Northvolt, una sconfitta europea: la start up delle batterie finisce negli Usa

La start up svedese Northvolt, che doveva rappresentare la risposta europea allo strapotere della Cina nel settore delle batterie per auto è finita negli Stati Uniti. Il produttore statunitense di batterie Lyten ha annunciato di aver rilevato le principali attività di Northvolt in Svezia e Germania, rilevandole dalla procedura fallimentare. Tra gli investitori dell’azienda americana c’è anche Stellantis. il gruppo automobilistico che vede la famiglia agnelli come primo azionista

Il futuro della filiera europea delle batterie vive un passaggio cruciale. Come riportato da fonti industriali e confermato da comunicati ufficiali, il produttore statunitense Lyten ha siglato un accordo vincolante per acquisire gli asset residui dal fallimento Northvolt, storica promessa dell’industria europea dell’accumulo energetico. L’intesa comprende il cuore produttivo e tecnologico dell’azienda svedese: lo stabilimento Northvolt Ett e la sua espansione a Skellefteå, il centro R&S Northvolt Labs a Västerås e il progetto di gigafactory Northvolt Drei a Heide, in Germania. Inclusa anche la totalità della proprietà intellettuale e delle tecnologie sviluppate in questi anni.

Northvolt in bancarotta, sfuma il sogno della batteria europea?

Northvolt: tra gli azionisti di Lytel il gruppo Stellantis

Secondo stime citate da Electrek, il pacchetto varrebbe circa 5 miliardi di dollari. Oggi Northvolt lascia in eredità 16 GWh di capacità già operativa, oltre 15 GWh in costruzione e potenzialità di espansione oltre i 100 GWh. Il centro R&S di Västerås, considerato il più avanzato in Europa, sarà un tassello strategico per Lyten, che punta a riavviare la produzione già dal 2026 e a riconquistare clienti chiave come BMW, Volkswagen e Audi.

Per il gruppo americano non si tratta di una iperazione isolata: Lyten ha già acquisito asset come il sito Dwa in Polonia, la californiana Cuberg e un portafoglio di tecnologie BESS (Battery Energy Storage Systems). La strategia sembra chiara: costruire una piattaforma globale per la produzione e l’innovazione nelle batterie, anche esplorando nuove acquisizioni come la fabbrica canadese Northvolt in Québec.

Northvolt aveva ottenuto capitali pubblici (Bei e governo nazionali) ma anche privati Volkswagen e Goldman Sachs)

Fondata nel 2017, Northvolt era diventata il simbolo della strategia europea per un’industria delle batterie indipendente e competitiva. Partner della European Battery Alliance, aveva ottenuto sostegno massiccio da istituzioni e investitori: finanziamenti pubblici da BEI e governi nazionali, capitali privati da Volkswagen (21%) e Goldman Sachs (19%), oltre al più grande prestito green mai concesso in Europa — 5 miliardi di dollari.
L’obiettivo era ambizioso: conquistare il 25% del mercato europeo entro il 2030, costruendo gigafactory in Svezia, Germania e Canada e impianti di stoccaggio e riciclo in Polonia. Con 55 miliardi di dollari di ordini già firmati, il traguardo sembrava a portata di mano.

Poi, nel 2023, i primi segnali di crisi: lo stabilimento di Skellefteå ha prodotto meno dell’1% della sua capacità nominale, evidenziando una forte dipendenza da materiali e macchinari cinesi, oltre a problemi di know-how. Gli ordini sono stati cancellati, i finanziamenti si sono prosciugati e, nel novembre 2024, è arrivata la protezione dai creditori con il Chapter 11 negli Stati Uniti. E ora il nuovo rilancio, ma sotto bandiera americana

Per l’Unione europea una dura lezione, mentre ancora si fa fatica a vedere una nuova strategia nonostante le intenzioni del Clean Industrial Act presentato nel marzo scoro dalla Ue. Con 55 miliardi di ordini potenziali e in parte già firmati, avrebbe dovuto conquistare il 25% del mercato entro il 2030. Invece, il consorzio di investitori si è fatto trovare impreparato alle prime difficoltò quando la produzione non è andato oltre l’1% del suo obiettivo.

Visualizza commenti (10)
  1. La cosa ridicola è che l’Europa avvia programmi industriali che non può mantenere da sola e si lega mani e piedi ad industrie extra-europee.

    1. ma potrebbe anche mantenere le industrie strategiche per la sicurezza nazionale, solo che non avendo un governo centralizzato ma essenzialmente decine di teste che fanno quel che vogliono eccoci qua..

  2. Sono stati bravi per un limitato periodo a spillare soldi a fondo perduto per qualcosa che non erano in grado e non sapevano produrre; lasciamo fare ai cinesi che che è meglio

  3. la frammentazione degli stati europei si vede anche qui.

    quando c’era da mettere i capitali per tenere a galla un industria strategica come questa abbiamo fatto spallucce, unione europea unita solo a parole.

    1. Edwin Abbott

      Chi ha la testa sulle spalle, sa che ci vorrebbe una federazione per completare la UE attuale, per darle una personalità.

      Non per vincere, ma almeno per permettere alla UE di partecipare alla “gestione del mondo”. Vedere l’irrilevanza attuale della UE nei tentativi di concludere lo stupro dell’Ucraina da parte di Putin, o della Palestina da parte di Netanyahu.

      Ma noi cittadini comuni votiamo Meloni, Salvini, Orban, Fico, Wilders, Le Pen, Brexit etc. perché siamo (segretamente) egoisti e ci piace mangiare “gratis”, ossia fare pagare “altri” (quello è il significato di “prima gli Xyz”). Dimenticando, ovviamente, che (anche) noi stessi siamo gli “altri” di qualcun altro più forte di noi. Vedi il giochetto dei dazi ai quali si è prestato il nostro governo nazional-sovranista appena un altro (più forte e arrogante di noi) ha fatto la voce grossa.

      1. assurdo che gli ultimi 3/4 anni non ci abbiano insegnato niente.
        peccato, da posto di rilievo quale potevamo avere, a banca di quella testa vuota arancione.

        ma come dici tu, finchè non si diventa una federazione, un esercito unico, una politica unica non facciamo che spararci negli zebedei con sovraregolamentazioni.

        1. Sono perfettamente d’accordo con te!
          …e sapessi come vorrei avere lo stipendio di un tedesco e pagare l’elettricità come un francese….

          1. pare che nei dati aggiornati (Eurostat) in Francia l’elettricità domestica costi come quella italiana, e quella per utenze industriali anche un poco più di quella Italiana

            fanno meglio di noi giusto sulle colonnine di ricarica, da loro il settore ricarica BEV è più maturo

            bollette basse basse, tra paesi con redditi simili a noi, invece c’è la Spagna

            questo escludendo i paesi dell’est europa, che in bolletta caricano poche spese e poche tasse per adeguare verso il basso il conto totale in bolletta ai bassi stipendi locali

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