Protagonisti indiscussi della mobilità urbana, i taxi sono da sempre uno dei mezzi di trasporto più diffusi nelle grandi città, e quindi anche uno dei più inquinanti. Nel grande fermento di idee e progetti sulla mobilità sostenibile, quindi, non può mancare la ricetta dei taxi elettrici. Ma le resistenze non mancano, come abbiamo visto nel caso di Bologna. A che punto siamo nelle altre città italiane? Vediamo di fare il punto.
Tanto ibrido, poco elettrico
Benché da tempo si spinga su una mobilità pubblica più “green” e sui taxi elettrici, l’Italia è ancora indietro. Sui circa 60mila professionisti presenti nel nostro Paese la percentuale di chi guida un’auto a zero emissioni è ancora decisamente bassa. E’ limitata a poche città all’avanguardia in cui il ruolo delle amministrazioni e delle aziende di trasporto è determinante per incentivare, o comunque agevolare, quello che per molti tassisti è ancora definibile come un “salto nel buio”.
Sull’onda di quanto già messo in atto nei confronti di bus o tram elettrici, in alcuni grandi centri qualcosa sta cambiando, anche se, in generale, l’incentivo fornito dalle amministrazioni comunali o dalle stesse cooperative di taxi va spesso a cozzare con lo scetticismo. Una grossa parte dei tassisti lamenta infatti l’assenza di colonnine di ricarica veloce, fondamentali nel loro lavoro.
Perciò in moltissimi negli ultimi anni hanno optato per l’ibrido, piuttosto che testare il full electric.
Firenze capofila, Milano e Roma ci provano
Gli stimoli lanciati dalle stesse cooperative di tassisti comunque non mancano, ad esempio l’Unione Radiotaxi d’Italia (URI), la più importante a livello nazionale, già nel 2013 lanciava un progetto pilota denominato “Via col Verde” per l’introduzione dei primi taxi elettrici nel Paese: un progetto di successo, che con Firenze come capofila si è poi allargato a diverse città.
Il capoluogo toscano è un po’ il faro in tal senso. Non a caso è la città che al momento ha il maggior numero di mezzi elettrici in rapporto alla popolazione ed è stata la prima a diffondere i taxi a zero emissioni. Il Comune ha promosso il rilascio di 70 licenze elettriche e la Nissan ha piazzato la maggior parte dei suoi taxi-Leaf venduti in Italia nel centro città.
L’URI sta provando ad incentivare i propri associati a passare al 100% elettrico anche a Roma, dove al momento il parco macchine presenta un 70% di ibride e una trentina di elettriche. L’associazione ha installato a proprie spese alcune colonnine di ricarica sia presso la sede sia all’aeroporto di Fiumicino, permettendo ricariche gratis ai propri associati. Il Comune nel frattempo ha emesso un bando per una settantina di nuove licenze, di cui una quota consistente destinata alle auto elettriche.
Anche a Milano qualcosa si muove: il Comune ha un piano per il rilascio di 500 nuove licenze per taxi elettrici, che verranno messe a bando nei prossimi anni. Metà di questi nuovi taxi saranno destinati alle persone con disabilità e l’altra metà avrà un vincolo di orario, per fare servizio negli orari finora meno coperti. Inoltre, tutte le aree di sosta dei nuovi taxi saranno dotate di colonnine per la ricarica elettrica di ultima generazione.
In una città dove la mobilità “green” è uno scopo da perseguire e oggi quasi 3000 taxi su 4900 sono ibridi, è evidente che la voglia di aprirsi al futuro c’è.
Numeri ancora esigui, ma qualcosa si muove
Se in alcuni grandi centri urbani – specie del centro-sud d’Italia – ancora non si vedono taxi elettrici circolanti, nonostante gli incentivi alla mobilità pubblica sostenibile, in altri le cose stanno cambiando.
Torino, che spesso è in testa alle classifiche sugli sforamenti delle emissioni nocive, è uno dei centri più attenti allo sviluppo della green mobility. E’ recente un accordo stipulato tra Taxi Torino ed Evway (che gestisce dal 2017 diverse colonnine di ricarica) per incentivare i tassisti a scegliere un’elettrica, offrendo la possibilità di rifornimenti gratuiti per un anno. Interessando uno dei player più grandi del settore (1400 vetture, circa 30% ibride), ci sono buone speranze che la soluzione abbia effetto.
In Emilia-Romagna, terra di motori, per il momento l’ibrido la fa da padrone anche nel servizio taxi, ma qualcosa si muove.
A Bologna, per esempio, è in fase di avvio la messa a bando di 30 licenze elettriche ed entro pochi mesi in città circoleranno 18 nuovi tassisti full electric. Il Comune sta adottando politiche per invogliare i tassisti a passare a motori esclusivamente elettrici, con un incentivo a fondo perduto di 7.000 euro.
Nelle vicine città emiliane i taxi elettrici si contano ancora a malapena sulle dita di una singola mano, ma intanto a Modena si può incontrare per strada il primo tassista elettrico Tesla d’Italia.
Anche Genova, che da poco sta sperimentando i bus elettrici Rampini, sta virando verso una mobilità pubblica più ecologica: per il momento vince ancora l’ibrido ma qualche tassista elettrico comincia a circolare.
In definitiva, il panorama attuale ci mostra una situazione in lenta evoluzione, per la quale sono in gioco diversi protagonisti.
I tassisti aspettano l’auto su misura
Per esempio le case automobilistiche, che fin qui hanno prodotto pochissimi modelli adatti all’utilizzo come taxi. Le auto elettriche in commercio, lamentano i tassisti, sono o molto costose, come Tesla e Jaguar i-Pace, oppure medio/piccole. Non idonee, cioè, a fronteggiare le necessità di molti turisti che richiedono vetture di maggior capienza, con bauli grandi per trasportare valigie ingombranti.
Può sembrare un problema da poco, ma per chi lavora sulla strada tutto il giorno non lo è affatto. Non a caso l’auto elettrica più gettonata ad uso taxi è la media Nissan Leaf, già utilizzata in Italia da 170 tassisti.
Poi c’è, a monte, la complessa diatriba relativa alle liberalizzazioni e alla nuove licenze taxi, che comunque nel nostro Paese qualche grattacapo lo provoca sempre.
Insomma, la strada verso un servizio taxi completamente elettrico è lunga. C’è da lavorarci su. Come sempre.