Il Tar della Lombardia ha bocciato una parte della legge regionale, là dove si definiscono i criteri per l’installazione di nuovi impianti rinnovabili. Dopo la bocciatura di buona parte del decreto Aree idonee e il rinvio alla Consulta della legge regionale sarda e del DL Agricoltura, un nuovo stop dalla giustizia amministrativa. Ora tocca alle norme che stano ostacolando lo sviluppo delle rinnovabili.
Le norme approvate dalla Regioni non possono prevedere requisiti più stringenti rispetto alle norme nazionali, per quanto riguarda la realizzazione di impianti a fonti rinnovabili. Questa è la motivazione principale con cui il Tar Lombardia, nell’accogliere parzialmente il ricorso di due società del settore energetico, ha considerato illegittime alcune disposizioni della delibera della Regione Lombardia.
In particolare, i giudici hanno accolto in parte il ricorso di Statkraft Italia e Ski S A4. Considerando “i requisiti previsti per i proponenti e quelli sulla superficie agricola utilizzata non sono in linea con le norme nazionali”. In buona sostanza, i Tribunali amministrativi stanno deliberando in modo univoco.

Il Tar del Lazio aveva bocciato il decreto Aree idonee del governo, nella parte in cui dava mano libera alle Regioni
Dando – di fatto – ragione alle associazioni di categoria e alle lobby ambientaliste. Si erano schierate contro la logica politica alla base dei provvedimenti del governo Meloni. In particolare, del decreto Aree idonee che aveva dato mano libera alle singole Regioni per decidere i criteri con cui è possibile individuare dove è possibile installare impianti rinnovabili.
Il 13 maggio scorso, il Tar del Lazio aveva preso un’altra decisione molto significativa. Ha accolto il ricorso dell‘associazione dei produttori eolici Anev, dichiarando illegittimo il Decreto aree idonee. Nella parte in cui attribuisce alle Regioni la possibilità di istituire fasce di rispetto fino a 7 km dai beni tutelati, per l’assenza di una disciplina transitoria per i procedimenti autorizzativi in corso. E, soprattutto, per la mancanza di principi e criteri uniformi a livello nazionale per l’individuazione delle aree idonee e non idonee.
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