Rinnovabili: con le politiche del governo Meloni il settore è destinato ad entrare in crisi già nel 2026, provocando una fuga degli investimenti internazionali. E’ l’allarme che arriva durante l ’Italian Renewables Investment Forum 2024 che si è tenuto a Roma organizzato dallo studio Green Horse Advisory e dalla società di consulenza Althesys. Â
Una conferma potrebbe arrivare a fine anno, quando scadranno i termini per la presentazione da parte delle Regioni dei provvedimenti sulle “aree idonee“. Sarà l’occasione per capire se ci saranno altre amministrazioni – come la Sardegna – che vieteranno l’installazione di impianti solari ed eolici sulla quasi totalità del loro territorio.
La preoccupazione degli investitori internazionali
Se così fosse, potrebbe essere vanificato quanto realizzato negli ultimi cinque anni. Quando il mercato italiano delle energie rinnovabili ha recuperato parte della distanza che lo separa dai Paesi europei dove le rinnovabili sono cresciute più velocemente. Soprattutto grazie ai progetti finanziati da investimenti internazionali.
Cinque anni in cui c’è stato un contesto di mercato favorevole, sia per la semplificazione delle procedure, sia per le nuove regole sulle aste sia per la revisione del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima. Nel Pniec è scritto che al 2030 l’Italia sarà in grado di soddisfare il 65% del fabbisogno elettrico con le rinnovabili.
Rinnovabili: i provvedimenti del governo Meloni rischiano di diventare un freno agli investimenti
Un obiettivo da “missione impossibile” se si considera che attualmente, la quota in Italia è pari al 36,8%, molto lontana da altri Paesi europei come la Spagna (52%), la Germania (50%) e la Francia (27%), che però può contare su una quota molto alta di nucleare.
Una frenata da qui a prossimi due anni, renderebbe impossibile raggiungere l’obiettivo del 2030, per quanto da inizio anno siano stati installati in Italia quasi 5 gigawatt di nuova potenza installata, un “risultato incoraggiante“, per quanto ancora lontani dagli 8 gigawatt all’anno necessari fissati dal Pniec.
Sotto accusa “l’attuale quadro normativo” che rischia di “rendere gli iter autorizzativi più lunghi e complessi con un conseguente rallentamento degli investimenti e ripercussioni sulla capacità installata che diventeranno evidenti a partire dal 2026″.
In particolare, la critica è rivolta agli ultimi provvedimenti del governo Meloni. Sul fronte autorizzativo “il settore si trova in una situazione di attesa sia per capire come si muoveranno le Regioni nell’attuazione del decreto Aree Idonee, sia per valutare quale sarà il destino del solare a seguito dei divieti introdotti dal decreto Agricoltura“.
L’Italia ha i prezzi più alti dell’energia elettrica
Al governo viene rimproverato anche di non avere un piano che riduca il costo della bolletta dell’energia elettrica per cittadini e imprese: “L’Italia è il paese dove l’energia costa di più in Europa, conseguenza dell’elevata dipendenza dal gas. Da più parti è stato evidenziato come un deciso aumento delle rinnovabili sia la risposta più adeguata“.
In particolare “i decreti Agricoltura ed Aree Idonee, tanto attesi, ora rischiano di rallentare – se non bloccare – le installazioni (soprattutto il fotovoltaico), mentre i provvedimenti che potrebbero favorirle sono ancora in fase di definizione“.
Stiamo parlando dei ritardi per l’avvio del decreto FER X, che vede il governo ancora impegnato in un tavolo di confronto con Bruxelles. Inoltre, è ancora in discussione il Testo Unico Rinnovabili: sulla carta dovrebbe mettere ordine nei processi autorizzativi ma secondo gli addetti ai lavori non offre adeguate garanzie per arrivare alla semplificazione degli iter.
“Le uniche note positive – è emerso ancora dai lavori – riguardano la pubblicazione dello schema di incentivazione FER 2 per le rinnovabili innovative e l’impugnazione da parte del governo della moratoria della regione Sardegna che ha sospeso per 18 mesi i processi di autorizzazione e fermato la costruzione di impianti già avviati”.
“Il quadro regolatorio mina la credibilità dell’Italia”
Ma di sicuro non basterà per evitare una possibile crisi delle rinnovabili nel 2026, il che allontanerà l’Italia ancora di più dal resto d’Europa, nonché gli investimenti internazionali.
Lo pensa anche Carlo Montella, co-founder e managing partner Green Horse Advisory: “Gli investitori ci hanno confermato un forte interesse a investire nel nostro Paese, a condizione che il contesto normativo consenta investimenti a lungo termine. Le modifiche del quadro regolatorio di riferimento in parte retroattive minano la credibilità del nostro Paese”.
A preoccupare gli investitori non solo gli aspetti normativi, come ha ricordato Alessandro Marangoni, ceo di Althesys: “Le incognire riguardano il ridimensionamento sensibile dei prezzi elettrici in Europa, dopo due anni di picchi; la tenuta della capacità della rete, sottoposta a carichi crescenti anche a causa della cattiva distribuzione regionale sbilanciata al Sud“.
Tuonano contro il superbonus, che ha dato lavoro a tutti i lavoratori dell’indotto delle rinnovabili ed ha evitato l’emissione in atmosfera di tanta CO2.
Non esitano a regalare miliardi per armi da guerra.
Cosa ci possiamo aspettare da questi individui!?!?!?
La morale è sempre la solita: chi toglie lavoro alle raffinerie ed ai petrolieri va combattuto a tutti i costi (ed utilizzando tutti gli specchi per le allodole possibili: l’indotto dell’auto termica, il portafoglio degli italiani, ecc. ecc. e con i media prezzolati al loro servizio).
Questi preferiscono spendere soldi (nostri) per riparare i danni causati dai combustibili fossili che rinunciare alle regalie (loro).
Io non so di chi sia il ” merito “. Dico solo che per l’impianto fotovoltaico che ho installato il 15 giugno non sono ancora riuscito ad avere la connessione in rete. 4 mesi, impianto finito e fermo, già pagati gli oneri di connessione. Vergogna.
Imposta l’invertera 0 esportazione. Almeno la corrente la usi.
Già fatto. Però vorrei avere l’impianto che ho pagato, non il modellino
leggevo un articolo di inizio 2024, un impianto fotovoltaico utility aveva circa questi tempi:
– 2-3 anni per ottenere la valutazione del M.a.s.e.
– altri 1-2 anni presso enti locali ( Regione; in teoria potrebbe fare la valutazione già senza attendere il Mase, ma in pratica non lo fanno) salvo eccezioni virtuose
– altri 3-4 anni ricorsi al Tar e Consiglio di Stato di enti oppositori (leggi scritte male soggette a interpretazione consentono questo, anche se un po’ alla volta si forma unpo di giurisprudenza su come interpretare le leggi)
– nel frattempo il progetto va anche ri-aggiornato sulle specifiche tecniche
al Mase a inizio anno, nella coda di attesa c’erano circa 1300 impianti utility fotovoltaico, e 120 impianti di accumulo di rete, quelli che potrebbero limare da subito i picchi di costo del kwh all’ora di cena (orario in cui le centrali a gas vengono stra-pagate, facendo alzare la media del PUN) e non solo
ma a gestire le pratiche autorizzative al Mase ci sono solo 40 addetti (effettivi anche meno), con un arretrato di circa 10.000 pratiche, di cui alcune migliaia sono per impianti di rinnovabili, e non si decidono ad aumentarli;
inoltre il parere negativo della Sovrintendenza alle belle arti può andare in conflitto con quello posiitivo del Mase (Sgarbi ad es. era esperto in questi sabotaggi) richiedendo all’investitore di fare lui ricorso al tribunale, se ci sono gli estremi, e si perdono altri anni
alla fine di questo percorso a ostacoli, arrivano pochi impianti, dopo tanto tempo, e diventati più cari del normale (anche se ancora convenienti in senso assoluto, però costano di più che in Spagna per esempio) per le spese dovute al ritardo, alle pratiche e al rischio di investimento legato all’incertezza
giusto l’agrivoltaico a panneli bassi e senza incentivi, aveva un iter molto più snello (le aree usabili second i criteri, non erano soggette a valutazione ne a possibili ricorsi, erano direttamente idonee, e ipropnenti non soggetti a bandi o gare), ma è stato prontamente vietato pochi mesi fa dal DL Agricoltura
inoltre gli altri decreti degli ultimi mesi (Aree idonee e bozza Testo unico), che erano attesi in teoria per semplificare iter e definizioni, sono stati usati per sortire l’effetto contrario, hanno peggiorato la situazione:
molte più restrizioni a frenare nuovi impianti (effetto si vedrà di più tra 2-3 anni), e anche retroattive, a stoppare chi era già in attesa della valutazione del Mase, e nuove leggi scritte male e in conflitto tra loro, che azzerano il lavoro paziente che era stato fatto in giurisprudenza per chiarire le leggi precedenti