Le fabbriche robot cinesi “terrorizzano” i car maker d’Occidente

fabbriche robot cinesi

Chi visita le fabbriche robot cinesi di auto elettriche torna con una certezza: la partita della mobilità si gioca su un terreno nuovo, dove automazione, intelligenza artificiale e velocità produttiva riscrivono le regole.

L’hanno detto alcuni dirigenti occidentali del settore automotive, intervistati dal quotidiano londinese The Telegraph. Emblematico il titolo dell’articolo: “Why western executives who visit China are coming back … terrified”. Sono “terrificati”  dal livello di efficienza raggiunto dagli impianti cinesi e dalla rapidità con cui il Paese sta scalando la catena del valore dell’auto, che da quelle parti è ormai dominata dalle auto elettriche.

Robot e fabbriche al buio: “Sono avanti 25 anni”

fabbriche robot cinesi
L’articolo di The Telegraph suona l’allarme per l’industria automotive europea

Jim Farley (CEO di Ford Motor Company) dichiara per esempio di essersi trovato di fronte a una  tecnologia di almeno 25 anni avanzata. E Andrew Forrest, fondatore di Fortescue Metals Group, racconta che dopo aver visto gli impianti automatizzati cinesi ha abbandonato i piani della sua azienda per produrre internamente powertrain per veicoli elettrici.

Le loro linee «senza persone, tutto robotizzato», le loro “dark factories” (fabbriche buie) non hanno quasi più bisogno del lavoro umano, se non per una supervisione. BYD, Nio, Xpeng e Geely operano con tassi di automazione prossimi al 90%, grazie a sistemi robotizzati e linee produttive integrate digitalmente, con un controllo remoto basato su sensori e software predittivi.

Con oltre due milioni di robot industriali installati nelle loro fabbriche negli ultimi dieci anni, i cinesi hanno superato oggi Germania, Stati Uniti e Giappone per densità di automazione manifatturiera. Il numero di robot per 10.000 lavoratori manifatturieri è ora stimato in 567 in Cina, contro 449 in Germania, 307 negli USA e 104 nel Regno Unito.

Due luoghi comuni da sfatare sull’industria cinese

“Auto elettrica, i cinesi non li fermi con i dazi: BYD venga a produrre in Italia”

Quindi non hanno più alcun senso luoghi comuni assai diffusi per giustificare il loro successo. Non sono più copiatori di tecnologie altrui ma essi stessi i principali innovatori.  Grazie a una forte sinergia verticale tra hardware e software, per esempio, i brand cinesi lanciano nuovi modelli elettrici in cicli di sviluppo di 12-18 mesi, mentre le case occidentali ne impiegano spesso più del doppio.

E la loro competitività economica non si fonda più sul basso costo del lavoro e sui sussidi statali, bensì sull’automazione quasi totale del processo produttivo e sulle enormi economie di scala che la giustificano e ne permettono l’ammortamento.

fabbriche robot cinesi
La nave di BYD per esportare in Europa le auto del marchio, prevalentemente elettriche

Una sfida che non si più eludere. Ma vincerla…

Il modello cinese, insomma, sta fondendo innovazione, costo competitivo e capacità di scala come nessun altro sistema industriale.

Per l’industria europea, conclude l’articolo di The Telegraph, si presenta una sfida che non si può eludere (la Cina produce già oggi oltre 1 milione di auto elettriche al mese), ma nemmeno vincere senza ripensare profondamente i processi produttivi e investire per rinnovarli. Però il tempo stringe. E mentre  l’Europa discute di regole, la Cina le riscrive.

LEGGI anche “Auto elettriche Ue: ecco tutti i rischi del lungo addio al 2035” e guarda il VIDEO

 

 

Visualizza commenti (35)
  1. Caspita. Non pensavo fossero così avanti. Che fossero più avanti di noi europei e americani, si sapeva e si intuiva. Ma così tanto avanti da far pensare ai nostri AD che non vi sia partita, non lo immaginavo proprio.

    1. I nostri AD vogliono soldi facili con investimenti minimi.
      Visione a medio/lungo termine nulla.
      Vendono il vendibile per monetizzare e se vogliono investire non lo fanno in Italia…..

  2. Due piccoli pensieri:
    1) in 15 anni, anche meno, abbiamo perso circa 40 anni di vantaggio tecnologico… un bel record per l’occidente (Tesla esclusa);
    2) ma non preoccupiamoci troppo, le nostre classi digerenti si sono abbuffate per benino.

  3. In effetti quello che è stato scritto è quasi vero.
    La competitività economica cinese non si fonda solo più sul basso costo del lavoro (nel senso che ormai lo hanno ridotto al minimo) e sui sussidi statali (che sono stati utilizzati a iosa con ampie pratiche di concorrenza sleale e comunque rimangono forti in tutti i settori strategici), bensì sull’automazione quasi totale del processo produttivo (con il quale stanno drasticamente ulteriormente riducendo la necessità del lavoro manuale nelle fabbriche) e sulle oggettive enormi economie di scala.
    Al di là del tema dell’auto elettrica, e detto che è noto che da oltre 10 anni la Cina è la maggiore acquisitrice di sistemi per l’automazione, è evidente che questo trend è destinato a dare i suoi frutti e ad accelerare.
    La domanda importante da farsi ora è cosa sta succedendo e succederà nel mondo del lavoro.
    Il WEC dice che nel 2030 ci saranno 78 milioni di posti di lavoro in più di cui 6 milioni in Europa.
    Dando per buone tali previsioni, il problema è che una delle condizione affinché ciò si avveri positivamente è che si riesca a riqualificare il 50% della forza lavoro entro il 2030.
    E qui mi vengono vari dubbi, di cui il primo è che l’Europa, con un età media della popolazione di 45 anni, e peggio che mai l’Italia con quasi 49 anni, non riesca a tenere il passo.
    E tutto questo lo abbiamo già vissuto nel settore produttivo dei sistemi elettronici e per le telecomunicazioni (e l’età media era ben più bassa); si diceva la stessa cosa sulla trasformazione e sul recupero della competitività occidentale, abbiamo comprato cinese (Huawei offriva soluzioni TLC alla metà del prezzo) ed il risultato è che abbiamo perso quasi tutte le grandi aziende di prodotto, la perdita di posti di lavoro non è stata efficacemente contrastata ed abbiamo perso anche le competenze.
    Come dice il buon MDE io non sono tra i suoi ambiti lettori pensanti, e quindi lascio a voi le ulteriori riflessioni.
    Non che con il protezionismo si possano cambiare i destini dei mercati, ma certo comprando cinese non si può che rischiare di accelerare la caduta.
    O dite che a questo giro ci andrà meglio?

    1. Alessandro D.

      Ci sarebbe poi tutto il tema della sovrapproduzione in queste efficientissime fabbriche buie che producono da sole milioni di veicoli senza prima aver capito bene a chi venderli, col risultato che devono scaricarli qui da noi a prezzo di costo (e forse anche meno).
      Non è un tema campato per aria, è cosa risaputa e acclarata che in Cina abbiano un problemino di sovraccapacità produttiva.
      Quindi per l’amor del cielo: bravissimi ad aver fatto quel che han fatto.
      Ma contestualizzando e allargando la visuale, non è detto che si stia rivelando non tanto la cosa tecnologicamente giusta, quanto la cosa strategicamente migliore.

      1. Interessantissimi sia il tema dei posti di lavoro sia quello della sovraproduzione; ma la cosa ancora più importante secondo me ha a che fare con una questione centrale di critica dell’economia politica; nella media di un processo di produzione e distribuzione in libero mercato, che è il più favorevole per l’accumulazione capitalistica, queste fabbriche cinesi sono un autentico incubo: non faranno alcun profitto con tutti quei robot e la quasi assenza di lavoro umano, per cui si profilano intense crisi di caduta del saggio del plusvalore, che non potranno che essere esacerbate dalle condizioni generali ormai imperialistiche del mercato, le cui conseguenze nefaste si fanno sentire già oggi: monopoli, dazi, finanziarizzazione, aiuti di stato, conflitti geopolitici, ecc: quando il protezionismo si estende al sistema commerciale nel suo insieme, di solito nella storia si va a finire male.

    2. Alessandro D.

      Aggiungiamo il tema dei mitici tempi di sviluppo rapidissimi dei veicoli cinesi.
      Da un lato, onestamente, bisogna rendergliene atto. Sono velocissimi, i costruttori europei sono decisamente più “elefantiaci”.
      Ne ho conoscenza direttissima per quanto riguarda il settore moto: tempistiche di anni per certi tipi di particolare (penso soprattutto ai motori) quando in realtà tutti un pochino i tempi potrebbero accorciarli proprio grazie all’esperienza e alla “statistica” che per molti marchi o gruppi industriali copre oltre un secolo di storia.
      Un pochino però.
      Perchè spesso i cinesi sono come la gatta che fa i gattini ciechi.
      E vabè, a volte son banalità che si sistemano.
      Altre volte sono portiere che non si aprono dopo un incidente, e come nel caso della xiaomi di qualche giorno fa c’è chi fa la fine del topo senza che quelli che cercavano di salvarlo abbiamo potuto far niente.

      Ma eccessi a parte, ok allo sviluppo rapido, davvero.
      Ma non è che i costruttori cosiddetti “legacy” debbano essere per forza considerati a prescindere dei trogloboomers minus habentes.
      Ci sono dei buoni, anzi ottimi motivi per prendersi tutto il tempo necessario per testare una nuova soluzione, qualsiasi essa sia.

        1. Alessandro D.

          Togli l’-issimi.
          Sinceramente.
          Affidabili te lo concedo, issimi onestamente ancora no.
          la questione che sollevo non è nè campata per aria nè “no-watt”, superfluo dire che è un tipo di problema che si può avere anche con un’auto a vapore, nulla c’entra con l’auto elettrica.

        2. Affidabilissimi. Così affidabili che partoriscono, vedi per la Dolphin Surf, sensori di stanchezza che ti impediscono di portare occhiali da sole o di girarti per vedere lateralmente la strada per non sentire un irritante voce continua che ti ricorda di guardarla. E anche la tenuta di strada non è il massimo.
          Sul web ci sono poi test fatti da un team indipendente cinese dove mostra tutti i limiti di numerose auto a marchio cinese in ambito ADAS in situazione di emergenza con una macchina ferma in carreggiata, la maggior parte o ci va contro o fa manovre pericolose per schivare. Poche frenano e si fermano in tempo tra cui Tesla e Mercedes.
          I cinesi hanno elevato l’automazione a grandi livelli ed anche quì c’è poi da vedere il sistema a macroblocchi quanto paghi nella ricambistica. E tutto molto più semplice quando giochi sullo stesso campo ma con regole diverse.
          La semplificazione costruttiva dell’ellettrico ha portato la Cina in un periodo d’oro dell’automotive, ma le auto vanno in strada non nella tasca dei pantaloni come un cellulare.

          1. Quindi, se le cinesi fanno schifo, cosa c’è da preoccuparsi? Perchè mai i costruttori europei, tanto più bravi, dovrebbero implorare dazi, rinvii e finanziamenti pubblici?

          2. Alessandro D.

            I costruttori europei implorano dazi (a mio avviso la risposta sbagliata ad un problema vero) perchè per almeno l’80% dei clienti finali il primo e più importante parametro è il prezzo di acquisto. Cosa in cui i cinesi per mille motivi sono ormai imbattibili, anche tagliando di fatto i costi di sviluppo e scaricandoli in parte sui clienti finali, che almeno per le prime serie di un dato modello vengono di fatto usati come beta tester paganti.
            Nulla di nuovo intendiamoci, parlando di moto potrei raccontarvi un sacco di storie simili anche per case europee, sovente situate in quel lungo paese a forma di stivale…

            E per quanto non del tutto daccordo con il nostro amico, mi sento però di condividere il suo “le auto vanno in strada non nella tasca dei pantaloni come un cellulare”.

            Con ciò ripeto: diamo a Cesare quel che è di cesare e alla dinastia Ming quello che è della dinastia Ming. Nessuno sta dicendo che i cinesi “sono una truffa”. Anzi.

          3. Premesso che non ho detto che i prodotti cinesi fanno schifo, ce ne sono anche di molto validi, ma ho evidenziato semplicemente delle carenze produttive dovute probabilmente a chi si affida troppo ai simulatori, che vanno bene sino ad un certo punto.
            I dazi fino a prova contraria sono per pratiche commerciali non proprio corrette che vedono le sovvenzioni statali spingere il prodotto automotive cinese.
            Parliamoci chiaro, non è che considero i produttori europei dei santi, ma da persona come lei che segue il mondo automotive secondo quale principio logico una casa come BYD arriva a scontare le sue auto quasi del 22% (10000 euro) in una promo in vingore?
            Un produttore europeo non lo potrebbe mai fare perché vorrebbe dire non guadagnare nulla sul prodotto che vende visto che auto in quella categoria non arrivano al 10% del guadagno netto sul pezzo venduto.
            Possiamo anche gettare nel WC l’automotive europea ma bisogna essere anche onesti nel dire che c’è chi gioca sporco in questo ambito.

          4. Mi perdoni MDE, ma quale promozione di Tesla è attualmente in vigore con uno sconto fino a 10000 euro senza incentivi statali al pari di BYD? Lo chiedo perché davvero non mi sembra di trovarlo.

          5. Tesla abbassò di 4.500 euro i prezzi di Model y e Model 3 per rientrare negli incentivi 2024, e ha ripetuto l’operazione anche quest’anno. Ma l’Italia è un mercato marginale sia per Tesla, sia per BYD per cui sconti anche consistenti su poche centinaia o poche migliaia di auto non sposta granchè i conti di colossi che ne vendono a milionate in altre parti del mondo.

          6. @MDE
            Ancora con il tema Tesla.
            Il titolo Tesla aveva perso molto valore nel 2022 e ne ha recuperato ben poco nel 2023.
            Di conseguenza, al di là delle ottimizzazioni industriali (che indubbiamente ci sono state; peraltro in un ambito “immaturo” come quello delle elettriche si possono fare ancora molte ottimizzazioni), per non perdere troppe vendite nel 2024 Tesla ha ridotto i prezzi.
            Quindi le vere ragioni sono state il rallentamento nell’incremento delle vendite globali, il primo vero calo in quattro anni; la concorrenza, soprattutto da parte dei produttori cinesi come BYD, che si è intensificata, offrendo modelli elettrici a prezzi più competitivi.
            Ma soprattutto, nel 2024 le capacità produttive hanno superato la domanda, portando Tesla a ridurre i prezzi per “svuotare” i magazzini (questo è stato particolarmente evidente per la Model 3 e Model Y, che hanno subito tagli significativi).
            Inoltre, in alcuni mercati, come l’Italia, la riduzione dei prezzi ha anche permesso a modelli come la Model Y di rientrare negli incentivi statali (riduzione del prezzo tattica).

          7. A parte che, se le notizie sono corrette, oltre il 60% delle consegne europee Tesla nel 2024 sono uscite dall’impianto di Shanghai, tolti i crediti verdi, Tesla ha ormai quasi gli stessi margini di BMW e Ford.
            Questo significa che non può più permettersi cali significativi dei prezzi, o perde il valore del titolo.
            E soffrirà sempre di più la concorrenza delle cinesi che già ora hanno prezzi più bassi. Oppure farà produrre tutto in Cina, malgrado i dazi.

          8. @MDE
            Articolo di oggi:
            ———
            Tesla rallenta, utile in caduta e margini sotto pressione.
            Sul fronte americano, invece, Tesla non convince Wall Street. Il colosso di Elon Musk chiude il trimestre con ricavi per 28,1 miliardi di dollari (+12%), ma con un utile netto in picchiata del 37% a 1,37 miliardi. L’utile per azione rettificato si ferma a 0,50 dollari, sotto i 0,53 attesi dagli analisti, mentre il margine operativo scende al 5,8%. La strategia aggressiva di taglio dei prezzi ha spinto i volumi ma eroso la redditività, aggravata dai dazi e dal calo dei crediti sulle emissioni. Solo nel trimestre, i costi aggiuntivi legati alla guerra commerciale hanno pesato per 400 milioni di dollari.

          9. Un inciso: è notizia di ieri che a Tesla la concorrenza è costata circa 400m di utile dollari in 6 mesi ed ha dovuto aumentare i prezzi delle nuove model s e x di quasi 5.000USD. Quelli di model 3 e y aumenteranno a novembre.

            In linea di principio ed in un mondo ideale lei avrebbe ragione.
            Il problema è che spesso gli effetti della concorrenza a lungo termine portano anche alla riduzione dei posti di lavoro (almeno localmente, e talvolta anche all’appiattimento verso il basso dei salari globalmente).
            Vero che noi siamo clienti, ma siamo anche lavoratori.
            Nelle TLC italiane, dal 1990 abbiamo perso quasi la metà dei posti di lavoro e le aziende che operano nel nostro paese sono quasi tutte in crisi.
            Nella produzione di sistemi ed apparati di TLC, i posti di lavoro li abbiamo quasi azzerati (rimangono solo le strutture di vendita).
            Alla lunga direi che non ci ha portato bene, peraltro la qualità dei servizi sta peggiorando.
            Facessero invece un po’ di vera concorrenza nel mondo delle banche e delle assicurazioni…

  4. Che il CEO di un marchio in profonda crisi come FORD ti dica che i cinesi sono avanti non è che ti dia particolare affidabilità sul concetto.
    Ma questo continuo punto di riferimento che dovrebbe essere la Cina troppo spesso viene esaltato sminuendo o tralasciando il sostanzioso contorno su cui si radica, concetti come dittatura democratica, interessi o imperialismo economico e capitalismo in salsa cinese.
    E’ già… i cinesi stanno avanti, dobbiamo prenderli ad esempio! Ma chi è così attratto e lusingato dal modello economico cinese lo deve abbracciare in tutto non solo sbandierando il prodotto nello show room.
    Parliamo anche dei circa 2,8 miliardi di euro stimati di aiuti di Stato solo a BYD ed erogati ad altri marchi cinesi di spicco, delle mega sovvenzioni sempre di stato per la vendita di auto elettriche in modo da alimentare il volano produttivo interno ed escludere sempre più quello d’importazione, oppure dei costi di conformità per i produttori europei devono sostenere nel rispetto delle severe normative ambientali dell’UE o anche delle normative sulla sicurezza nelle fabbriche ben diverse per i costruttori cinesi.
    Mi sta bene, cinesiziamoci tutti ma consci di cosa “costa” davvero tutto questo al di la delle parole.
    Sicuramente su una cosa concordo, l’UE è per lo più composta da pomposi burocrati che vivono su un piedistallo, che si impegnano come non mai a promulgare scartoffie spesso controproducenti e che arrivano a concetti definiti attuali 10 anni dopo.

  5. Non è su queste cose che bisogna preoccuparsi. quello su cui bisogna preoccuparsi e alla capacità di armamento della Cina. Su qualche “stupido” che li vuole mettere in crisi.

  6. L’industria Cinese non è 25 anni avanti, è il resto dell’industria automobilista occidentale ad essere rimasta 25 anni indietro a modificare solo i fari per vendere le stesse auto..

  7. …noi, però, abbiamo il ministro Urso…che ne capisce…e che ha una dialettica ed un modo di esprimersi “ unico”

  8. “…Jim Farley (CEO di Ford Motor Company) dichiara per esempio di essersi trovato di fronte a una tecnologia di almeno 25 anni avanzata…”
    Sono all’incirca lo stesso numero di anni che l’industria europea e statunitense (a parte Tesla, ovviamente) ha sprecando ignorando e irridendo l’auto elettrica, resistendo alle proposte della UE di guardare avanti, minacciando sfracelli occupazionali che si stanno comunque verificando per loro stessa colpa, e infine piagnucolando e pietendo incentivi che fanno comunque fatica a eradicare abitudini e modi di pensare che loro stessi hanno proposto e inculcato.
    Chi è causa del suo male…

    1. Come non essere d’accordo!
      C’era quel CEO che irrideva Tesla, una ventina d’anni fa. Poi son passati a “irridere” i propri clienti con un fantastico motore di “pura tecnologia” e l’ipertecnologico “ibrido leggero”. Ovviamente per proporci questi fantastici prodotti, i top manager son stati pagati milioni di Euro.
      Nel frattempo quel poco di buono o di sviluppabile che c’era (Magneti Marelli, COMAU, Iveco,… Senza dimenticare Piaggio Aero) è stato venduto per fare felici gli azionisti (un po’ meno i lavoratori che comunque prima o poi resteranno a casa)

    2. Non facciamo di tutta l’erba un fascio. L’automazione dell’articolo e’ sviluppata su un modello flessibile dove il ciclo di vita del prodotto e’ 24 mesi. Quello di Tesla, da quanto si sa, e’ basato su un modello rigido finalizzato ad alti volumi. Infatti Tesla non lancia un nuovo modello ogni 24 mesi, ma nemmeno ogni 48.

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