L’industria europea, ha perso molti treni: dall’elettronica di consumo all’informatica. E ora l’Europa rischia di perdere anche quello dell’auto elettrica. O meglio, quello dell’auto in generale, visto che «la transizione è ormai irreversibile e nessuno la potrà fermare». Può permetterselo? L’economista Marco Frey – presidente del Comitato scientifico della Fondazione Symbola – non risponde con un sì o un no. Ma è convinto che dilazionare le scadenze e annacquare i vincoli del Green Deal la condannerà ad essere «un tassello della filiera internazionale di fornitura dell’automotive, anzichè un player globale». Insomma, un “follower” piuttosto che un “first mover”, come è sempre stata.

Da economista d’impresa, materia che insegna alla Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa, il professor Frey, interpellato da “Fuoco Amico” (vedi su youtube), ricorda che «anche il tempo ha un costo, se non è cavalcato adeguatamente». E l’Europa non lo sta cavalcando affatto; si è messa in una «posizione d’attesa».
«Ogni grande transizione tecnologica ha un suo ciclo». dice. Inizia con una «distruzione creatrice» dell’esistente e una successiva «fase di apprendimento delle nuove tecnologie e dei nuovi processi che via via si diffondono spinti dal mercato e dalle economie di scala». E’ successo per i computer, i pannelli fotovoltaici, i cellulari.
E’ successo anche con le auto termiche, nei vent’anni che intercorsero dal lancio della “Ford T nera” all’avvento dell’auto di massa.

La Cina è già in questa seconda fase. L’Europa, invece, si è come paralizzata. Esaurita la spinta della prima Commissione Von der Leyen che produsse il Green Deal, sembra ora guardare solo ai costi sciali della “distruzione”, dimenticando le prospettive della “creazione”.
Ma il tempo sprecato a “non fare” potremmo pagarlo caro. I posti di lavoro della vecchia filiera dell’automotive tradizionale si perderanno comunque, ma non si creeranno quelli della nuova filiera elettrica. Frey cita per esempio lo studio di un team della stessa Scuola Sant’Anna che ha quantificato in 7,5 miliardi di euro il costo del “non fare” per la sola industria italiana.
Mercato e contesto politico, però, sono cambiati. Come finirà la partita che si gioca a Bruxelles sul mantenimento o meno del “paletti” sulle auto a zero emissioni? Pur non essendo contrario a una politica che fissa obiettivi vincolanti da raggiungere e la strada da seguire, come prevede il Green Deal, Frey pensa che «non si possono sottovalutare gli impatti sociali. Le persone vanno trattate come persone, individui con competenze che non sempre si possono convertire». E aggiunge: «La transizione non è in discussione. I modi e gli strumenti per renderla giusta, sì. Ed è su questo che puntavano i rapporti sulla competitività europea di Draghi e Letta, che andrebbero solo tradotti in politiche industriali».
Di sicuro, conclude, «l’Europa non può rinunciare a recitare un ruolo da protagonista nell’automotive, che è l’industria per eccellenza e la base dell’ intero ecosistema integrato dell’energia».
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