Ho grande stima di Sergio Marchionne e so che non è uomo da parlare a ruota libera, senza aver dato il giusto peso alle parole che sta per pronunciare. Ecco perché val la pena di riflettere (cercando una spiegazione) sul duro attacco all’auto elettrica fatto dal grande capo di FCA mentre riceveva la laurea honoris causa in ingegneria meccatronica a Rovereto. Il manager italo-canadese ha parlato di <un’arma a doppio taglio> e addirittura di <una minaccia all’esistenza stessa del nostro pianeta>, invitando al realismo: <Le auto elettriche possono sembrare una meraviglia tecnologica soprattutto per abbattere i livelli di emissione nei centri storici>, ha aggiunto, <ma le emissioni, quando l’energia è prodotta da combustibili fossili, nella migliore delle ipotesi sono equivalenti a un’auto a benzina, visto che a livello mondiale due terzi dell’energia elettrica deriva da fonti fossili>.
L’attacco, dicevo, è sorprendente, anzitutto perché arriva nel giorno in cui, dopo tedeschi, francesi e giapponesi, anche i maggiori concorrenti Usa annunciano giganteschi investimenti sui veicoli spinti da batterie: la Ford ha addirittura creato un comitato interno denominato Team Edison per accelerare l’arrivo di nuovi modelli, mentre la General Motors ha fatto sapere che lancerà due macchine nei prossimi 18 mesi e ben 20 entro 5 anni. La Fiat no, si appella a ragioni ecologiche pur sapendo che è proprio nelle grandi aree urbane che si registrano i maggiori casi di inquinamento e che qui l’elettrico potrebbe dare un grando aiuto per combattere non solo gli scarichi nocivi (zero), ma anche il rumore. E’ poi vero che l’energia elettrica deriva ancora in buona parte da fonti fossili, ma è altrettanto vero che tutti i Paesi più avvertiti stanno investendo enormi risorse per spingere le produzioni con rinnovabili. Infine: il grande problema non è dato tanto dai motori a benzina di cui parla Marchionne, ma dai propulsori a gasolio, messi sotto accusa in tutto il mondo anche dopo l’emergere del Dieselgate.