«L’auto elettrica in Cina l’ho portata io nel 2009». Così ci scrive Marco Loglio raccontandoci un’epopea iniziata in Italia alla fine del secolo scorso con la Torpedo Auto Elettriche di Bergamo. E non ancora conclusa. Marco infatti si trova tuttora a Shenzhen dove segue da vicino l’evoluzione dell’industria automobilistica cinese a stretto contatto con le start up dell’auto elettrica ora diventate colossi. Storie tutte da raccontare (e in parte da riscrivere).
Quel giorno in limousine col Presidente
di Marco Loglio
Il 5 Agosto 2009 l’ex Presidente Cinese Jiang Zemin, il futuro Primo Ministro Li Kejiang ed altri funzionari di alto rango del governo cinese nella città di Beidaihe, salgono a bordo di una auto elettrica Red Flag CA 7560, la prima in Cina. Una limousine di 6,9 metri di lunghezza, in grado di caricare in soli 20 minuti oltre 350 km. La prova su strada è di oltre 110 Km.

Questo prototipo era stato preparato dalla Thunder Sky energy Group, una società produttrice di batterie al litio di cui ero Vice Presidente e con cui ho condiviso le fasi iniziali della mia esperienza cinese nel campo dei veicoli elettrici.
Ma veniamo a come si è arrivati a tanto ripercorrendo la mia esperienza in Cina.
Da Bergamo a Shenzhen con Marbella
Arrivai a Shenzhen la capitale cinese della innovazione, nei primi anni del nuovo millennio. Avevo l’idea che in Europa l’interesse verso i veicoli elettrici fosse assai scarso. Mentre la Cina poteva essere il potenziale paese in cui questi veicoli potevano diventare una soluzione necessaria per combattere l’inquinamento delle grandi città.
Shenzhen era in una fase di enorme sviluppo ma ancora pionieristica, per cui persone con idee valide e proposte concrete potevano trovare attenzione immediatamente anche ai massimi livelli.
Questo era totalmente opposto a quanto accadeva in Europa e ancor più in Italia, dove era estremamente difficile trovare udienza sia in ambienti amministrativi che in imprese private ed anche presso istituti di credito.
Il mio curriculum era certamente interessante. Avevo per molti anni lavorato come direttore della Torpedo Auto elettriche, un’ azienda bergamasca che produceva in accordo col gruppo Volkswagen la Marbella Elettrica, il veicolo elettrico più venduto in Europa in quel periodo.
Con la Marbella avevamo già fatto grandi progressi in termini di autonomia con le nuove batterie al nickel zinco. Ma poi il gruppo Volkswagen, che avrebbe dovuto passare ad investimenti sostanziosi per poter avviare la produzione di queste batterie, lasciò cadere il progetto. E alla fine del secolo scorso la Marbella cessò di essere prodotta.
Cercai in tutti i modi di rilanciare il progetto di Auto elettriche fatte in Europa. Contattai anche altri produttori tra cui la Lotus che aveva in produzione un’ auto molto leggera che ben si adattava alle batterie che avevo a disposizione. Tuttavia non riuscii a suscitare un sincero interesse da parte di investitori pubblici e privati. Molte lodi, pacche sulle spalle ed inviti a ritrovarsi a bere un caffè insieme al prossimo incontro.
In Cina c’erano BYD e Thunder SKY…
Arrivato a Shenzhen mostrai i miei disegni ed i dati tecnici della mia Marbella. La mia proposta fu subito presa molto sul serio. Anche perché a Shenzhen esistevano un paio di società che già producevano batterie al litio, componente fondamentale per lo sviluppo delle mie auto elettriche. Erano la BYD e la Thunder Sky.
A quel tempo la BYD produceva batterie per la piccola elettronica di consumo, in particolare per telefonini e lap top. Aveva anche una sezione automotive che si stava impegnando a ritagliarsi una fetta di mercato con copie di modelli Toyota a combustione interna.
L’altra azienda , la Thunder Sky energy group aveva batterie prismatiche di buona capacità molto adatte per essere utilizzate nel mio progetto. Ma non aveva una branca automotive.
Pensai che fosse più facile lavorare con Thunder Sky per provare a lanciare sul mercato vetture di lunga autonomia.
Incontrai allora un alto funzionario del Governo di Shenzhen che era solito frequentare un Ristorante Italiano e non persi la occasione di proporgli il mio progetto. Non era affatto difficile ai tempi, per uno straniero, avvicinare i leaders locali se c’erano delle proposte interessanti.
Dopo aver ascoltato la mia descrizione di un futuro in cui tutti i trasporti avrebbero dovuto essere elettrici, il funzionario mi chiese se era possibile fargli provare un siffatto veicolo. Fino a quel momento nessuna impresa cinese produceva nulla di simile. Il mondo dei trasporti cinese era dominato da Joint Venture di grandi case occidentali e Giapponesi che riproponevano in Cina vecchi modelli di auto a benzina ormai obsoleti.
La prima limousine elettrica in 15 giorni
Mi diede 15 giorni e poi ci saremmo rivisti al ristorante per fare un giro con la mia auto elettrica.
Corsi subito alla Thunder Sky per preparare il prototipo. Fu scelta, vista la persona che doveva provare l’auto, una limousine prodotta in versione a benzina dalla Red Flag, la casa produttrice cinese che fornisce le auto agli ufficiali del governo.
Il prototipo si basava su un pacco di batterie al litio LFP da 360 V 200 Ah che Thunder Sky già produceva per sistemi di stoccaggio di energia. In tempi record la vettura venne assemblata, con tanto di bandiere cinesi issate sui parafanghi anteriori.
La prova fu un successo. La vettura poteva arrivare a 160 Km/h di velocità, con accelerazioni brucianti, superiori a quelle del modello a benzina. Inoltre non vi erano vibrazioni di sorta e la marcia era perfettamente silenziosa. Eravamo nel 2006 nessuna auto elettrica di nessun tipo esisteva in Cina in quel periodo.
Alla fine il funzionario mi chiese: ma queste vetture sono solo per un mercato di nicchia o possiamo con questa tecnologia conquistare il mondo? Risposi affermativamente.
Eccoci dunque, dopo un paio di anni di messa a punto delle strutture necessarie e particolarmente per l’approvvigionamento delle materie prime per una produzione di massa delle batterie, arrivati alla storia descritta all’inizio di questo promemoria.
L’auto elettrica spiegata a Zang Jiemin
Anche i massimi leaders cinesi durante la prova fecero domande simili a quelle del funzionario di Shenzhen. Zang Jiemin, l’ex Presidente cinese, chiese quanti Km di autonomia avesse l’auto. Fu soddisfatto della risposta, anche se auspicò una estensione della percorrenza.
Chiese poi se tutti i componenti fossero fatti in Cina, ed anche qui la risposta fu affermativa. Ci furono domande sulla accessibilità delle risorse necessarie per poter sviluppare l’auto elettrica in Cina e anche qui furono date risposte tranquillizzanti. Erano già state create le società che avrebbero permesso la impostazione del litio, fondamentale per la funzionalità delle batterie.
Era l’inizio ufficiale della era delle auto elettriche in Cina. Subito dopo venivano immesse sul mercato le prime vetture elettriche. Ancora con autonomia molto ridotta, soprattutto a causa del peso del pacco batterie e della scarsa densità di energia delle celle LFP.
Posso dunque affermare che delle molte fantasiose ricostruzioni di come nell’auto elettrica la Cina sia diventata oggi la potenza dominante sono ingannevoli. Non riconoscono infatti il ruolo prioritario avuto da tecnici di vari paesi. Erano convenuti in Cina proprio perché qui esistevano le migliori condizioni per sviluppare le loro ricerche ed i loro progetti.
Si era solo agli inizi e non era scontato, nel 2009, che le auto elettriche cinesi sarebbero diventate il focus di una rivoluzione globale nel settore automotive.
Innanzitutto c’era il problema della autonomia ancora insufficiente. Bisognava aumentare la densità di energia per permettere alle auto elettriche di sostituire completamente le auto a combustione interna.
Multipla elettrica da 800 km di range
E questo secondo passaggio mi ha visto ancora protagonista, sempre a Shenzhen con altre persone di varie nazionalità. Il problema era passare dalle batterie litio ferrite a quelle a base di nickel, cobalto e manganese. Avevano una densità di energia quasi doppia e pertanto nello stesso spazio e peso potevano assicurare il doppio di autonomia. La Thunder Sky continuava con la sola produzione di celle LFP per cui bisognava inventarsi una nuova formula ed io ero il direttore tecnico del progetto incaricato di creare il nuovo pacco batterie.

Qui mi venne in supporto il successo che cominciava a profilarsi per il marchio americano Tesla, che usava piccole celle cilindriche da elettronica di consumo per i suoi veicoli. L’idea era quella di usare delle celle simili per chimica ma maggiori come dimensioni. Alla fine si optò per una Litio NCM da 20 Ah che sarebbe stata assemblata in una Fiat Multipla (costruita in Cina dalla Zotye con il nome di M300).
I tempi per la realizzazione del prototipo furono brevi e per l’assemblaggio del Battery Management System fu chiamata una azienda Italiana di Reggio Emilia che aveva tecnologie di avanguardia. Ancora una volta con l’aiuto di tecnici stranieri fu possibile realizzare una vettura da Guinnes con un primato di autonomia di oltre 800 Km con una ricarica. Un dato davvero incredibile per quei tempi (siamo nel 2012) in cui le auto elettriche più vendute come le Nissan Leaf avevano a malapena 200 Km di autonomia…

La ricetta del miracolo cinese? Una multinazionale di tecnici, designer e finanzieri
Anche in questo caso le aziende cinesi che sempre più numerose si affacciavano al mercato dei veicoli elettrici, non persero tempo per avvantaggiarsi di questa nuova tecnologia per le batterie e per diventare sempre più competitive a livello globale.
Il terzo passaggio e’ stato, ancora sull’esempio di Tesla, di trovare finanziamenti per i nuovi brand di EV cinesi all’estero ed in particolare nella borsa americana. Qui a far la parte del leone sono stati brokers occidentali, che molto hanno contribuito a formare una visione finanziaria globale alle società cinesi.
Infine sono arrivati in massa anche designers occidentali che hanno radicalmente cambiato lo stile antiquato dei veicoli cinesi portando una ventata di innovazione con prodotti dalle linee futuristiche. Tra loro molti famosi designer Italiani come la Pininfarina , e Wolfang Egger , ex capo design di Alfa Romeo , Audi e Lamborghini ed ora in forza alla BYD Auto.
Gli emergenti marchi come NIO, Li Auto, Xiaopeng, intorno al 2015, ma anche BYD con l’ingresso nel capitale della americana Berkshire Hathaway, trovarono risorse enormi e fondamentali per il loro sviluppo proprio a casa dei loro competitori.
Miliardi di dollari affluirono nelle casse di queste aziende HiTech cinesi in grado di assimilare con velocità crescente tutte le possibili innovazioni a partire da quella della guida autonoma e della applicazione della intelligenza artificiale al settore.
Qui i tecnici stranieri sono rimasti sullo sfondo mentre sempre più giovani ingegneri cinesi prendevano il loro posto per avanzare in tecnologie quasi da fantascienza…
All’ultimo Salone di Pechino era presente un auto che può trasformarsi in un drone in pochi secondi. E già oggi, qui a Shenzhen, si possono provare i primi prototipi funzionanti.
Molti dicono che la Cina ha indebitamente sovvenzionato la industria delle auto elettriche, o che ha puntato su questo settore perché in possesso di materie prime esclusive o altre amenità.
Riscrivere la storia del boom cinese
La mia opinione e’ che i dirigenti cinesi hanno avuto una visione aperta e una velocità di intuizione di quello che poteva essere un “game changer” nel settore automotive, agendo con decisione per assicurarsi le tecnologie e le materie prime che occorrevano per ottenere questo risultato, spesso facendosi ispirare anche da tecnici occidentali se essi potevano portare idee nuove e convincenti.
In Occidente, invece che innalzare barriere e chiudersi ad un futuro che comunque sarà inarrestabile, bisognerebbe cambiare visione su come sostenere e rafforzare l’innovazione dando spazio a quei Talenti che dimostrano di saperla fare.
A me questa storia fa tristezza. In Italia non se l’è filato nessuno. In Cina lo hanno sfruttato finché possibile e poi bye bye. Qui si vede lo scarto shumpeteriano tra invenzione ed innovazione in tutta la sua plastica cogenza.
…ed ancora oggi abbiamo S@lvini ed altri geni al governo (e non solo) che pensano di creare la “riserva indiana” per le auto con motore a combustione, per le caldaie e altre tecnologie obsolete e destinate a sparire invece di investire e fare investire nel futuro anche qui, nel nostro povero bel Paese….
Questa storia, e anche altre analoghe che ho letto di piccoli imprenditori che hanno trovato un muro di gomma in Europa per le loro idee e innovazioni sulla mobilità elettrica, confermano la miopia della classe dirigente (sia industriale che politica) europea. Se ora siamo indietro di 10 anni rispetto alla Cina è solo loro responsabilità, avevano l’opportunità in casa loro e hanno lasciato che altri le sfruttassero per insipienza e ignoranza.
In Italia non esistono soggetti con capitali che si accollano rischi di flop. Per questo non può accusare del ritardo queste persone con buone idee (ma senza capitali) se hanno cercato fuori dalla propria patria chi li finanziasse per mettere in pratica le loro idee.
Ricordiamoci il detto che nessuno è profeta in patria.
Il fallimento del sistema Italia, a partire dai governi (che scrivono le regole) e dell’asfittico gruppetto di “amici del quartierino” bancario, incapaci di finanziare operazioni meritevoli, prendendosi qualche rischio necessario.
Oramai chi vuol realizzare qualcosa (studio o start-up) è costretto a migrare .. e con lui i proventi e l’occupazione dei lavoratori…
Veramente una bella testimonianza, da far girare su tutti i social…
quando ho letto: “per l’assemblaggio del Battery Management System fu chiamata una azienda Italiana di Reggio Emilia che aveva tecnologie di avanguardia.” ho pensato a Flash Battery. Consiglio a tutti di seguire il loro canale YT, ogni lunedì fanno una live sulle batterie.
Storia interessante che dimostra l’importanza di avere visione futura.
Sintesi eccellente di un corso di innovazione, R&D e management.
Complimenti per l’articolo !
Ma non poteva starsene a casa sua … Scherzo 😎😎😎
Bellissima storia, bellissimo articolo e tristissima differenza tra la capacità cinese di sfruttare le tecnologie emergenti e l’ ignoranza imprenditoriale nostrana fatta di persone allergiche all’ innovazione.
Un’altra prova che siamo un paese in regressione verticale. Da decenni governati da politici che accompagnano molto bene questa regressione. Ci salverà il formaggio con le varie sigle e lasciamo agli altri le tecnologie che offrono posti di lavoro.
Ricordo di avere letto diversi articoli su di lui verso la fine degli anni 2000, poi piú nulla.. Mi era rimasta la curiositá su che fine avesse fatto, e a dire il vero mi è rimasta tuttora 😉 perché non ho capito se ha ancora progetti nel campo dell’autotrazione elettrica..
Purtroppo da molti anni i nostri politici e buona parte degli imprenditori hanno menti chiuse e tasche sempre aperte
Che chicca di articolo!
Grazie 🙂
Bellissima la storia che ci ha raccontato Marco Loglio; dovrebbe essere letta dai nostri politici e specialmente da quelli che continuano ad osteggiare le BEV.
Se a suo tempo ci fosse stato qualcuno in Italia dalla mente più aperta chissà che oggi non sarebbe l’Italia la nazione pù avanzata nella produzione di auto elettriche.
Bisogna credere nelle nuove tecnologie e utilizzarle per tempo; chi invece cerca di difendere ciò che è ormai superato sarà responsabile del sicuro arretramento tecnologico del Paese.