Home Auto Musk “bandito” da Tesla. La metterà in vendita?

Musk “bandito” da Tesla. La metterà in vendita?

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Dopo il passo indietro di Elon Musk, che si è impegnato a dimettersi entro 45 giorni da presidente patteggiando con le autorità di Borsa americane una multa da 40 milioni di dollari, tutti si chiedono chi gli succederà alla guida di Tesla; o addirittura se il terremoto al vertice e il conseguente crollo del titolo in Borsa (-13,9% in due sedute) aprirà la strada a una nuova proprietà.

I colossi sono già in agguato?

Così la bomba esplosa venerdì scorso quando la Sec (Consob americana) ha messo sotto accusa Musk per turbativa e false comunicazioni al mercato potrebbe essere soltanto l’antipasto di uno dei più clamorosi “affaire” della storia finanziaria americana e mondiale. Si parla infatti di grandi manovre dietro le quinte, con colossi come Volkswagen, Mercedes, Ford, Hyundai (e perfino i cinesi della Geely) in agguato per soffiare la società di Palo Alto al finanziere sudafricano. Aggiudicandosi così l’icona globale della rivoluzione elettrica.

Il successo del Model 3 resta

Quanto ci sia di vero non si può ancora dire. Di verosimile, però, ci sarebbero le possibili sinergie tra il costruttore più glamour e tecnologicamente più attrezzato sul mercato e colossi con capacità produttiva tale da assicurare l’evasione dei numerosi ordini di Tesla Model 3 in lista d’attesa. Il paradosso della più grave crisi attraversata dal gruppo californiano in 15 anni di attività, però, è che arriva non già dalle fabbriche, suo tradizionale tallone d’Achille, bensì proprio dalla finanza che, secondo i detrattori, era stato sempre l’unico terreno di gioco sul quale Elon Musk aveva sempre sbaragliato il campo, arrivando a capitalizzare quasi 60 miliardi di dollari, 10 in più di General Motors, nonostante continuasse a perdere denaro. Viceversa, proprio nei giorni precedenti la mazzata assestata dalla Sec, Tesla aveva collezionato clamorosi successi industriali: in agosto Tesla era stata in assoluto la marca più venduta negli Stati Uniti  e alla vigilia dell’indagine Sec le catene di montaggio avevano raggiunto l’obiettivo produttivo indicato da Musk di 5 mila vetture a settimana, addirittura 6.700 negli ultimi sette giorni; un ritmo che porterrebbe la produzione del trimestre a quota 77 mila auto, contro le 50-55 mila dell’obiettivo. Come è noto la Model 3 ha prenotazioni per quasi 400 mila unità, con attese che toccano i due anni.

Le altre crisi borsistiche erano sempre state innescate da ritardi e contrattempi in fabbrica, sia nelle catene di montaggio, sia nel colossale stabilimento Gigafactory di Fremont dove si producono le batterie.

Elon Musk con alle spalle i modelli a cui Tesla sta lavorando: il Roadster, il camion Semi e il camioncino.

Gli effetti speciali del vulcanico Elon

Ma Musk era sempre riuscito ad inventarsi qualche effetto speciale per riconquistare la fiducia degli investitori. Una volta l’annuncio del nuovo e strabiliante camion elettrico Semi da 1000 chilometri di autonomia, un’altra il lancio spaziale, non solo metaforico, del nuovo Roadster da 400 km/h e 1,9 secondi di accelerazione da 0 a 100 km/h. Stavolta invece gli sono stati fatali un paio di semplici tweet; poche righe per ventilare la possibilità di ritirare Tesla da Wall Street, ricomprandosi tutto il flottante a 420 dollari per azione, cioè con un premio di oltre 100 dollari sul valore di mercato. Ma soprattutto 420 è il numero simbolo della marijuana. La stessa sostanza che Musk aveva tranquillamente fumato durante un’intervista radiofonica, in agosto, venendo poi smascherato da un video pirata. Intervenire, per la Sec, è stato a quel punto un atto dovuto. E già il giorno dopo, il 29 settembre, Musk aveva dovuto alzare bandiera bianca pur di non subire la gogna di un vero e proprio processo.

Chi gli succederà come presidente?

Il primo interrogativo riguarda il suo successore alla presidenza. Tre nomi più gettonati: JB Straubel, Jerome Guillen e Deepak Ahuja. Il primo è la mente tecnologica del gruppo fin dalle origini, tanto che viene indicato come cofondatore di Tesla. Anche il secondo, Guillen, ha un background tecnologico. E’ un ingegnere dell’automotive, è in Tesla da 8 anni ed è considerato il vero padre progettuale della Model S; recentemente è stato promosso capo assoluto di tutte le attività auto. Ahuja è l’uomo della finanza. Al fianco di Musk da 9 anni, ha anch’egli una laurea in ingegneria e per di più una precedente esperienza nell’auto classica, con Ford. Ma non è nemmeno escluso, anzi è molto probabile, che il nuovo presidente sia reclutato dall’esterno (tra le clausole accessorie dell’accordo pare ci sia addirittura l’impegno ad inserire manager indipendenti nel board); la qual cosa sarebbe un segnale di sottomissione ai voleri della Sec, mentre Musk, che conserverà la carica di direttore generale, e la sua squadra di fedelissimi potrebbero continuare a gestire di fatto il gruppo per i tre anni di stop imposti al fondatore. Della serie: squadra che vince non si cambia.

Indiani e cinesi tra i più accreditati

Dicevamo che l’arrivo di un acquirente è verosimile, per logiche produttive, industriali o commerciali. L’occasione rischia però di arrivare fuori tempo massimo. Le grandi case tedesche, VW- Audi, Porsche, Mercedes e BMW hanno già messo a punto una propria piattaforma elettrica. Altrettanto ha già fatto Jaguar. Toyota ha sempre detto di non credere all’elettrico puro. Nissan-Renault, GM e Hyundai nel segmento inferiore, quello delle medie, hanno sì prodotti di successo, ma forse per tutte loro mettere in collezione un gioiello premium come Tesla potrebbe essere interessante. Ma le vere candidate a un’operazione Tesla, a nostro parere, sono i colossi asiatici tipo Geely, BYD o Mahindra, che hanno denaro, tecnologia, mercato e capacità produttiva, ma nessun appeal in Occidente.

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