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Volkswagen vuole solo cobalto ‘pulito’

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Uno scandalo può bastare, devono aver pensato alla Volkswagen: il colosso tedesco sta uscendo indenne dai postumi del Dieselgate e ora mette le mani avanti per evitare un’altra possibile trappola, ovvero la provenienza delle materie prime necessarie per le batterie delle macchine elettriche in gestazione.

Il rendering di uno dei modelli elettrici VW in uscita entro il 2020

 

 

Il gruppo di Wolfsburg nel suo piano Roadmap 2025 prevede di aggiungere alla gamma ben 50 modelli elettrificati, tutti equipaggiati con batterie di nuova generazione, ma deve fronteggiare tre ordini di problemi: i prezzi, la disponibilità e la provenienza delle materie prime, come litio, cobalto e nickel. Sul primo punto l’allarme è stato appena lanciato anche dal vice-presidente della Hunday, Lee Ki- sang, secondo il quale a partire dal 2020, con una domanda crescente, i costi cominceranno a salire in maniera sensibile, interrompendo una parabola discendente che dura già da diversi anni.

La piattaforma delle future VW elettriche, con il pacco- batterie nel pianale

Essendo le batterie la parte più costosa dell’auto elettrica, questi rincari comporteranno riflessi sui listini, minacciando il progressivo avvicinamento dei prezzi finali degli Ev a quelli delle macchine tradizionali. Problemi ci saranno anche sulla disponibilità delle materie prime e non è un caso se i costruttori cinesi, forti del primo mercato al mondo, stanno acquistando direttamente  o indirettamente intere miniere e giacimenti in diverse parti del pianeta. Ma in questo momento la preoccupazione della Volkswagen è concentrata soprattutto sul terzo problema, ovvero le modalità di estrazione e lavorazione.

 

La patata bollente è in mano a Francisco Xavier Garcia Sanz, l’esperto manager spagnolo che è responsabile degli acquisti per l’intero Gruppo Volkswagen. La sua preoccupazione non riguarda tanto il litio, sul quale pure si sono letti allarmati reportage per le pericolose tecniche di estrazione in alta quota in paesi come la Bolivia, ma bensì il cobalto. Il problema? E’ che il 60% di questa materia prima disponibile a livello mondiale viene dal Congo, paese che è sotto stretta osservazione di diverse organizzazioni internazionali per le disastrose condizioni di lavoro nelle miniere. Un anno e mezzo fa Amnesty International e Afrewatch pubblicarono un rapporto che dimostrava che nelle miniere di cobalto del paese africano lavorano centinaia di bambini schiavizzati e sottopagati. Garcia Sanz ha specificato che non gli basta appurare che tra i 40 mila fornitori del colosso tedesco non entrino aziende che violano i diritti umani: il pericolo reale si annida nei subfornitori, motivo per cui sono stati avviati colloqui con tutti coloro che maneggiano materie prime proponendo una carta dei valori da rispettare alla lettera, pena l’esclusione dalla lista del Procurement Volkswagen. Il Gruppo, peraltro, aveva preso in considerazione l’ipotesi di investire essa stessa nelle miniere, scartando poi l’idea per concentrarsi solo sul lavoro che sa fare meglio, ovvero progettare e costruire automobili. <Rigettiamo con forza ogni forma di lavoro forzato o minorile ed esigiamo da tutti la massima trasparenza sui processi di lavorazione>, ha chiosato Garcia Sanz. Preoccupazione che peraltro deve riguardare tutti noi, anche se non possediamo una vettura elettrica: pure i nostri telefonini e tablet sono equipaggiati con batterie fabbricate utilizzando cobalto. Probabilmente del Congo.

 

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