Si parla tanto di difesa dei posti di lavoro nell’automotive, minacciati dalla transizione elettrica, ma se ne perderanno ancora di più bloccando la volata delle energie rinnovabili in Italia. Il settore ha generato 9-10 miliardi di giro d’affari negli ultimi due anni. Di questi, il 60% sono rimasti in Italia e il rimanente 20% in Europa. Hanno creato lavoro per 25 mila imprese e decine di migliaia di addetti.

«È un rischio che non possiamo correre. Dobbiamo colmare i ritardi normativi» ha commentato Davide Chiaroni, co-fondatore di E&S presentando nei giorni scorsi lo studio Renewable Energy Report 2024 (RER) redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano.
Nel 2023 l’Italia ha installato 5,7 GW di nuove fonti rinnovabili, 5,2 GW dei quali nel solo fotovoltaico. Un record. L’installato ha così raggiunto il traguardo di 69 GW. Nel 2021 ci eravamo fermati a 1,3 GW, e a 3 GW nel 2022.

Per raggiungere gli obiettivi 2030 del Pniec (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) dovremmo accelerare ulteriormente aggiungendone 9 all’anno.

Il report di Energy & Strategy: troppi ostacoli normativi e tariffari bloccano il decollo dei grandi impianti
E invece corriamo il rischio che la “vampata” si esaurisca. Le cause, sottolinea il rapporto, sono da un lato le polemiche legate al possibile effetto sul consumo di suolo. Un effetto trascurabile alla prova dei numeri, ma sufficiente a giustificare provvedimenti come il divieto di installazione di impianti a terra su terreni classificati agricoli.
Dall’altro un sistema di aste per le tariffe di remunerazione dell’energia prodotta che non è più in linea con il reale costo degli impianti e con l’andamento di mercato del prezzo dell’energia. Il risultato è un possibile blocco degli impianti di grande taglia. Quelli che ci potrebbero permettere di centrare gli obiettivi.
«Gli impianti di grande taglia non crescono – conferma Chiaroni – sia nel fotovoltaico sia nell’eolico, che infatti ha contribuito con soli 500 MW al record del 2023». Le aste fissate dal Decreto ministeriale FER 1 del 2019 non hanno mai rappresentato un vero acceleratore del mercato. E i 13 bandi aperti da allora sono andati in gran parte deserti «per una combinazione di fattori quali la complessità e la lungaggine dei sistemi autorizzativi e l’inadeguatezza della base d’asta per le tariffe».
fonte: Renewable Energy Report 2024Perciò Chiaroni paventa «un forte rallentamento delle installazioni nel prossimo biennio» quando viceversa dovremmo salire a 7 GW di fotovoltaico e 2 GW di eolico all’anno.

Così ci “pianteremo” nel prossimo biennio. A rischio migliaia di posti di lavoro
Perciò Chiaroni paventa «un forte rallentamento delle installazioni nel prossimo biennio» quando viceversa dovremmo salire a 7 GW di fotovoltaico e 2 GW di eolico all’anno.
Raggiungendo questi risultati potremmo generare molte migliaia di posti di lavoro in Italia nei settori della progettazione e sviluppo, nella gestione e manutenzione, nella componentistica e nelle costruzioni.
Il valore congruo del Levelized Cost of Electricity riconosciuto per gli impianti fotovoltaici ed eolici di grande taglia dovrebbe essere superiore di circa il 10% rispetto all’attuale che Energy & Strategy colloca tra i 65 e gli 80 €/MWh per il fotovoltaico e tra i 90 e i 100 €/MWh per l’eolico.

Il nuovo Decreto FER X, di cui si attende a breve l’uscita, dovrebbe quindi alzare la base d’asta per evitare un nuovo fallimento.
Per non parlare degli impianti più innovativi. Nell’agrivoltaico si stima un LCOE tra i 95 e i 115 €/MWh. Per l’eolico offshore tra 115-135 €/MWh nella configurazione fissa e tra 150-180 €/MWh in quella galleggiante. Senza contare infine l’incertezza normativa. Per esempio i ritardi cumulati dal decreto Aree Idonee.
Ma anche gli impianti di taglia piccola e media potrebbero risentire della probabile fine dell’incentivo Scambio sul posto (SSP). Se oggi hanno un ritorno dell’investimento in 10 anni, con la fine dell SSP si passerebbe a 17-18 anni. Decisamente troppo.
Infine l’installato più anziano ha già perso l’8% della sua produttività. Dovrebbe essere potenziato o rifatto con adeguati incentivi per mantenere o incrementare la sua capacità di generazione.
Articolo molto interessante, così come i commenti. Riporto qui altro ottimo articolo di Federico Fubini (non Rampini!) sull’argomento, uscito oggi sul corriere:
https://www.corriere.it/economia/energie/24_giugno_03/perche-abbiamo-le-bollette-piu-care-d-europa-e-come-il-modello-spagna-puo-aiutarci-a-ridurle-fb4ed18a-2a31-4825-8ee2-807462fcdxlk.shtml?
Noto che anche secondo me, gli impianti FV ed eolici di grossa taglia dovrebbero avere costi molto bassi, ben remunerati a mio avviso secondo i grafici a torta più sopra in questa pagina.
articolo notevole che spazia su più aspetti del nostro groviglio italiano, me lo conservo e rileggo, grazie
Sono un ingegnere titolare di una società (piccola) che realizza impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Opero da più di 20 anni nel settore e per la prima volta, vado a memoria, non mi trovo d’accordo con quanto sostenuto dal blog.
Gli impianti fotovoltaici a terra su terreni agricoli vanno gestiti con assoluta attenzione.
Il terreno agricolo di qualità è una risorsa non rinnovabile, nel senso che una volta che lo hai consumato per speculazioni edilizie o per metterci i pannelli fotovoltaici, non ce l’hai più e non lo potrai mai sostituire perchè non se ne forma dell’altro. Va quindi gestito con attenzione.
Questo è l’assunto di base che ha portato al divieto di installazione, che io condivido, di impianti fotovoltaici a terra.
Vi sono però delle aree che possono essere definite di transizione tra paesaggi industriali e paesaggi agricoli. Su queste aree è possibile (secondo le vigenti normative) installare impianti a terra. Si tratta di:
1) terreni agricoli che ricadono entro i 500 metri dalle zone industriali.
2) Terreni agricoli che ricadono entro i 300 metri dalle autostrade e dalle ferrovie
3) Terreni agricoli che ricadono entro i 500 metri dalle cave dismesse.
Sulla A1 tra Milano e Roma ci sono circa 600 km di autostrada. 300 metri a destra e 300 metri a sinistra dell’autostrada fanno una superficie di 36.000 ettari. Se solo il 5% fosse effettivamente utilizzabile avremmo una superficie utilizzabile per il fotovoltaico pari a 1.800 ettari dove sarebbe possibile installare più di 3 GW di potenza fotovoltaica.
Insomma non c’è bisogno dei terreni agricoli per mettere il fotovoltaico, abbiamo autostrade ferrovie cave parcheggi dei centri commerciali che potremmo coprire, tetti di capannoni, scuole, pareti verticali degli stabilimenti industriali esposte a sud… una infinità di soluzioni alternative, che ci permetterebbe di salvaguardare i nostri terreni agricoli e i nostri paesaggi.
Dobbiamo stare attenti se no entriamo in quell’ottica che ha portato al disastro del Vajont, per chi non lo ricorda, la più alta diga per idroelettrico mai realizzata in Italia, mirabile opera di ingegneria, finalizzata a produrre energia elettrica, che ha sconvolto l’equilibrio idrogeologico d una intera montagna causando migliaia di vittime e producendo 0 kWh di energia rinnovabile.
Facciamo le cose con il cervello a parlare a vanvera ci pensano già i nemici delle rinnovabili e dell’auto elettrica per partito preso.
Alessandro Mariani
Grazie del contributo, molto interessante.
Insomma non c’è bisogno dei terreni agricoli per mettere il fotovoltaico, abbiamo autostrade ferrovie cave parcheggi dei centri commerciali che potremmo coprire, tetti di capannoni, scuole, pareti verticali degli stabilimenti industriali esposte a sud… una infinità di soluzioni alternative, che ci permetterebbe di salvaguardare i nostri terreni agricoli e i nostri paesaggi.
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tetti e facciate italiane sono più che sufficienti, nessun dubbio
questo non toglie che l’agricoltura attuale è assurda e va totalmente cambiata, i nostri terreni agricoli sono tutto meno che ‘salvaguardati’, monocolture a suon di fertilizzanti pesticidi schifezze varie e spreco d’acqua enorme tutto fa meno che salvaguardare la terra
Rispetto e condivido in larga parte le sue valutazioni. Solo alcune osservazioni/domande.
1) il fotovoltaico a terra non mi pare equiparabile a una costruzione, perché non presuppone una modifica permanente del suolo sottostante
2) i terreni agricoli abbandonati sono abbandonati perché la coltivazione non è remunerativa quindi sono destinati a restare comunque incolti
3) il fotovoltaico a terra non impedisce il pascolo, perciò è compatibile con un parziale utilizzo del suolo
4) la percentuale di terreni incolti da utilizzare per raggiungere gli obiettivi di installazione non supererebbe il 3-4% del totale. Se anche fosse compromesso in via permanente, mi sembra azzardato il paragone con la catastrofe del Vajont
5) Le aree “di transizione” sono disponibili a costi accettabili? Potrebbero diventare oggetto di speculazioni immobiliari e come tali risultare troppo onerosi? Sarebbe ipotizzabile destinarli ad installazioni fotovoltaici per legge?
6) indubbiamente le installazioni su costruzioni esistenti avrebbero un impatto ambientale inferiore, ma risultano più costose se non adeguatamente incentivate. O no?
Non è chiaro però per quale motivo non sia possibile costruire fotovoltaico a terra in aree agricole abbandonate e non coltivate. Parliamo di un 10/15% del totale e quindi più o meno 1,5 milioni di ettari. Quindi diciamo 3 volte l’area che sarebbe sufficiente per avere il 100% di energia rinnovabile in Italia.
Non è che non è possibile, è che i nostri politici non vogliono si faccia. Il motivo è ormai facilmente intuibile.
Condivido ..
Il problema è che si confonde spesso il fotovoltaico a terra con l’agrivoltaico
l’agrivoltaico è più costoso del fotovoltaico a terra
Ma da enormi vantaggi all’agricoltrore
considerato che le culture più redditizie sono quelle dell’orto frutta
fare SERRE fotovoltaiche conviene non solo per la produzione di energia elettrica rivendibile , ma soprattutto per la riduzione di consumo d’acqua
diventato sempre più critica negli ultimi decenni
ma soprattutto riduzione di pesticidi e aumento di produttività
ho trovato questi dati del 2021 ,
Serre in Italia :
“8mila gli ettari con piccoli tunnel e 52mila gli ettari con tunnel o serre”
i piccoli tunnell , sono praticamente pannelli messi a terra ,
se immaginiamo pannelli bifacciali flessibili dotati di piccole strutture ,
ma non mi risulta che siano ancora commercializzati , qualcuno presto lo farà ; sono sicuro
i 52mila ettari di Tunnel/Serre dovrebbero essere strutture grandi ,dove ci si cammina dentro che la normativa attuale dovrebbe permettere ,
salvo che richiedono investimenti ,
servono consorzi e/o compagnie elettriche che danno un contributo al contadino rinnovandogli la serra e un pò di ingegneria per contenere i costi delle strutture , che necessariamente sono più costose di tondini di acciao e plastica
insomma anche l’agricoltura deve diventare moderna
efficente e spero meno costosa
10 euro al kg , per le ciliege al supermecato di questi giorni; è un prezzo impossibile
my 2 cent di nonno giovanni agricoltore
L’agricoltura deve svecchiarsi sicuramente, ci sono tantissime tecnologie innovative e onestamente se ne vedono già parecchie, non sono tutti arretrati: su questo sito abbiamo visto veicoli elettrici, ma c’è in giro anche tanta robotica, automazione per non parlare di tutto il discorso legato all’ottimizzazione dell’acqua, con colture idro e aeroponiche. Io sto per prendere un piccolo sistema casalingo per vedere come funziona e nel caso usarlo estesamente, perchè anche a me inizia a dar fastidio il costo di certi ortaggi. L’autoproduzione è il naturale passaggio per chi punta alla sostenibilità e ha un pò di spazio, con i sistemi automatici non bisogna rinunciare al proprio lavoro per diventare contadini.
PS: Per le ciliegie sono a posto, ho due ciliegi dietro casa 🙂
Sono un ingegnere che, negli ultimi venti anni, ha progettato e seguito la realizzazione di centinaia di MW di impianti FV in Italia, UK e Turchia.
Concordo con lei quando afferma che: “Gli impianti fotovoltaici a terra su terreni agricoli vanno gestiti con assoluta attenzione”, non concordo invece con le sue conclusioni.
Perché considera “aree di transizione” i terreni distanti 300m dalle autostrade e dalle ferrovie ecc. ? Uno sguardo rapido dal treno e dall’auto evidenzia coltivazioni e terreni, spesso irrigati, quasi contigui alle autostrade ed alle linee ferroviarie, mentre migliaia di ettari, distanti dalle grandi linee di comunicazione, attualmente definiti catastalmente di prima categoria, sono semplicemente abbandonati da decenni. Se vuole posso fornirle le immagini satellitari per dimostrazione.
Un criterio di questo tipo scatenerebbe una speculazione fondiaria incredibile.
Una proposta, più ragionevole, sarebbe quella di definire dei criteri differenti, e leggermente più credibili di “terreni marginali ed abbandonati” (le immagini satellitari ad alta definizione, anche radar, sono disponibili ed a costi ragionevoli).
Lei sostiene anche che: “… abbiamo autostrade ferrovie cave parcheggi dei centri commerciali che potremmo coprire, tetti di capannoni, scuole, pareti verticali degli stabilimenti industriali esposte a sud…”, ed anche su questa affermazione concordo completamente con lei. C’è un problemino da risolvere, che lei conosce benissimo: i costi. Un impianto a terra, con tracker monoassiale, produce il 15% in più di un impianto su tetto e perfettamente esposto a sud, mentre il costo è in rapporto ½ (circa) ! Questi costi aggiuntivi devono essere pagati da qualcuno se vogliamo portare il valore del PUN a valori comparabili a quello di Spagna, Francia e Germania. In Spagna hanno optato favorendo l’installazione di impianti a terra “utility scale”, mentre in Francia il prezzo dell’energia è basso perché c’è un intervento della fiscalità generale di supporto al nucleare (EDF è fallita, poi ricapitalizzata), in Germania possono permettersi di sovvenzionare le rinnovabili, a causa del basso debito pubblico.
Sul paragone con il Vajont non insisterei: i documenti processuali hanno dimostrato che il disastro è avvenuto perché esistevano dei rischi a dir poco “sottovalutati” (eufemismo).
Le difficoltà di interpretazione della legislazione esistente (moltiplicata per 20 regioni) e di ottenimento delle autorizzazioni, costituiscono un costo, non marginale, degli impianti.
Prezzo in borsa elettrica di aprile2024- [€/MWH]
Italia: 87 (maggio 95)
Germania: 62
Spagna: 14
Francia: 28
Grazie Andrea, il suo posto è un esemplare articolo.
Un impianto a terra, con tracker monoassiale, produce il 15% in più di un impianto su tetto e perfettamente esposto a sud, mentre il costo è in rapporto ½ (circa) !
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pensi che con i prezzi attuali io preferirei il tetto con i pannelli montati ground senza strutture, avrei sicuramente minore LCOE
Sign. Alessandro, a me pare di capire però che la sua azienda (per la quale le faccio i complimenti) reallizza impianti sui tetti con incentivi
mentre qui parliamo degli impianti di scala utility, posati a terra, e anche senza incentivi in varie categorie, e che se non saranno limitati a pochi GW, già in 2-3 anni potrebbero modificare (ribassare) i costi, i margini, e gli incentivi del settore fotovoltaico ed energetico in generale
spero che come professionista non si senta minacciato da questi potenziali cambiamenti, perché è scontato che gli impianti sui tetti continueranno a essere considerati preziosi e una categoria specifica con i suoi prezzi e incentivi
lo scrivo perché ho notato alcune forzature che non mi aspetterei da un professionista del ramo, ad esempio:
– aver equiparato la cementificazione di un terreno e la posa reversibile dei pannelli e relativi pali e canaline (se interrate); e senza entrare nel merito della quantità di superficie richieste, se è del settore sa essere minime
– non aver distinto il fotovoltaico a terra, dall’agrivoltaico tipo 2 (come definito dalle precedenti linee guida del Mase);
entrambi sono stati vietati dal recente decreto (salvo modifiche) e tecnicamente sono simili, file di pannelli posati quasi a terra con pali corti e leggeri;
però l’agrivoltaico tipo 2 ha prescrizioni aggiuntive che lo integrano meglio nelle aree agricole, in questo caso intese come prati perenni e pascoli, non come campi coltivati, per i quali sono previsti i pannelli messi in alto (agrivoltaico tipo 1 e tipo 3, più costoso, soggetto a incentivi e contingentato)
queste erano le prescrizioni dell’agrivoltaico tipo 2, in linea con le direttive europee che non mi sembra siano accusabili di non voler preservare il suolo:
>> la superificie dedicata ai pannelli non può superare il 40% (almeno il 60% della superficie è spaziatura tra le fila), per lasciare irraggiamento solare e accesso al terreno
>> obbligo di mantenere un uso agricolo del terreno tra le file dei pannelli, con tanto di certificatori; è un obbligo relativo, perchè come uso agricolo in questo caso si intende anche floricoltura, prati perenni e pascoli, la scelta più comune, ma significa che il terreno come minimo non sarà più in stato di abbandono
PS: leggo che nel decreto hanno messo anche un cavillo per limitare le installazioni anche nella aree entro 500 metri da aree industriali
iniziano a misurare i 500 metri non dal confine delle aree industriali, ma dagl impianti industraili contenuti nelle aree industriali
..nel caso ci fossero dubbi sugli intenti probabili del decreto, limitare il più possibile le installazioni del tipo economico, quelle a terra, viste come pericoloso concorrente energetico che farebbe abbassare i prezzi energia mandando fuori mercato altre fonti energetiche, e tra l’altro neppure fonte di scambio di favori politici, le installazioni non prendono incentivi
Ho letto stime dei costi in italia per queste installazioni anche circa un 30% più basse di quelle nell’articolo sopra ( e molto più basse in altri paesi con meno burocrazia e costi accessori), e anche molto più basse in altri Paesi
questi sembrano i prezzi che vorrebbero gli investitori in rinnovabili per rientrare prima dagli investimenti e rischiare il meno possibile, cioè tenendosi larghi
però può essere una critica daverificare, bisognerebbe entrare in dettaglio sulla quota di margine, sui tassi di spesa per interesse, sulla presenza o meno di rivalutazione della tariffa con l’inflazione nelle tariffe ventennali che saranno applicate
e soprattutto sugli alti rischi finanziari che comporta provare a investire in rinnovabili in un paese al momento con governo ostile, che non sbroglia i ritardi di anni nelle procedure di autorizzazione o le ambiguità che obbligano a ricorrere al TAR, e nel frattempo aggiunge tasse e cambia le leggi al volo., alla fine capisco che gli investitori alzano le richieste..
quel 30% in più è il costo della cialtroneria di un governo ostile, magari poi c’e un altro 20% della burocrazia, e un altro 20% di ancora poca concorrenza (mercato che deve ancora crescere e maturare), affitti dei terreni più caro, etc
così dai 20 euro al MWh Spagnoli si arriva ai 50-60 euro al MWh italiani insomma mercato ancora acerbo da noi ma con potenzialità di scendere ulteriormente di prezzo
per il resto articolo cristallino, situazione fantozziana con i decreti previsti insieme ai fianziamenti dal governo draghi, e poi messi in attesa dal governo attuale
leggo che girano dell bozze, dopo le elezioni europee forse arrivano (dopo lungo ritardo) il DL aree idonee, il Fer X, magari anche il Fer 3;
speriamo non ci siano all’interno troppe sorprese che li snaturino, ad es. quantità di quote di assegnazioni dirette (prezzo fisso) rispetto alle quote per aste competitive (prezzo limabile) oppure fasce di rispetto eccessive in cui non si può istallare
così però è un percorso a ostacoli, ha un costo in anni e soldi.. purtroppo i governanti li abbiamo votati e sono in carica, ne sembra sia possibile criticarli o manifestare, si vedono reazioni repressive in caso di critica
D’altronde i campi agricoli questo governo li vuole tenere liberi da impianti rinnovabili al fine di poter dedicare più territorio possibile ai biocarburanti.
Pessima idea, proprio la peggiore in assoluto.
Almeno Lollo eccelle in qualcosa.
è vigliacca la faccenda
hanno vietato pannelli a terra (sia fotovoltaico che agrivoltaico tipo 2) previsti senza incentivi su aree agricole, ma del tipo “prati perenni, pascoli, e aree abbandonate”, e ne sarebbero bastate minime percentuali
sono aree chiamate “economicamente marginali”, che non sono coltivate perché per vari motivi o non è possibile o non conviene; quando va bene sono lasciati a prato o pascolo; se va male, sono a rischio cementificazione edilizia
anche il biodisel in teoria compete per i terreni marginali,
ma siccome paga poco, di solito non conviene su terreni marginali, che vengono usati più come facciata ( “in toscana abbiamo recuperato all’uso 350 ettari di terreni inquinati” ), mentre di solito usano i normali campi già coltivati, che vengono passati a girasoli o altri semi oleosi al posto di altre colture
e a biodiesel ne serve un’area enorme perché la resa energetica è tra 40 a 100 volte più bassa del FT
pare siamo al secondo posto in europa per produzione di biodisel, Assocostieri cita 2 milioni di tonnellate di carburante prodotto all’anno, tanto o poco dipende dai punti di vista, rispetto ai consumi è poco, forse sono 200.000 o 400.000 ettari già impegnati in monocoltura, idealmente mirano ad arrivare a 1-2 milioni di ettari (su 12 milioni di ettari di campi coltivati in italia)
al FT per produrre TUTTA l’energia nazionale ne bastavano 100.000 di ettari, e impegnando appunto solo una parte dei prati e pascoli ( 2 milioni di ettari)
del resto…una nuova “campagna del grano”…coi semi da biodiesel ci sta no?
Questa è l’ autarchia 2.0 meloniana
Sempre Descalzi… mi pare che non abbia minimamente accennato all’esistenza dell’energia solare (ma va’???) che è gratuita, ricordiamolo.
Ricordarsi, nelle analisi politico-economiche dell’Italia, che tutto ciò che è gratuito non riempie le tasche dei potenti che vivono a Roma.
E poi, in questo momento, ti trovi Descalzi (AD di Eni) che in TV ci viene a dire che hanno investito tantissimo sui biocarburanti in sostituzione del petrolio.
Eccola qua la politica e l’imprenditore che guarda al futuro… del proprio portafoglio.
Del resto se ne frega.
Analisi assolutamente condivisibile e dimostrazione che gli attuali governanti autodefinitisi “patrioti” sono solo tutti chiacchiere e faziosità – non che abbiamo mai avuto governanti illuminati negli ultimi 75 anni, ma quelli attuali si dimostrano ogni giorno sempre più pericolosi perché scioccamente retrogradi e scollegati dalla realtà!
Qui davvero bisognerebbe che Elettricità Futura (https://www.elettricitafutura.it/, facente capo a Confindustria e “principale Associazione della filiera industriale nazionale dell’energia elettrica” che “rappresenta oltre il 70% del mercato elettrico italiano”) e la stessa Confindustria tutta insorgessero per mettere in chiaro che le energie rinnovabili sono in grado di generare un valore immenso per il paese e per la UE in termini di energia autoprodotta, riducendo fino ad annullarla quasi completamente la dipendenza da paesi esteri, con enormi benefici in termini di bilancia commerciale e di ricchezza che rimane in circolazione in Italia, invece di finire in paesi stranieri.
Le energie rinnovabili sono altresì in grado di generare posti di lavoro abbondantemente superiori rispetto a quelli che si perderebbero nella filiera della mobilità a combustibili fossili e specificamente dell’automobile con motori a combustione.
Questa perdita viene da sempre freneticamente agitata come spauracchio e specchietto per allodole (purtroppo molto numerose tra gli italiani) da Felpini soprattutto e dagli attuali governanti in generale, ma in effetti, a conti fatti, sarebbe davvero limitata, come evidenziato dalla celebre puntata di Presa Diretta intitolata “La Scossa Elettrica” (https://www.raiplay.it/video/2023/10/La-scossa-elettrica—Presa-Diretta—Puntata-del-09102023-a0ea5d78-4a2d-41d6-9d89-35e54f82d619.html, che rimane come un eccellente esempio di giornalismo serio che vuole davvero capire per primo come stanno le cose e quindi riportarle a lettori e telespettatori.
Un governo che neghi la realtà dei fatti spargendo disinformazione quando non vere e proprie bufale è un danno per questo paese. Altro che “patrioti”!
E’ affascinante oltretutto ripensare sempre, mentre Selfini invoca la protezione del mercato auto nazionale, al sommo esempio di italianità di Exor N.V., la holding finanziaria olandese dove gli Agnelli-Elkann accumulano i guadagni, lasciando sul suolo italiano i debiti e i costi sociali.