Oggi è la Giornata Mondiale degli Oceani, l’evento che si ripete puntualmente dal 1992 grazie a una intuizione di The Ocean Project e dal World Ocean Network. Riconosciuta dall’Onu nel 2008.
Un tema globale, ben fissato nell’agenda dei media globali e, si spera con atti concreti, in quella politica. La plastica con i suoi blob giganteschi come il Pacific Trash Vortex oppure il Great Pacific Garbage Patch è il male che attira maggiore attenzione l’attenzione. Ma non è l’unico che mette a rischio oceani e mari.
Quest’anno il titolo della giornata è “Oceano: vita e sostentamento“. Si vuole mettere in evidenza il ruolo dei mari per la produzione di ossigeno e cibo e per l’assorbimento della CO2. Gli oceani, al plurale, salvano anche la nostra atmosfera. Tutto è legato.
Disastri da petrolio in mare, tanti e troppi
Nei giorni scorsi in Sri Lanka la nave cargo MV X-Press Pearl ha sversato tonnellate di veleno in mare e nell’aria. Uno dei tanti e troppi disastri ambientali che hanno macchiato le nostre acque. La lista degli incidenti è infinita. Nell’agosto 2020 abbiamo scritto di Wakashio, la nave giapponese arenatasi contro una barriera corallina con a bordo ben 4.000 tonnellate di carburante.
L’era del petrolio ha chiaramente distrutto e sta distruggendo il nostro ecosistema. Stiamo tirando il freno a mano, ma la “carbonizzazione” resiste con grande forza di trascinamento. Se da un lato crescono movimenti ambientalisti globali e la politica internazionale, soprattutto dopo la caduta di Donald Trump, sta accelerando le politiche di decarbonizzazione resta tanto da fare sul fronte culturale.
E le batterie…?
Ancora troppo persone quando si parla di nautica elettrica lanciano accuse e strali (a volte molto interessati economicamente) di voler creare un’altra forma di inquinamento. Si ripete quasi come un mantra: ma lo smaltimento delle batterie? Osservazione giusta in teoria: il bilancio energetico, purtroppo, non è mai a zero impatto ambientale. Ma spesso è solo la scusa utile per rallentare il processo di decarbonizzazione. Non ci salverà solo il packaging plastic free se i veicoli “cammineranno” o navigheranno ancora a petrolio.
Nel Mediterraneo ogni anno 600mila tonnellate di idrocarburi in acqua
C’è il problema degli oceani, c’è il problema del Mediterraneo. Anche nel Mare Nostrum oltre la plastica si combatte contro lo sversamento del veleno in acqua. E abbiamo dei dati forniti da Ispra. Risalgono al 2018 e sono terrificanti. E ben poco è cambiato in un sistema che si regge ancora tutto sul petrolio – anche se durante il Covid alcune acque si sono ripulite.
Vediamo i numeri: “Ogni anno, il Mar Mediterraneo subisce sversamenti di idrocarburi per circa 600.000 tonnellate – scrivono i ricercatori – sono stati 27 gli incidenti occorsi nel Mediterraneo negli ultimi trent’anni, che hanno prodotto uno sversamento in mare di circa 272.000 tonnellate di petrolio“. Eppure il nostro mare oltre che capitale ecologico è anche capitale economico con tutte le attività turistiche e di pesca che danno da mangiare a milioni di persone.
Ispra ci fornisce altri dati interessanti: “A questi eventi, si aggiungono anche tutti gli sversamenti in mare volontari di idrocarburi da navi, cosiddette “attività operazionali”, che hanno gravemente compromesso l’ecosistema, determinando danni ambientali difficilmente calcolabili persino dagli attuali sistemi di indagine scientifica“. Peggio di così…
La Giornata Mondiale degli Oceani lancia il sostegno al movimento globale “30×30” che intende far dichiarare nel 2030 area protetta almeno il 30% della superficie terrestre (terre e acque). E in queste aree come nei laghi di Svizzera, Austria e Germania, non si naviga a motore termico. Solo in elettrico.
Buone pratiche ad elettrico negli oceani
I problemi persistono, ma ci sono alcune piccole buone pratiche che intendiamo segnalare. Ne avevamo parlato nel 2018 (leggi qui) e il progetto di Sea Cleaner prosegue con Manta. Si tratta di una grande barca a vela che vuole affrontare l’inquinamento plastico oceanico. Viene chiamata nave fabbrica e si tratta di un concentrato di ecologia e tecnologia. “Sarà la prima del suo genere in grado di raccogliere, elaborare e recuperare grandi quantità di rifiuti plastici marini“. Lodevole iniziativa anche se per attenuare il problema oggi bisogna consumare meno plastica e meno petrolio. Materiali alternativi, mobilità collettiva ed elettrica quando non è possibile usare i mezzi pubblici.
In Francia la Barca di Veolia con motore Transfluid
Sulle coste di casa nostra segnaliamo anche la barca ibrida del gigante industriale francese Veolia (qui), leader nella depurazione e trattamento dell’acqua, che raccoglie la plastica galleggiante dal mare ed aspira le sostanze oleose. Una utilissima doppia funzione che svolge lungo una località turistica della Costa Azzurra. Il motore è fornito dal marchio italiano Transfluid specializzato in motori elettrici e ibridi. A Liverpool la Water Witch vara imbarcazioni (qui) per recuperare rifiuti, aspirare plastica e petrolio, bonificare le acque di porti e fiumi. Prima lavorava con motori termici, per coerenza ora è passata a quelli elettrici di Torqeedo. Infine pur non essendo un cantiere segnaliamo il lavoro di Daniela Ducato (qui) che produce materiali da scarti di lavorazione, ad esempio la lana, per assorbire gli idrocarburi all’interno dei porti.
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[…] ultimi 30 anni) nel Mare Nostrum si sversano ogni anno ben 600mila tonnellate di idrocarburi (leggi qui). Convertire i motori delle navi in elettrico eliminerebbe alla radice il problema. Senza se e […]
Esatto, ma non solo negli oceani:
– le autocisterne quando non tappano bene i tubi utilizzati per caricare i distributori fanno cadere in strada idrocarburi, e quando si tratta di gasolio il motociclista è in pericolo;
– dove ci sono pozzi di petrolio o raffinerie le falde sono compromesse e l’acqua inizia ad avere un odore sulfureo con retrogusto di idrocarburo. Le amministrazioni comunali prontamente dicono che si tratta di una fonte termale MA NON CI CREDE GIUSTAMENTE NESSUNO.
Anni fa Galliate in provincia di Novara un bel giorno in una zona del paese l’acqua iniziò a puzzare e prontamente l’amministrazione parlo di fonte termale, dopo qualche giorno un cittadino cambiò l’acqua ai propri pesciolini utilizzando quella “potabile” del rubinetto e i poveretti morirono tutti – la giustificazione dell’amministrazione dell’epoca fu che l’acqua era ad alta pressione e c’erano molte bollicine e pertanto non escludeva che la morte dei pesci potesse essere causata dall’ingestione da parte degli stessi delle predette bollicine d’aria.