Auto elettrica o auto a idrogeno? Sicuramente meglio l’elettrica. Su questo concordano Alessandro Abbotto e Nicola Armaroli, stimolati da Vaielettrico a proposito delle controverse dichiarazioni del neo ministro alla Transizione ecologica Roberto Cingolani.
Primo: far sparire i motori a combustione
Tuttavia, sostiene il professor Abbotto, anche l’auto a idrogeno potrà essere un tassello indispensabile per vincere la sfida della decarbonizzazione dei trasporti. Potrà rispondere alle esigenze di alcune categorie (tassisti, rappresentanti). O più semplicemente ai timori, anche irrazionali, di chi non si scrolla di dosso l’ansia della ricarica. Sempre meglio dell’auto termica insomma. Per il professor Armaroli la partita è già finita: l’auto elettrica batte quella a idrogeno. Veicoli pesanti, treni, navi e aerei, viceversa, avranno nell’idrogeno la miglior alternativa, se non l’unica, ai carburanti fossili.

Materie prime, rinnovabili e sostenibilità
Nel dibattito trasmesso sabato scorso in streaming sui nostri canali social, però, Abbotto e Armaroli hanno affrontato molti altri temi. In un’ora di discussione, rispondendo alle nostre domande ma anche a quelle dei partecipanti alla diretta, si è parlato di fonti rinnovabili, materie prime per le batterie dell”auto elettrica, sviluppo dell’auto a idrogeno, tecnologie di produzione dell’idrogeno, sostenibilità e impegni mondiali per la decarbonizzazione del Pianeta. I due scienziati, ormai ben noti ai nostri lettori, hanno quindi delineato i contorni di una sfida ai limiti del possibile. Eppure imprescindibile per assicurare un futuro alla nostra civiltà.

Tutti i numeri di una sfida impossibile
I termini li ha illustrati Nicola Armaroli. Negli ultimi 30 anni l’Italia ha ridotto le sue emissioni del 16%. Entro i prossimi dieci anni si è ufficialmente impegnata a ridurle di un altro 47%. Deve insomma correre 6 volte più veloce che in passato. Può riuscirci solo elettrificando tutto ciò che è elettrificabile, ha aggiunto Abbotto, e a condizione che la quota di produzione di energia rinnovabile passi dall’attuale 40% al 73%.
Come? Installando in 10 anni circa 50 GW di impianti fotovoltaici ed eolici. Trenta volte più di ciò che si è installato nel precedente decennio. Ma a quel punto, ha spiegato Armaroli, non avremo ancora elettricità “pulita” in eccesso da dedicare alla produzione dell’idrogeno verde. E tutto quello che si riuscirà a produrre ad emissioni zero, dovrà servire a decarbonizzare industrie energivore come acciaierie e cementifici. Solo dopo il 2030, se le rinnovabili forniranno il 120-150% del fabbisogno elettrico, si potrà semmai parlare di idrogeno verde nei trasporti.
L’idrogeno? Dove è impossibile elettrificare
Per Abbotto, però, la tecnologia non avanza mai in modo schematico e prevedibile. Le tecnolgie si mescolano, si trasformano e vengono assimilate con gradualità. Quindi veicoli ad idrogeno e veicoli elettrici conviveranno per molti anni. E fa bene Cingolani a non voler abbandonare nessuna opzione: non possiamo sapere cosa succederà fra trent’anni e potremmo trovarci tagliati fueri da quella predominante, come è successo con i vaccini.
Questo lo scenario ipotizzato dai due scienziati. Ma si è palrato anche di falsi miti, come il metano pulito, la fusione nucleare dietro l’angolo, il trasporto dell’idrogeno negli attuali gasdotti, l’idrogeno blu ricavato dal gas naturale con la cattura e lo stoccaggio della CO2. Insomma: una miniera di fondamentali nozioni sul futuro dell’energia.
Alessandro Abbotto è Direttore del Dipartimento di scienza dei materiali all’Università Milano-Bicocca. In luglio uscirà un suo libro sull’ idrogeno.
Nicola Armaroli è Direttore di ricerca del CNR, direttore della rivista Sapere, autore di numerose publicazioni su temi energetici. La più recente è “Emergenza energia: non abbiamo più tempo”.
‘Come? Installando in 10 anni circa 50 GW di impianti fotovoltaici ed eolici. Trenta volte più di ciò che si è installato nel precedente decennio.’
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nel solo biennio 2011-12 in Italia sono stati installati 13,2 GW di fotovoltaico
Certo, con gli incentivi che paghiamo ancora in bolletta. Oggi penso che il problema non sia economico, ma burocratico. Che è peggio
Togliamo gli incentivi e le fonti intermittenti perderanno ogni interesse e cesseranno di essere installate se non nei pochi posti dove ha veramente senso. Per ogni GW da fonte intermittente è indispensabile almeno 1 GW di back-up da fonte affidabile ( nucleare, gas, petrolio, idroelettrica) come hanno dimostrato i disastri in Germania ed in Texas. Non inventate la scusa che gli accumulatori possano fare da back-up perché è fisicamente impossibile ed in più hanno un costo molto superiore ad una qualunque centrale a combustibile. Non ha caso anche i megapack Tesla sono usati SOLO in situazione di compensazione nei flussi di consumo di picco, come in Australia, e non compensano MAI o sostituiscono MAI le centrali a combustibile in caso di black-out
Mai e solo, scritte in maiuscolo, non aumentano la credibilità di affermazioni categoriche, non dimostrate e in contrasto con quello che pensa la comunità scientifica e con i programmi al 2050 di tutti i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi.
Infatti in paesi come la California il fotovoltaico abbinato all’accumulo è la fonte più economica di produzione dell’energia elettrica e lo dimostrano gli impianti installati negli ultimi anni. In regioni meno soleggiate il punto di pareggio con il gas non è ancora stato raggiunto dal fotovoltaico con accumulo ma spesso è più conveniente l’eolico (vedi paesi del nord europa dove l’eolico offshore fa numeri incredibili). Poi ricordiamoci che l’accumulo non è solo elettrochimico, il nostro paese ha la fortuna di avere numerosi bacini che si prestano all’accumulo idroelettrico, che fa il suo dovere anche a medio termine. Insomma tutto il resto sono scuse e mance ai petrolieri. Anche il nucleare, seppur considerato a zero emissioni di CO2, nelle ultime realizzazioni si è dimostrato molto costoso, vedi ultime centrali realizzate in Francia e Regno Unito.