia, che è la cosa che ci interessa di più. Si conferma che la batteria, come contenitore di energia, non è una tanica rigida, come avevamo già detto nel precedente articolo, piuttosto un contenitore flessibile.

Batterie e ricarica/ Un serbatoio di benzina è un contenitore rigido con una capacità data dai litri che può contenere; una batteria assomiglia di più a un contenitore flessibile, l’energia contenuta dipende da come è stata caricata

L’arte della ricarica: una faccenda non banale

Veniamo al cuore della faccenda, come avviene la ricarica. Il caricatore è un dispositivo fondamentale. La batteria gli deve tutto. È lui che si “carica” sulle spalle un lavoro di enorme responsabilità: riempire di elettroni ognuna delle delicate celle del pacco batteria cercando di rispettare la suscettibilità delle stesse, che non amano essere maltrattate. Vediamo come opera l’algoritmo di un caricatore-tipo osservando il grafico che mostra le fasi della ricarica nel ciclo di una singola cella agli ioni di litio, tenendo presente che, a seconda della logica applicata dallo specifico caricatore, possono esserci differenze anche significative.

Le linee del grafico rappresentano:

VCELL (verde) è la tensione della cella; ICH (blu) è la corrente di carica; T (rossa) è la temperatura.  L’asse orizzontale rappresenta il tempo.

L’algoritmo di carica segue tre fasi distinte:

Fase 1: La prima fase è detta “trickle charge” e serve in realtà per far “rinvenire” una cella molto scarica, con una tensione precipitata verso i 2 volt. Fino a quando la tensione si mantiene al di sotto dei 2.8V la cella è caricata con una corrente costante a bassissima intensità, intorno a 0.1C.  Evidentemente non è una cosa furba arrivare a scaricare a tal punto la batteria, e infatti il sistema di gestione della batteria (BMS) normalmente lo impedisce.

Fase 2: detta ” fast charge” è la fase di carica più efficace. La cella è caricata a corrente costante con il valore massimo di 1C o anche più per un tempo limitato (vedremo esempi reali più avanti). La tensione cresce lentamente fino ai 4,2 V mentre la batteria si ricarica arrivando all’80-90% di carica. Raggiunto tale valore il caricatore interrompe la fase 2 e attiva la fase 3.

Fase 3: La terza fase detta ” costant voltage charge”. La cella, come detto, è ormai quasi piena. L’algoritmo a questo punto mantiene costante la tensione a 4,2 V e lascia che la cella assorba fino all’ultima goccia di carica elettrica. In questa fase è la cella che stabilisce l’intensità di corrente, che inizia a scendere progressivamente (e con essa l’energia trasferita) fino a livelli talmente bassi che l’algoritmo decide di porre fine a questa sorta di agonia.

È l’energia, quella che ci interessa veramente

Nel descrivere come avviene la ricarica abbiamo sempre parlato di corrente e tensione. E l’energia? Sappiamo che la potenza (che è la misura dell’energia trasferita al secondo) vale:

P = V * I

e che l’energia non è altro che la potenza per il tempo:

              E = P * t

Si vede chiaramente che durante la fase 2, dove sono alte sia la tensione sia la corrente, la potenza di ricarica (V * I) è massima; è in questo intervallo di tempo che avviene il massimo trasferimento di energia.

La ricarica in 5 minuti: possibilià o vana speranza?

Sarebbe bello, ma andiamo con ordine. Abbiamo visto nella la prima parte che la batteria è un insieme di celle collegate in un certo modo. Quindi dobbiamo guardare a quello che succede a livello della singola cella per capire se può essere ragionevole pensare che da un momento all’altro qualcuno inventi e metta sul mercato una cella che può essere “ricaricata” in cinque minuti con caratteristiche adatte per l’autotrazione.

Una cella elettrochimica non è paragonabile a una bottiglietta che basta riempire sotto pressione per ottenere un riempimento veloce.  Il funzionamento della cella si basa su processi chimico-fisici che richiedono tempi “fisiologici” per compiersi.  Il vero limite è la quantità di potenza che la singola cella è in grado di sopportare, e che dipende (oltre che dalla dimensione) dalla sua tecnologia, pena la distruzione della cella stessa. Oggi le tecnologie disponibili adatte per l’autotrazione non permettono di ricaricare una cella in cinque minuti. Ma la ricerca continua, stiamo assistendo a continui miglioramenti e credo che siamo ancora lontani dai limiti oltre i quali i guadagni saranno talmente marginali da “pensare a qualcos’altro”.

Mi si permetta una annotazione a margine. Quando si parla di BEV il termine “ricarica” è un concetto forzato; abbiamo visto l’andamento della ricarica che non è un tubo infilato in un serbatoio ma qualcosa di molto più complesso.  Usare l’espressione ricaricare dal 20 % all’80 o dal 10% al 90%, andrebbe già meglio. Ma purtroppo ognuno si esprime come ritiene quando ci si inoltra sul terreno minato del tempo di “ricarica”, e a seconda dell’ideologia personale in tema di BEV sentiamo dire che ci vuole “ben” oppure “solo”. Ma questa è un’altra storia.

Nota: esiste una tecnologia che permette di immagazzinare e prelevare energia elettrica in tempi rapidissimi: quella dei supercapacitori (che non usano le “lente” reazioni chimiche ma si basano su proprietà elettrostatiche). Purtroppo presentano limiti importanti di capacità (e attualmente anche di costi). Si prevede che si utilizzeranno sulle BEV più prestazionali (e costose) in accoppiata con le tradizionali batterie in modo da sollevare quest’ultime dallo stress di fornire energie elevate per tempi brevi (ad esempio nelle grosse accelerazioni o nelle frenate decise.

Quando serve, e quando no, la ricarica HPC

Quanto detto ha ripercussioni dirette in tema di ricariche veloci, e vediamo subito perché il matrimonio tra una batteria di 50 kWh e un corpulento caricatore HPC da 350 kW non sa da fare (e perché si deve accontentare in onesto caricatore veloce da 100 kW).

Ad un ritmo 1C, quello che prendiamo come riferimento, ci vorrebbe, per definizione, un’ora. Questo sarebbe piuttosto deludente. Ma nelle ricariche veloci si forzano un po’ le cose, e questo spiega perché è sconsigliabile ricaricare sempre con questa modalità.

Navigando per il web ho cercato di capire quale fosse la velocità di ricarica in modalità ultra-veloce per i vari modelli sul mercato. La media che ho riscontrato è intorno a 1,7C, cioè circa 35 minuti.  In realtà si riscontra molta variabilità, si va da poco più di 1 fino al notevole 3 di un recente modello coreano (Hyundai Ioniq 5, tanto per non fare nomi). Noi, a scopo didattico, prendiamo questo valore medio di 1,7. Facciamo due esempi per chiarire bene il significato pratico.

Esempio 1– Abbiamo una batteria di 50 kWh; per ricaricarla dal 10% all’90% bisogna immettere 40 kWh.  Al ritmo 1,7C si caricano in 1/1,7 = 0,588 ore, ovvero 35,3 minuti. La potenza media di ricarica risulta i 40 / 0,588 = 68 Kw. Quindi la nostra “piccola” BEV di un super caricatore HPC da 350 kW non se fa niente.

Esempio 2 -Abbiamo un’auto con batteria da 100 kWh. Dal punto di vista del tempo di ricarica non cambia nulla rispetto alla batteria più piccola, a 1,7C, il tempo resta sempre di 35,3 minuti.  Quello che cambia è la quantità di energia totale caricata, perché la potenza media di ricarica risulta di 80 / 0,588 = 136 Kw). Un questo caso un caricatore di 200-250 kW è quindi necessario.

Ripetiamo che questi sono valori indicativi a scopo didattico.  Ma vediamo in dettaglio una curva di ricarica vera, come quella mostrata nella figura seguente, che si riferisce ad una Tesla da 75 kWh presso un super-charger V3 in grado di fornire 250 kW. Le ho riprese navigando sui siti specializzati, ovviamente possono variare significativamente. È possibile trovare in rete molte analisi di appassionati del settore (non solo riguardanti Tesla).

Batterie e ricarica/ Il caso di una Tesla 75 kW: il picco di potenza di 250 kW arriva al 30% del livello di carica (SOC), poi crolla.

Osservando il grafico si vede che effettivamente i 250 kW sono raggiunti, ma mantenuti solo per poco tempo. Poi la potenza scende repentinamente, e successivamente più dolcemente nel lungo tratto finale. Come interpretiamo tutto ciò?  Appare evidente che sono le celle delle batterie a imporre il loro gioco (torniamo alle celle!) perché evidentemente non sono in grado di reggere potenze intense per molto tempo.

Se vogliamo vederla in termini di C-rate, osserviamo il grafico, che ricalca ovviamente quanto visto prima:

Batterie e ricarica/ La curva di ricarica in termini di C-rate

Si vede anche a occhio: dopo un breve picco che supera 3C, il valore medio del C-rate tra 10 e 80% si attesta intorno al valore che avevamo ipotizzato di 1,7C.  Anche il “teslaro” più accanito deve arrendersi alla chimica delle celle agli ioni di litio, quantomeno nella versione tecnologica utilizzata. Resta il fatto che questo andamento ci fornisce una indicazione pratica: per risparmiare tempo conviene fare rabbocchi più frequenti e veloci quando la batteria si trova tra il 10 il 40% di ricarica piuttosto che quando è vicina allo zero, o, all’opposto, quando è ancora molto carica.

In conclusione, possiamo dire che allo stato attuale pensare riempire da 10 al 90% in 5 minuti sia ancora un miraggio per i limiti fisico-chimici delle celle; ma il fatto che ci siano già oggi auto che riescono farlo in meno di 20 minuti fanno pensare che forse ci si possa avvicinare in tempi non lontanissimi.

Con le termice non c’è gara. A meno che…

I meno giovani si ricorderanno quella pubblicità: “Non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello!”. Giocando con quello slogan diciamo che, nel caso della ricarica delle batterie, funziona così: per avere una grande ricarica ci vuole una grande batteria.

Se proprio vogliamo, anche con le attuali batterie è possibile teoricamente fare una “ricarica” in 5 minuti. Ma servirebbe tanta roba. Facciamo un esempio “per assurdo” per capirci. Supponiamo che, nello spirito di rivaleggiare con i motori termici, vogliamo poter ripristinare 500 km di autonomia autostradale in 5 minuti. Facciamo due calcoli.  Con un consumo ipotetico di 20 kWh / 100km dovremmo imbarcare 100 kWh per avere i nostri 500 km di autonomia autostradale. Per prima cosa chiediamoci che potenza dovrebbe avere il caricatore esterno.  Cinque minuti in ore sono 5 /60 = 0,083 ore; quindi, basta dividere 100 kWh per 0,083 e risulta 1200 kW di potenza. Non male, però tecnicamente non impossibile.

Ma veniamo alla batteria. Dal punto di vista della singola cella, 5 minuti significano caricare a velocità 12C (infatti 1 / 12 fa 0,083 ore, cioè 5 minuti. È un flusso di corrente impossibile da sostenere con le attuali tecnologie. Supponiamo che il massimo accettabile sia 3C. Ci sarebbe una soluzione: distribuire questa corrente destinata ad una cella  in 4 celle in modo che ognuna riceva un quarto della corrente.  Quindi alla fine dei cinque minuti le 4 celle saranno riempite solo a un quarto della loro capacità massima. Ma se uso quattro celle riempite per un quarto anziché una riempita per intero, per avere la capacità iniziale devo moltiplicare la dimensione della batteria per quattro. Il risultato è che la batteria da 100 kWh diventerebbe di 400 kWh, con un peso di circa 2,5 tonnellate, piuttosto improponibile anche per un grosso SUV!

In attesa di una nuova chimica che faccia fare clamorosi passi avanti dobbiamo rassegnarci: per avere una ricarica grande ci vorrebbe una grande batteria. Ma forse conviene riflettere sul concetto “di fare il pieno”, lascito di un paradigma mentale che deriva dalle auto termiche, che sarebbe meglio abbandonare una volta per tutte. Nessuno parla di “fare il pieno” a proposito di uno smartphone, chissà perché.

Gli 800 volt un mito senza senso: comanda la cella

Ci cascano in tanti.  L’auto elettrica a 800 volt, che meraviglia, metà dei problemi risolti! Complice la relazione della potenza P = V * I, si pensa che alzando la tensione (e quindi abbassando la corrente a parità di potenza) si risolvano tutti i problemi. È vero, un sistema a 800 V offre diversi vantaggi e permette di ridurre la dispersione termica grazie alle correnti minori, risparmiando sulla sezione dei cavi; non è un caso che gli elettrodotti delle dorsali nazionali trasportano energia ad un ad una tensione di centinaia di migliaia di volt.

Questo ragionamento, per una deduzione del tutto fallace, spesso viene estesa al concetto della ricarica: si pensa che con 800 volt si può ricaricare il doppio più veloce rispetto ai 400 volt. Questo è FALSO!

In realtà, se abbiamo compreso quanto fin qui quanto spiegato su come funzionano le cose dentro una batteria, ci rendiamo conto che a una singola cella non interessa nulla di come e quanta energia si pompa dall’esterno nel pacco batteria. 

La tensione di sistema può essere di un milione di volt, ma la singola cella lavora sempre tra i 2,8 e i 4,2 volt durante tutta la carica. E la corrente deve rimanere entro certi limiti, altrimenti si distrugge tutto (lo abbiamo visto bene nei grafici dell’andamento della ricarica). Il fatto che si carichi a 800 V dall’esterno non interessa minimamente alla singola cella. La tensione di ricarica, qualunque essa sia, viene ridotta, attraverso il collegamento in serie di un numero di celle adeguato, ai valori di tensione nominale della cella, cioè 3,7 V.

I vantaggi degli 800 volt al momento non sembrano giustificare in modo netto le complicazioni e costi derivanti da impianti più complessi da gestire (si pensi alla necessità di neutralizzazione del rischio di folgorazioni). In ogni caso è comunque probabile che ci si sposti sugli 800 V.  Anche perché eventuali mezzi pesanti elettrici, con le loro grandi batterie, richiederanno potenze di ricarica poderose per ricaricarsi in tempi ragionevoli; allora una stazione HPC a 800 V, o anche più, avrà senso.  Per ora non ce l’ha, e se nemmeno uno che se ne intende (Tesla) fino ad oggi non vi ha fatto ricorso, un motivo ci sarà. Vedremo.

Ingegnere, già dirigente d’azienda in ambito multinazionale automotive e non solo, ora consulente aziendale.  Appassionato della prima ora ai temi della mobilità elettrica e della transizione energetica, ultimamente si cimenta come divulgatore per le cose che un po’ conosce. Crede nella tecnologia perché non crederci è peggio.

Riassunto:

-Iscriviti alla Newsletter e al canale YouTube di Vaielettrico.it-

Exit mobile version