Energica Ego Corsa di nuovo in pista tra una decina di giorni, al Red Bull Ring. E’ il secondo atto del primo campionato mondiale di velocità per moto elettriche, il FMI Enel X Moto-E World Cup. All’esordio in Germania, ai primi di luglio, si è vista una gara vera: tanto spettacolo e tanta battaglia tra i piloti, tanto entusiasmo sugli spalti. Mezzi tecnici e formula sono usciti sicuramente promossi con un tondo 7 più.
Per Livia Cevolini, fondatrice e amministratore delegato di Energica, l’azienda modenese che fornisce tutti i bolidi ai 12 team in gara, il successo al debutto sul circuito tedesco del Sachsenring suona come una rivincita. Contro scettici e detrattori, ma soprattutto conto il fato: «Dopo il rogo di Jerez che il 14 marzo distrusse tutte le 18 moto già consegnate ai team, le nostre due moto-labortorio, tutta l’attrezzatura, i ricambi e perfino le chiavi inglesi sembrava che la sfortuna ci volesse perseguitare. Salvare il campionato sembrava una mission impossible. E invece siamo qui. Abbiamo vinto la nostra ennesima sfida. La prima tappa è stato un successo e andiamo in Austria più carichi che mai».
Chi ha visto la prima gara si è certamente divertito. E voi, dietro le quinte e nei box?
«I piloti hanno combattuto alla morte, organizzatori e sponsor sono soddisfatti, la formula, con la superpole, funziona. Ma per noi la cosa più importante è il risultato tecnico: nessun team ha avuto il minimo problema. Quindi la gara ha dimostrato che le nostre moto funzionano perfettamente».
A due giri dal termine, però, la brutta caduta di Lorenzo Salvadori ha messo fine anticipatamente al GP. Perché? In Tv è sembrato che i commissari avessero timore ad avvicinarsi alla moto. C’era pericolo d’incendio?
«Assolutamente no. Tant’è che la moto di Lorenzo non ha subito alcun danno significativo ed è stata interamente recuperata. Il pacco batterie era intatto. La gara è stata sospesa perché l’impatto ha distrutto l’air fence di protezione. A quel punto il circuito non garantiva più la sicurezza».
Superata anche la prova caduta, quindi?
«Di cadute ce ne sono state altre. Una sola moto, caduta però due volte, ha richiesto riparazioni importanti. Dopo i fatti di Jerez abbiamo rifatto i test di sicurezza, stressando ancora di più tutti i componenti. Nelle prove di impatto abbiamo avuto problemi a trovare il punto di rottura: l’involucro delle batterie, colpito da un percussore a cuneo, non ne voleva sapere di rompersi. E per innescare un incendio, abbiamo dovuto coprire la moto con una catasta di legno: ha preso fuoco dopo 20 minuti».
Ma a Jerez hanno bruciato alla grande…
«Restiamo a ciò che è stato già accertato dagli investigatori spagnoli: le fiamme sono partite da un corto circuito nell’impianto del capannone. L’incendio è stato così violento che nulla poteva resistere. Se nel capannone ci fossero state moto termiche e magari benzina, sarebbe successo lo stesso, se non di peggio».
Comunque, una mazzata tremenda per l’azienda e per la sua immagine.
«Eravamo già stremati per tutto il lavoro fatto nei sei mesi precedenti allestendo le 18 moto da gara. Il 14 marzo ci siamo svegliati sapendo che avremmo dovuto ripartire da zero, con meno di 100 giorni davanti. Può immaginare che stress sia stato per tutti noi. Riuscire a ripartire è stato un miracolo. Mentre lavoravamo giorno e notte qui in fabbrica, poi, abbiamo visto svanire anche gli ottimi segnali di mercato registrati nei primi mesi dell’anno. La stagione sembrava bruciata. Riconquistare la fiducia dei clienti è stata durissima, ma direi che ci siamo riusciti».
E dopo la gara del Sachsenring?
«Abbiamo recuperato. I clienti si sono rifatti vivi e speriamo che la ripresa si consolidi nei prossimi mesi. Ma anche qui siamo stati costretti ripartire da zero.
Torniamo alla gara. Cosa vi hanno detto i piloti?
«Trovano che le moto abbiano una risposta lineare e prevedibile. Una volta trovato il setting ottimale e capito come sfruttarlo al meglio nella guida, portare le moto al limite diventa una questione di matematica. All’inizio sono stati avvantaggiati i piloti con precedenti esperienze nel Moto 2, la categoria più simile alla nostra. Poi però quelli più bravi sono venuti fuori. Il vincitore Tuuli, per esempio, ci ha detto di aver cambiato il setting al secondo giro e da quel punto in poi ha preso il largo».
Che novità porterete al Red Bull Ring, l’11 agosto?
«Nessuna. Problemi tecnici da risolvere, come le dicevo, non ne abbiamo riscontrati. Per il resto il regolamento impone che le moto siano “congelate” per tutto il campionato. Stiamo raccogliendo i dati per lo sviluppo del prossimo anno, ma è presto per dire in che direzione ci muoveremo».
Avete appena annunciato un accordo con Dell’Orto per sviluppare power unit elettriche di piccola e media potenza. Vedremo presto un mini-Energica?Â
«No. L’accordo prevede che la nostra tecnologia diventi la piattaforma sulla quale Dell’Orto industrializzerà e metterà sul mercato i suoi futuri motori elettrici. Il segmento delle piccole e medie potenze crescerà con numeri che non sono alla portata di un’azienda come la nostra. Dovremmo snaturarci e non vogliamo farlo. Dell’Orto invece ha le dimensioni adeguate per diventare un fornitore globale di power unit elettriche»
C’è, in Italia, una filiera elettrica in grado di supportarvi? E quella dell’automotive tradizionale riuscirà a convertirsi all’elettrico sull’esempio di Dell’Orto?
«Le competenze ci sono, e di altissimo livello. L’engineering italiano è tra i migliori al mondo. Il problema è la scalabilità : sui grandi numeri non riusciremo mai a competere con i grandi gruppi asiatici, che oltretutto controllano gli approvvigionamenti di materie prime come il litio e il cobalto. Però, sfruttando i vantaggi della flessibilità e del know how, possiamo ritagliarci una leadership nei prodotti di alto livello e nelle nicchie d’eccellenza ad alto valore aggiunto».