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Wayel, come ti faccio l’e-bike all’italiana

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Il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti all'inaugurazione della fabbrica Five

Wayel non è soltanto uno dei più noti marchi di e-bike italiani. Con l’arrivo del nuovo stabilimento bolognese Five è divento un progetto di mobilità e di filiera che parte dalla fabbrica e arriva ai servizi, passando per la produzione di energia pulita.

E Giorgio Giatti non è solo l’imprenditore che l’ha pensato e lo sta realizzando. Lui è un pioniere del green e dell’efficientamento energetico. Cominciò infatti ad occuparsene 35 anni fa fondando la Termal, il primo importatore in Italia delle tecnologie di climatizzazione a pompa di calore. E oggi, con altre ramificazioni del suo gruppo, tra cui la Esco (Energy Services Company) Geetit, realizza immobili in classe A3, vale a dire a impatto quasi zero. All’ e-mobility è arrivato nel 2008 con i modelli di bici a pedalata assistita “Futura”. Progettate qui, realizzate in Cina in due stabilimenti presi in affitto nei pressi di Shanghai. Ma non fu quello il suo debutto nell’EV perché già a quel tempo aveva commissionato ai cantieri sorrentini Fratelli Aprea il primo gozzo cabinato a motore ibrido.

Da quest’anno, però, può dire di essere l’imprenditore italiano, multiutility a parte, ad aver investito di più sulla mobilità sostenibile. Precisamente 12 milioni di euro, che salgono a 20 con le opera connesse; tanto è costato lo stabilimento Five (Fabbrica italiana veicoli elettrici) sorto sulle ceneri dell’ex calzaturificio Bruno Magli, alla periferia est di Bologna.   Five è il più grande impianto europeo dedicato alle e-bike e agli e-scooter. A regime potrà sfornare 35 mila veicoli all’anno e darà lavoro a quasi 100 addetti. Entro il 2018 assorbirà quasi tutta la produzione Wayel in rientro dalla Cina, e quella a marchio  Italwin, leader italiano delle elettro-bici fondato nel 2003 e rilevato da Five nel maggio del 2016.

Assemblaggio delle e-bike Wayel nella fabbrica Five

Five è un gioiello industriale, pensato fin dall’inizio per rispondere ai più avanzati criteri di Industria 4.0, vale a dire automazione spinta e macchine che dialogano tra loro. Solo i telai in alluminio verranno dall’esterno _ cinesi, perché in Italia si è persa la capacità di produrli _  mentre tutto il resto sarà rigorosamente made in Italy. Compreso il pacco batteria, che da novembre sarà ingegnerizzato e assemblato all’interno, probabilmente anche per terzi, e forse addirittura i motori se andrà in porto il progetto di Giatti che vuole integrare in Five uno dei tre produttori italiani (due emiliano-romagnoli e uno bresciano).

«Five _ dice l’imprenditore _ sarà la bandiera della filiera italiana delle due ruote elettriche e sarà aperta anche a concorrenti disposti a lavorare con noi. Sarà un modello per chi come me pensa che delocalizzare non è inevitabile. Anzi, con efficienza organizzativa, automazione e un forte legame fra produzione e ricerca e sviluppo qui si può produrre a prezzi competitivi e con più qualità».

Oggi circa l’80% delle 120 mila e-bike  vendute in Italia (ma su questi numeri Giatti ha qualche dubbio) è importato dalla Cina; la quale peraltro vende sostanzialmente in dumping grazie a un contributo statale all’export pari al 18% del valore. Five è anche la prima fabbrica in Europa energeticamente autosufficiente. Dall’inaugurazione, in primavera, ad oggi i pannelli fotovoltaici che coprono i 7.100 metri quadrati del tetto hanno prodotto 242 mila kWh ora di elettricità, 2 mila in più del fabbisogno annuale dello stabilimento; il 52% è stato ceduto alla rete, il 48% ha coperto l’autoconsumo.

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