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Scenari, e se avesse ragione Fisker?

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<Se diventi vegano, difficilmente vai a mangiarti un’insalata da McDonald>. Se vi chiedete chi vincerà nella corsa all’auto elettrica, tra Case storiche e sfidanti alla Tesla, dovreste ragionare su queste parole di Henrik Fisker. 

La Fisker EMotion

Il ragionamento di Fisker, designer e (finora sfortunato) costruttore in proprio,  è semplice: i marchi storici ancora  a lungo dovranno difendere anche i prodotti con motori diesel e benzina. E faticheranno ad affermare una propria identità nel mondo dei veicoli a emissioni zero. In pratica potrebbe succedere quel che è già capitato nell’elettronica di consumo: quando si è passati dai grandi computer ai pc in ogni casa, a vincere la partita non è stata l’IBM con la sua forza tecnologica e finanziaria, ma la Apple, creata in un garage da un giovanotto che si chiamava Steve Jobs. Non è un caso se il fondatore della Tesla, Elon Musk, viene continuamente paragonato al geniale visionario di <stay hungry stay foolish>, inseguendo sogni che vanno ben oltre l’auto, spingendosi fino ai razzi che ci porteranno su Marte. Anche Fisker a suo modo è un visionario: dieci anni fa, dopo una carriera spesa tra BMW e Aston Martin, si mise in proprio per costruire una supercar ibrida, la Karma. Nel progetto con il suo entusiasmo coinvolse in qualche modo anche due italiani, Gianfranco Pizzuto e Marcello Lunelli. Non fu un successo e nel 2013 quel che restava della Fisker fu ceduto a un gruppo cinese, che ancora oggi fabbrica e vende quel modello con il nome di Karma Revere.

Addio alle grandi fabbriche, si produce in 3D

Ma Fisker non si è fermato: ha creato una nuova azienda e sta lavorando al progetto di una nuova supercar, la EMotion, questa volta completamente elettrica, che presto presenterà non in un salone dell’auto, ma al CES di Las Vegas, la grande kermesse dedicata all’elettronica di consumo. Fisker vede un mondo dell’automotive che non ha più bisogno né dei concessionari tradizionali, né delle grandi fabbriche di oggi: le macchine per la città saranno molto più semplici, modulari, si potranno assemblare ovunque partendo da buone stampanti 3D. Sarà una rivoluzione per un’industria che nel mondo occupa milioni di persone e regge l’economia di Paesi interi, a cominciare dalla Germania. Nel frattempo Fisker insegue le altre sue visioni: lavora con LG a una batteria al litio allo stato solido che, dice, costerà un terzo in meno di quelle oggi disponibili, ma avrà una capacità di due volte e mezzo, consentendo alla sua EMotion di superare i mille chilometri di autonomia. E studia un sistema di ricarica veloce automatizzata in cui l’uomo non deve fare nulla, dato che dal terreno esce un cavo automatizzato che collega la colonnina al punto di ricarica dell’auto: comodo e anche più sicuro. E con l’Hakim Unique Grou  perfeziona un mezzo di trasporto urbano, il Fisker Orbit (vedi il filmato sotto), che forse industrializzerà con un costruttore cinese. Con tanta carne al fuoco, però, parla poco: nella sua prima avventura ha promesso molto e mantenuto il minimo, questa volta vorrebbe fare il contrario.

Un design ancora rassicurante

Ce la faranno dunque i visionari come lui? O l’industria storica li stritolerà? Un punto nodale è capire quanta innovazione saranno disposti a maneggiare i clienti in un mondo solitamente poco incline all’innovazione come l’automobile. Persino l’assenza di rumore continua a disorientare chi si avvicina all’auto elettrica, figurarsi poi la guida autonoma. Soprattutto in Paesi come l’Italia ancora refrattari a soluzioni datate e di grande efficacia come il cambio automatico. Sul numero di gennaio 2018 di Quattroruote il designer americano Mike Robinson spiega perché l’avvento dell’elettrico non ha cambiato i connotati dell’automobile, nonostante che la possibilità di ospitare il pacco-batterie sotto i piedi dei passeggeri consentisse di rivedere completamente le geometrie: <Credo che la ragione sia semplicemente di non spaventare il cliente, l’elettrico è già un passaggio epocale, allora almeno sul piano estetico si cerca di essere rassicuranti>.

Come faremo senza volante?

Abbandonare certi simboli potrebbe risultare indigesto per l’automobilista medio, anche se sul piano tecnico con la guida autonoma se ne potrebbe fare tranquillamente a meno: <Perché il salto sia davvero radicale, parliamo di qualcosa che ha definito da sempre l’automobile come il volante>, spiega ancora Robinson, <è un dispositivo così importante anche a livello simbolico che alcuni si sono spinti a paragonare un’auto che ne sia priva a un eunuco>. Non a caso ci sono citycar di nuova generazione, come la svedese  Uniti – https://www.uniti.earth  – che hanno sostituito il volante con due manopole uguali in tutto e per tutto al joystick di una consolle di videogiochi.

Quanta innovazione accetteremo ?

La Hiriko, un progetto fallito

Ed è vero anche che chi ha tentato design fortemente innovativi, come la spagnola Hiriko, è naufragata miseramente. in un mare di debiti. Ma forse i tempi per un’accelerazione e uno scrollone anche nel mondo dell’automotive sono maturi: comprare una macchina è un’azione complicata, che implica un investimento notevole e, di conseguenza, induce ad atteggiamenti conservativi. Ma i millennials le auto le comprano sempre meno: le noleggiano, le condividono. E in questo approccio la tendenza ad accettare esperienze nuove è molto più spiccata. Voi che ne pensate? 

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