Per Trump trattori e macchine agricole devono inquinare, così costano meno. È il copione di sempre: l’amico dei petrolieri che, dopo aver colpito le norme sulle emissioni nel traffico marittimo e decretato il “liberi tutti” per le emissioni delle auto, ora affonda la lama contro le macchine agricole green. Il suo voler allentare le regole ambientali non convince affatto i produttori, che lo smentiscono punto per punto. Da John Deere ricordano che la tecnologia pulita fa risparmiare gli agricoltori, non il contrario.
Trump: “Eccessi ambientali sulle attrezzature agricole”
Trump ha invitato i produttori di macchinari agricoli a «ridurre i loro prezzi perché le attrezzature agricole sono diventate troppo costose, e gran parte del motivo è che impongono eccessi ambientali sulle attrezzature, che non servono a un bel niente se non a complicare le cose». Per lui, tutela dell’ambiente e salute pubblica sono solo fastidi che rallentano il business.

«Daremo anche alle aziende di trattori, John Deere e tutte le altre che producono le attrezzature, un alleggerimento di molte delle restrizioni ambientali che hanno sui macchinari» ha detto. Come si legge sui siti finanziari americani però «John Deere ha chiuso in calo dell’1,8% nelle contrattazioni, passando in territorio negativo dopo che il presidente Trump ha dichiarato che le attrezzature agricole sono diventate troppo costose e che produttori come Deere dovrebbero ridurre i loro prezzi». Un disastro.
Ma i produttori: “Tecnologia chiave per ridurre i costi”
Josh Jepsen, CFO di John Deere, ha risposto a Trump: «La tecnologia è la chiave per ridurre i costi dell’agricoltura». In concreto? Dal riconoscimento delle infestanti alla digitalizzazione dei terreni, le tecnologie fanno risparmiare gli agricoltori molto prima che qualcuno decida di smontare le norme ambientali. Abbandonare la tecnologia non serve a niente.
«Ci sono molte opportunità per continuare a sostenere i nostri clienti per renderli più redditizi con tecnologie che permettono di ridurre i costi dei fattori produttivi o migliorare le rese, oltre che affrontare alcune delle regolamentazioni a cui sono sottoposti». Così Jepsen nell’intervista esclusiva al programma The Claman Countdown. «La capacità di aiutare gli agricoltori a fare di più con meno è fondamentale». Non è solo una questione di costi, come chiarisce il manager: «Con l’aumento delle emissioni, sono necessari più componenti, più software e più elementi hardware da integrare mentre riduciamo le emissioni, e questo credo sia un fattore rilevante rispetto ai commenti fatti».

Il messaggio è limpido: i cambiamenti climatici stanno già causando danni enormi, e ridurre le emissioni non è un capriccio ma una necessità. E non sono solo parole. Jepsen ricorda che la tecnologia “See & Spray” permette di far risparmiare agli agricoltori fino a 15 dollari per acro, tagliando l’uso dei pesticidi fino al 60% e colpendo solo le infestanti, non le colture sane. Tecnologie ormai diffuse anche in Italia: le abbiamo documentate nel bolognese dove il robot Farmdroid effettua il diserbo meccanico senza un grammo di chimica e si muove grazie a un pannello solare che riduce al minimo la ricarica. Energia pulita, zero emissioni e nessun gas di scarico nocivo da respirare per chi lavora nei campi.
La crisi agricola non è la tecnologia green ma i dazi
Trump ha annunciato un pacchetto di aiuti agricoli da 12 miliardi di dollari, destinati soprattutto al nuovo Farmer Bridge Assistance Program del Dipartimento dell’Agricoltura (USDA). Un portavoce della Casa Bianca ha sottolineato i danni di Biden mentre «al contrario, il presidente Trump sta aiutando il nostro settore agricolo negoziando nuovi accordi commerciali per aprire nuovi mercati di esportazione ai nostri agricoltori e rafforzando la rete di sicurezza agricola per la prima volta in un decennio».
Peccato che il Financial Times offra una lettura diversa della crisi del mondo agricolo. Anche il quotidiano finanziario ha dato voce a J. Deere e titola: «I dazi di Donald Trump intensificano la pressione sugli agricoltori statunitensi, avverte Deere».

Cory Reed, responsabile della divisione Agriculture & Turf, spiega al quotidiano che il calo più marcato riguarda proprio il mercato nordamericano, mentre Europa e Sud America restano più stabili. Le cause? Prezzi bassi delle colture, costi di produzione più elevati e un’incertezza persistente sul commercio internazionale.
La situazione ha costretto Deere a ridurre drasticamente la produzione nel grande stabilimento di Waterloo (Iowa): oggi il gruppo costruisce circa la metà dei trattori rispetto a due anni fa. Secondo l’azienda, la combinazione di dazi, flussi commerciali alterati e aumento dei costi interni ha messo il mercato agricolo statunitense sotto una pressione eccezionale.
Quando la transizione energetica diventa il capro espiatorio
Il Financial Times spiega con un esempio concreto il gioco a somma negativa dei dazi. La Cina — storicamente il principale acquirente di soia americana — ha ripreso gli acquisti solo il mese scorso, dopo aver reagito ai nuovi dazi statunitensi con contromisure commerciali. La pausa negli scambi ha generato un eccesso di offerta, deprimendo i prezzi e il morale degli agricoltori. I prezzi della soia USA sono oggi circa il 40% sotto i picchi di metà 2022, mentre il mais è sceso di quasi il 50%.

I dazi hanno fatto aumentare i costi di produzione. Le tariffe su acciaio e alluminio hanno spinto verso l’alto i prezzi dell’acciaio negli Stati Uniti, anche per i produttori che si riforniscono di materiali a livello domestico. Insomma, le cause sono più di politica economica che di transizione tecnologica, ma il populismo trumpiano vuole far ricadere — come accade anche in Europa — i problemi sulla transizione energetica. Un capro espiatorio comodo, che però non regge alla prova dei fatti: i conti dell’agricoltura americana raccontano una storia diversa.

