Plastica, Trump si accoda a Big Oil: salta accordo Onu per ridurre i consumi

Nuova presa di posizione dell’amministrazione Trump contro la transizione ecologica. Gli Stati Uniti si sono schierati contro ogni possibile accordo per la riduzione di produzione e consumo della plastica. Allineandosi così alle posizioni degli stati petroliferi. E facendo un nuovo favore – sul fronte interno – ai grandi gruppi petroliferi americani

Dopo tre anni di intensi colloqui, naufraga la possibilità di arrivare a un primo trattato giuridicamente vincolante per combattere l’inquinamento da plastica. L’ultimo round di negoziati delle Nazioni Unite, appena conclusosi a Ginevra, non ha prodotto l’accordo atteso. Di fatto, un fallimento di un dossier cruciale per l’ambiente a livello mondiale. Secondo fonti diplomatiche internazionali riportate dai principali quotidiani, gli Stati Uniti hanno rifiutato qualsiasi proposta che andasse oltre misure volontarie. Infliggendo un duro colpo al processo multilaterale.

Plastica, salta l’accordo per la posizione intransigente di Stati Uniti e delle potenze petrolifere come Arabia Saudita e Kuwait

Oltre 170 paesi hanno preso parte ai negoziati, e la maggior parte era disposta a trovare un compromesso. Tuttavia, la posizione intransigente di Washington ha contribuito a bloccare l’intesa, insieme alla resistenza di Arabia Saudita, Kuwait e altri Stati produttori di petrolio. Questi paesi hanno respinto qualsiasi misura che intervenisse sulla produzione di plastica, limitando il dibattito alla sola gestione dei rifiuti.

Dall’altro lato, i delegati di oltre 100 nazioni, soprattutto dall’Unione Europea e da paesi insulari vulnerabili, chiedevano invece un approccio più radicale: ridurre la produzione e affrontare le sostanze chimiche tossiche impiegate nei processi industriali.

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La protesta dei paesi “insulari” invasi dalla plastica in mare

Non sorprende che le voci più critiche siano arrivate dai paesi che più subiscono le conseguenze dell’inquinamento. Come riportato dal Financial Times, il delegato di Tuvalu 8piccola nazione dell’Oceania, ha accusato gli Stati Uniti di “ostacolare” i progressi, con una posizione addirittura “più regressiva di quella saudita”. Per piccole nazioni insulari, minacciate da maree di plastica e dal riscaldamento globale, la mancanza di un trattato efficace equivale a un colpo al cuore del multilateralismo.

Anche la società civile ha espresso forte delusione. David Azoulay, del Center for International Environmental Law, ha sottolineato come alcuni paesi abbiano partecipato con l’unico obiettivo di bloccare il processo: “È impossibile trovare un terreno comune tra chi difende lo status quo e chi cerca un trattato funzionale”.

Questioni finanziarie e resistenze politiche

Oltre alla divisione sulla portata del trattato, uno dei nodi irrisolti riguarda il finanziamento delle misure di bonifica. I tradizionali paesi donatori, già sotto pressione per gli alti costi della difesa e delle crisi globali, hanno mostrato riluttanza a garantire nuovi fondi.

Sul fronte politico, la direttrice del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, Inger Andersen, ha scelto un tono più cauto, ricordando le difficoltà interne degli Stati Uniti nel ratificare un trattato internazionale. Nonostante tutto, ha sottolineato l’importanza della loro presenza al tavolo, vista come un segnale di impegno “in buona fede”.

Segnale positivo: dialogo costruttivo tra Ue e Cina

Il ciclo di Ginevra era il sesto appuntamento e avrebbe dovuto portare al testo finale del trattato. Invece, i negoziati si sono protratti per giorni fino a un nulla di fatto, lasciando un senso di frustrazione diffuso. L’assenza di un accordo rappresenta un segnale preoccupante. Mentre l’Unione Europea e la Cina sembrano aver trovato spazi di dialogo costruttivi, le spaccature tra i paesi restii al cambiamento e quelli che chiedono misure drastiche rischiano di paralizzare a lungo il processo.

Il fallimento del negoziato non è solo un problema diplomatico: è una questione di sopravvivenza ambientale. La plastica invade oceani, fiumi e catene alimentari. Senza un trattato vincolante, gli sforzi restano affidati alla buona volontà dei singoli paesi, con risultati frammentati e insufficienti.

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