Secondo quanto pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian, Toyota utilizzerebbe videogiochi in stile rétro e premi per incentivare i dipendenti statunitensi a sostenere le posizioni politiche dell’azienda, facendo lobbying negazionista e anti-ambientalista contro normative più stringenti.
La rivelazione getta nuova luce sulle strategie Toyota di lobbying e solleva interrogativi sul divario tra l’immagine “green” del marchio e le sue azioni concrete sul fronte della transizione ecologica.

Giochi, punti…e messaggi politici
Negli Stati Uniti Toyota ha messo in piedi una piattaforma interna chiamata Toyota Policy Drivers, accessibile a decine di migliaia di lavoratori. Qui i dipendenti possono partecipare a giochi digitali ispirati ai videogame degli anni ’90, con nomi come Dragon Quest, Star Quest o Monster Mansion. Il meccanismo è semplice: più si interagisce con i contenuti aziendali e si seguono le indicazioni politiche, più si accumulano punti, convertibili in gadget, premi o perfino viaggi.
I giochi sono stati creati da LGND, un’azienda di software che ha realizzato progetti anche per le aziende appaltatrici della difesa Aurex e Bechtel.
Dietro l’aspetto ludico, la finalità pare esplicita. I dipendenti vengono incoraggiati a contattare parlamentari e autorità pubbliche, utilizzando argomentazioni fornite dall’azienda, per sostenere le posizioni di Toyota su temi chiave come normative sulle emissioni, politiche industriali e transizione energetica.
In particolare, il Guardian sostiene come la piattaforma venga usata per spingere contro l’inasprimento degli standard sulle emissioni dei veicoli negli Stati Uniti e contro il piano della California che prevede lo stop alla vendita di auto a benzina dal 2035. Secondo Toyota, infatti, queste misure sarebbero irrealistiche e penalizzerebbero eccessivamente ibridi e plug-in, tecnologie su cui il gruppo ha costruito gran parte del proprio successo.

Toyota, un’immagine verde controversa?
Da anni Toyota si presenta come pioniere della mobilità sostenibile, grazie soprattutto alla diffusione degli ibridi. L’azienda ha annunciato obiettivi di neutralità climatica al 2050 e investimenti in una pluralità di soluzioni: ibridi, elettrici a batteria, idrogeno.
Tuttavia, diverse organizzazioni ambientaliste accusano il gruppo di greenwashing. Studi citati dal Guardian indicano che le emissioni complessive di Toyota superano quelle di interi Paesi industrializzati, e watchdog internazionali collocano l’azienda tra le più attive nel frenare politiche climatiche ambiziose, soprattutto sul fronte dell’auto elettrica.
La stessa dirigenza non ha mai nascosto diffidenza verso l’elettrico puro. Il presidente Akio Toyoda ha più volte sostenuto che le BEV non supereranno il 30% del mercato globale e che, a parità di materie prime, produrre più ibride sarebbe ambientalmente preferibile. Una tesi contestata da numerosi studi indipendenti, che indicano nelle auto elettriche la soluzione con minore impronta carbonica complessiva.

Il ruolo dei dipendenti nel lobbying aziendale
Il caso Toyota non è isolato nel contesto statunitense. Da decenni molte grandi aziende praticano la cosiddetta “employee mobilization”, ovvero il coinvolgimento diretto dei lavoratori nelle attività di pressione politica. Ciò che però rende peculiare l’esperienza Toyota è la gamificazione del lobbying, una modalità finora poco documentata.
Secondo alcuni esperti, questo approccio rischia di banalizzare temi complessi come la crisi climatica, trasformandoli in una competizione a punti. Inoltre, pur essendo formalmente volontaria, la partecipazione può generare pressioni implicite sui lavoratori, data la naturale asimmetria nel rapporto tra azienda e dipendenti.
- LEGGI anche: Armaroli: “Contro la transizione usano armi di distrazione di massa” e guarda il VIDEO

