Il petrolio ha i giorni contati e Big Oil ha cominciato a licenziare

investimenti rinnovabili

Non si fermano i licenziamenti nel settore del petrolio, a partire dagli Stati Uniti: dopo Chevron è la volta di ConocoPhillips. Gli utili sono in ribasso per il calo dei prezzi, dovuto all’aumento di produzione a livello globale e alla pressione delle energie rinnovabili

L’ultimo annuncio è arrivato da ConocoPhillips, colosso con sede a Houston, che ha comunicato la riduzione fino al 25% del personale globale, pari a circa 3.250 persone. Una decisione che segue l’acquisizione da 17 miliardi di dollari di Marathon Oil, avvenuta meno di un anno fa.
«Cerchiamo sempre di capire come possiamo essere più efficienti con le risorse a nostra disposizione», ha dichiarato il portavoce Dennis Nuss. Non un caso: dopo grandi fusioni, i licenziamenti diventano prassi, soprattutto tra figure amministrative e tecniche duplicate.

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Il petrolio si avvicina sempre più al picco della domanda: i prezzi rimangono bassi e gli utili sono in calo

Il mercato del greggio è la variabile più pesante, come ha fatto notare un approfondimento del New York Times. Negli Stati Uniti il barile oscilla intorno ai 64 dollari, ben al di sotto dei 77 dollari medi del 2024. Per ConocoPhillips questo ha significato un calo del 15% degli utili, scesi a 2 miliardi nel secondo trimestre. Anche Chevron, la seconda compagnia del Paese, ha annunciato fino a 9.000 tagli, pari al 20% della forza lavoro.

Ma nonostante la dinamica dei prezzi, Big Oil continua a pompare petrolio come se nulla fosse. Gli Stati Uniti estraggono più petrolio e gas che mai, ma con circa il 25% di lavoratori in meno rispetto a dieci anni fa. Merito (anche) delle nuove tecnologie: consentono perforazioni più profonde e una gestione “digitalizzata” da remoto. Riducendo così la presenza fisica nei giacimenti. Allo stesso tempo, la delocalizzazione di alcune funzioni verso paesi a basso costo del lavoro – come avviene in India – hanno alleggerito ulteriormente le strutture occupazionali interne.

Il declino del petrolio segue la parabola del carbone

Il declino dei posti di lavoro nel settore petrolifero ricorda quello già visto dall’industria carbonifera, dove la produzione cresceva mentre i posti sparivano. Oggi, mentre il settore prova a resistere alla concorrenza delle energie rinnovabili e al boom dell’auto elettrica in particolare in Asia. Con un ulteriore conseguenza: Big Oil non è più in grado di offrire salari più elevati della media. Secondo gli ultimi dati, il premio rispetto ad altri comparti industriali si è dimezzato, scendendo dal 60% pre-pandemia a poco più del 30%.

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Le fusioni e acquisizioni restano un fattore chiave di riduzione dei posti di lavoro. La recente incorporazione di Marathon Oil da parte di ConocoPhillips ha portato alla perdita di circa 500 posti solo in Texas. Al tempo stesso, Chevron ed Exxon stanno potenziando i loro hub in India. Così come geologi e ingegneri lavorano sui nuovi impianti offshore della Guyana, diventato un nuovo “petrostato”.

Big Oil conta molto sulla spinta che arriverà dalle politiche dell’amministrazione Trump. Più che le dichiarazioni a favore del presidente (“drill baby drill“) conteranno gli sgravi fiscali e soprattutto le scelte per ostacolare la crescita delle rinnovabili. Ma allo stesso tempo, ci sono due fattori importanti che freneranno la ripresa degli utili delle imprese. I benefici in arrivo dalla Casa Bianca si manifesteranno solo sul lungo periodo e, d’altra parte, Trump non potrà di certo fermare la crescita delle rinnovabili in Asia. Senza contare l’apporto crescente dei sistemi di accumulo che hanno abbassato ancora di più i costi dell’energie verdi. I giorni del petrolio che domina il mercato dell’energia appaiono ora al capolinea.

  • LEGGI anche “Petrolio al lumicino: rinnovabili subito o sarà guerra per l’energia” e guarda il VIDEO

Visualizza commenti (5)
  1. Enrico Ambrosini

    Il Sole 24 ore del 07 settembre 2025
    Scrive che OPEC ha aumentato la produzione di 137.000 barili al giorno

    1. aumenta la produzione perché è il prezzo è basso e non tutti si possono permettere di farlo con i costri di produzione che hanno. per esempio chi possiede giacimenti di shale oil negli Usa

    2. forse (?) fanno scendere il prezzo come minaccia e avvertimento a Trump e Putin, che con prezzi del petrolio troppo bassi perdono molto più di loro sui margini di profitto

  2. La penetrazione di auto elettriche diminuisce il fabbisogno di petrolio nel pianeta, ovviamente il ridicolo numero di auto elettriche circolanti rispetto alle termiche non possono incidere in modo importante ma ogni auto venduta è un chiodo nella bara di Big Oil.

    1. Difatti non è tanto il numero attuale delle BEV a spaventare Big Oil è la tendenza e le previsioni a venire sia a breve sia a lungo termine. Oramai c’è la consapevolezza negli investitori che si è superato il punto di non ritorno sulla transizione delle auto, ed è solo questione di tempo.

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