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Dal G20 alla Cop 26, da Roma a Glasgow. Missione: salvare il Pianeta

cop 26 glasgow

Si apre oggi la Cop 26 di Glasgow, in Scozia; è il summit mondiale sul clima più attrso dopo quello di Parigi nel 2016. L’obiettivo è ridurre le emissioni, mantenere a portata di mano l’obiettivo di 1,5 gradi ai aumento della temperatura media del pianeta al 2100, ridurre l’uso del carbone, definire le regole per il mercato globale del carbonio e raccogliere miliardi di finanziamenti per il clima.

Chi paga? Il braccio di ferro fra ricchi e poveri

Ma al centro dei colloqui c’è la questione dell’equità: come suddividere gli sforzi tra Paesi in condizioni economiche tanto diverse? Quelli in via di sviluppo affermano che i Paesi ricchi hanno distrutto il pianeta mentre si industrializzavano, e ora è ingiusto che stiano ostacolando il progresso degli altri impedendo loro di utilizzare fonti energetiche efficaci e a buon mercato come carbone, petrolio e gas. Quelli industrializzati, che già in base all’Accordo di Parigi del 2016 avrebbero dovuto versare a loro favore compensazioni e contributi per 130 miliardi di dollari, hanno avuto il braccio cortissimo e complessivamente non ne hanno scuciti nemmeno 100.

Foto di gruppo al summit G20 di Roma. Al centro, il primo ministro italiano Mario Draghi

Il G20 ora in corso a Roma dovrebbe concludersi con un impegno comune per una politica più incisiva dei Grandi da portare in dote al Cop 26 di Glasgow. Ma l’intransigenza del Brasile di Jair Bolsonaro e la riluttanza della Cina a muoversi sugli obiettivi climatici sta ostacolando i negoziati.

La Cop 26 di Glasgow fra Covid e catastrofi climatiche

Eppure le aspettative per la Cop 26 di Glasgow sono enormi. Sia per gli impatti sconvolgenti della pandemia sull’economia mondiale e sull’opinione pubblica,  sia per le molte catastrofi climatiche degli ultimi due anni e l’ultimo terribile rapporto IPCC di scienziati sostenuti dalle Nazioni Unite.

Quant’è dura lasciare i fossili sotto terra. Ma si deve

Sarà necessario individuale meccanismi premianti per i Paesi che avranno gli atteggiamenti più virtuosi nella decarbonizzzazione. Per ottenere gli obiettivi climatici fissati a Parigi, infatti, sarà necessario bloccare l’utilizzo dei carburanti fossili. Vale a dire lasciare sotto terra l’89% delle riserve di carbone, il 58% delle riserve di petrolio e il 59% delle riserve di gas, secondo una modellazione pubblicata sulla rivista Nature. Questo non potrà accedere se non si troverà il modo di retribuire queste rinunce. Sia in termini economici, sia in termini di reputazione e consenso politico.

Le tecnologie ci sono, manca il Recovery Plan globale

Abbiamo la tecnologia per farlo. Ci servono solo i soldi. Per costringere il capitale a investire in progetti di decarbonizzazione, il mercato dovrà essere pesantemente condizionato dai governi. Un po’ come è avvenuto durante le guerre mondiali del XX secolo e durante i due anni della pandemia. Proprio quest’ultima esperienza, però, ha evidenziato come sia difficile generare un consenso diffuso nei Paesi democratici e quanto potenti siano le resistenze di larghi strati dell’opinione pubblica anche di fronte alle più evidenti risultanze scientifiche e addirittura contro il buon senso.

Forse solo una estensione su scala planetaria del metodo europeo adottato con il Recovery Plan potrà ottenere qualche risultato. Difficile? Sicuramente. Impossibile? Speriamo di no.

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