Le bufale anti-elettrico dell’automobile Club tedesco, ferocemente schierato a favore del diesel. L’ADAC, così si chiama l’ACI teutonico, è un colosso da 18 milioni di soci. E ha pubblicato da poco i risultati di uno studio di cui era stato anticipato già un sunto lo scorso anno, creando grandi polemiche. Ma c’è chi l’ha smontato pezzo per pezzo.
AGGIORNAMENTO del 27/11/19. Lo studio dell’ADAC ha dato origine a un bel dibattito anche sulle colonne del Guardian.

Il quotidiano inglese aveva ospitato un intervento di Hans-Werner Sinn, docente di economia all’Università di Monaco. Nonché presidente dell’Ifo, Institute for Economic Research, e consulente del ministro dell’Economia tedesco.

Sinn ha sposato in pieno le tesi dell’ADAC, suscitando un vespaio di polemiche. Tanto che il Guardian ha dovuto ospitare una dettagliata replica una dettagliata replica di William Todts, executive director di Transport & Environment. Che smonta pezzo per pezzo le tesi del professor Sinn. Val la pena di leggerle entrambe.
Le bufale anti-elettrico, un po’ sempre le stesse
Auke Hoekstra è uno studioso che realizza modelli per veicoli e per la transizione verso l’energia rinnovabile all’Università di Eindhoven, in Olanda. Aspettava con ansia che il famigerato studio dell’ADAC venisse pubblicato nella sua forma definitiva, per vedere le fonti da cui erano stato tratte affermazioni così perentorie. Lo studio, va detto subito, aveva avuto larga enfasi in tutta Europa. Trovando larga eco sui social e in tutte le lobby anti-elettrico che attraversano il continente, Italia compresa.

Ma ora, sul blog Innovations Origins, spiega perché le bufale anti-elettrico dell’Automobile Club tedesco possono essere smontate pezzo per pezzo. In pratica, sostiene il prof. Hoekstra, l’ADAC ha fatto cinque dei sei errori che comunemente fa chi sostiene queste tesi. Ormai un disco rotto. Per la cronaca lo studio (clicca qui, è in tedesco) è stato realizzato da un centro di ricerca, il Joanneum Research Life, abbreviato JRL.
Come smontare dati molto discutibili
Ecco come Hoekstra contesta le conclusioni di ADAC-JRL:
- L’errore 1 è esagerare con la stima di gas a effetto serra emessi nella produzione delle batterie. “ADAC-JDL stima le emissioni in base a una fonte obsoleta, pur riconoscendo che la produzione in fabbriche molto grandi consuma 10 volte meno di quanto si pensi“. Questa misura è espressa in kg di biossido di carbonio equivalente emesso per kWh di batteria. JBL assume 163 kg per kWh. Più fonti portano l’analista di Eindhoven proporre invece 65 kg per kWh. Qui l’articolo sulle emissioni nella produzione della Volkswagen ID.3 e della Mercedes EQC.
- L’errore 2 è sottovalutare la durata della batteria. JDL stima che la batteria deve essere sostituita dopo 150 mila km. Ma i dati registrati dai conducenti Tesla mostrano che la batteria dura da 500 a 800 mila km. E nuove ricerche dimostrano che la durata della batteria al litio sta migliorando e crescendo sempre di più. La ricerca mostra anche che le auto in Germania viaggiano fino a circa 225 mila km. Sorvolando sul fatto che molte di queste auto vengono poi vendute come usate in Paesi come la Polonia.
- L’errore 3 è far finta che l’energia non diventerà via via più pulita. ADAC-JDL presume che il veicolo elettrico utilizzerà sempre lo stesso mix di energia. Ignorando il fatto che l’incidenza delle rinnovabili sulla produzione totale aumenta anno dopo anno. Secondo Hoekstra il dato ADAC, 608 grammi di CO2 per kWh di elettricità, dovrebbe essere sostituito da 295 grammi.
- L’errore 4 consiste nell’utilizzare dati non realistici per misurare i consumi. JRL presume che un veicolo diesel utilizzi 4,7 litri per 100 km. Nella realtà ci si avvicina a 6,6 litri per 100 km nella media tedesca. La Golf, che è particolarmente virtuosa, è a 5,8 litri.
- l’errore 5 è la mancanza di visione prospettica. Con il diesel si potrebbero ridurre le emissioni di circa il 40% in un futuro rinnovabile. Ma con l’elettrico, sostiene Hoekstra, si possono ottenere riduzioni di circa il 95%.
Le bufale anti-elettrico, come le bugie, hanno le gambe corte.
Il problema delle bufale non è una novità del XXI secolo. Anzi è una faccenda storicamente ricorrente. Fino a non molti anni fa si chiamavano leggende metropolitane (XX secolo) e, andando più indietro nel tempo, erano note anche come miti e leggende.
Il problema pratico è la quota della popolazione che ci crede, nel senso che la credenza condiziona effettivamente le sue scelte economiche, politiche, sociali e religiose.
Purtroppo siamo in un periodo storico nel quale spesso tale quota supera il 50% + 1 e, per quelle comunità che sono regolate da costituzioni democratiche, questo è un grave problema.
Basta guardare a un anno recente – il 2016 -, nel quale possiamo contare un paio di spiacevoli effetti collaterali delle bufale.
(1) Fare credere, pare ad opera di Mosca via Cambrige Analytica, a 17 milioni di inglesi (su 65M) che l’Inghilterra sia vessata e sfruttata dal “superstato nazista” (cit. Boris Johnson) con capitale Bruxelles e che sia prossima ad essere invasa, che ha portato al favoloso successo noto come Brexit.
(2) Fare credere – anche là le indagini sembrano puntare su Mosca che avrebbe scavalcato il muro di cinta con un cavallo di Troia chiamato Facebook – fare credere a 62 milioni di americani (su 323M) che gli USA sono in pericolo, che stanno perdendo, o hanno già perso il dominio politico ed economico del mondo conquistato con il sangue della seconda guerra mondiale, portando al governo federale più strampalato, destabilizzante e bellicoso degli ultimi decenni.
Anche la situazione domestica non si discosta molto dallo spirito dell’epoca moderna. L’italiano descritto dai ricorrenti sondaggi non è che brilli per amore della scienza, della razionalità, o per la pazienza indotta dalla comprensione di tutte le ramificazioni di un problema non banale qualsiasi. Come ha detto qualcuno, queste epoche storiche si presentano ciclicamente e sono caratterizzate dall’emergere di comportamenti e aspettative infantili ampiamente diffusi tra gli adulti. Se i governi ne avessero memoria, potrebbero prevenirle o contenerne gli effetti negativi, invece la politica di solito cerca di sfruttare le ridotte difese delle masse per la sua sete di potere.
Per i pochi volenterosi rimasti lucidi e attenti, non resta da capire chi stia “macchinando” dietro ADAC, per farci credere che è preferibile un futuro avvolto nelle scure nubi del petrolio, piuttosto che quello in cui l’aria, l’acqua e il cibo sono puliti e il cielo è sereno. Che sia la oscura lobby degli aerosol?
Anche se le bugie hanno le gambe corte, purtroppo non è facile convincere con i fatti chi psicologicamente ha preferito tacitare la razionalità e lo spirito critico per accontentarsi di graziose e consolatorie soluzioni semplici, facili e sbagliate, come osservava giusto un secolo fa H. L. Mencken. Deve essere uno stato mentale collettivo paragonabile all’effetto Dunning–Kruger per il singolo individuo.
Penso più alle lobby degli idrocarburi. Le case auto, ormai, si sono dovute rassegnare.