TORNA A: Tesla-Nissan, il duello a emissioni zero entra in casa
Conviene? Sì, ma forse anche no
I sistemi integrati di produzione e accumulo di elettricità proposti da Tesla e Nissan sono ancora molto costosi: fra i 4 mila e i 10 mila euro, installazione compresa. E a questo va aggiunto l’impianto fotovoltaico per alimentarli che costa altri 8-15 mila euro a seconda delle dimensioni e quindi della potenza (fra 3 e 6 kw).
Senza contare la necessità di un ampio spazio disponibile per installarlo su tetti e tettoie (per ogni kw circa 7,2 metri quadrati di pannelli). Sia l’impianto di accumulo sia quello di produzione “pulita” sono incentivati in Italia con una detrazione fiscale pari al 50% dell’investimento, scaglionata in dieci anni. A questo punto il solo calcolo dei costi effettivi dell’impianto implica alcuni complessi ragionamenti di carattere finanziario che tengano conto degli eventuali interessi da pagare sul finanziamento e di un ritorno così dilazionato nel tempo.
Una volta quantificato il costo reale dell’investimento iniziale, bisogna poi valutare il ritorno atteso, calcolando in quanto tempo i risparmi ottenuti lo ripagano. E, successivamente, quanto e per quanto tempo ancora si incasseranno i benefici netti in termini di riduzione della bolletta elettrica prima che gli impianti arrivino a fine vita (oggi, se tutto va bene, dai 20 ai 30 anni).

Per stimare l’insieme di questi vantaggi è necessario tener presente alcune variabili. La quantità di energia autoprodotta, per esempio, varia in base alla geografia: al Sud quasi un terzo di più che al Nord. E ancora: il massimo dei benefici si può ottenere solo a condizione di raggiungere un livello di autosufficienza prossimo al 90%; ma ciò presuppone una gestione molto oculata degli impianti di accumulo-stoccaggio e dei prelievi di energia per l’autoconsumo. Poiché infatti ogni kw prelevato dalla rete costa più di quanto si incassi per ogni kw ceduto alla rete, è necessario mantenere in equilibrio il proprio impianto, cioè fare in modo di consumare o accumulare tutta l’elettricità prodotta e possibilmente non più di quella.
In altre parole, la capacità di produzione e di stoccaggio non deve mai essere del tutto satura _ in tal caso l’energia eccedente verrebbe ceduta alla rete a prezzo stracciato _, ma nemmeno il fabbisogno istantaneo deve mai superare la disponibilità dell’impianto, nel qual caso il sistema sarebbe costretto a compare energia dalla rete a caro prezzo. Sul mercato esistono addirittura dispositivi “intelligenti” che ottimizzano automaticamente i consumi comandando l’avvio di elettrodomestici, caricabatterie e impianti di condizionamento quando la produzione è in eccesso, oppure spegnendoli per posticiparne l’impiego quando la richiesta domestica supera la capacità dell’impianto col rischio di dover prelevare energia dalla rete.
Questo delicato equilibrio può coesistere con il “tiraggio” di energia richiesto da un dispositivo di ricarica per auto elettrica? La risposta è: dipende. Dal chilometraggio annuo, dal consumo dell’auto elettrica, dall’insieme degli altri consumi domestici. Facendo una media a spanne, un’auto medio piccola che percorra attorno ai 15 mila chilometri all’anno e che acceda anche ad altre stazioni di ricarica (al lavoro, nei parcheggi pubblici) può arrivare a consumare attorno ai 2.000 kwh nei dodici mesi, quindi è compatibile con un ecosistema integrato come quelli proposti da Tesla e Nissan se la potenza installata è di almeno 4-6 kw (fra 20 e 30 metri quadrati di superficie fotovoltaica) e quindi in grado, alle nostre latitudini, di produrre fra 4.400 e 9.000 kwh all’anno. Ma se questi sono i calcoli (approssimativi) su base annua, bisogna anche considerare che su base giornaliera un impianto fotovoltaico di taglia media (3-6 kw) nemmeno in giornate eccezionali di sole riesce a produrre tutta l’energia necessaria a “riempire” le batterie di un’auto. Può arrivare a generare 10-15 kwh, mentre gli accumulatori di una Leaf, per esempio, variano dai 24 ai 30 kwh. Senza contare il fabbisogno domestico quotidiano.
In conclusione, non illudiamoci che le soluzioni integrate fotovoltaico-accumulo di Tesla e Nissan, e di altri produttori di batterie domestiche come Varta, Lg Chem, Sonnen, azzerino le bollette di casa, né consentano di viaggiare gratis su un’auto elettrica. Possono garantire nel complesso un risparmio che nell’intero arco di vita dell’impianto può raggiungere qualche migliaio di euro, ma non molto di più. Il discorso cambierebbe, se i costi si dimezzassero e aumentasse l’efficienza. Per i pannelli fotovoltaici questo è possibile se nei prossimi quattro cinque anni proseguisse il trend al ribasso registrato negli ultimi dieci. Per gli accumulatori è più difficile. Il prezzo dovrebbe precipitare attorno ai 2.000 euro, riducendo i tempi di ammortamento dell’investimento a due o tre anni rispetto ai 6-9 anni attuali.