Il drastico taglio al fondo Pnrr che incentiva le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) dimostra come i nostri politici intendano la “sostenibilità all’italiana”: grandi promesse e poche misure concrete per mantenerle. Vittorio Marletto, fisico prestato alla climatologia, promotore del Gruppo Clima dell’Arpae e membro del direttivo dell’Associazione scientifica Energia per l’Italia, esprime così a Fuoco Amico la sua rabbia per la «mazzata pazzesca» allo sviluppo delle fonti rinnovabili.
Spacciata come una “scelta di buon governo” che evita lo sforamento del deficit di bilancio, la riduzione della dotazione del fondo da 2,2 miliardi a 750 milioni mira in realtà a tagliare un valanga di richieste che la burocrazia ministeriale non è in grado di analizzare ed evadere, «rischiando di finirci sotto». Così, dice Marletto, si butta a mare il frenetico lavoro di migliaia di tecnici e normali cittadini che hanno fatto le ore piccole per presentare i progetti entro il termine previsto del 30 novembre.

L’occasione persa delle Comunità energetiche rinnovabili: “Vittime del loro stesso successo”
«Vittima del suo stesso successo», la misura avrebbe fatto fare «un bel salto in avanti alle rinnovabili di piccola taglia promosse dal basso» in un Paese «che non ama, ed anzi bolla come speculazione, i grandi impianti su scala industriale».
Il percorso verso un’Italia a zero emissioni, alimentata da energia rinnovabile al 100%, fu già stroncato nel 2010 con l’abolizione del conto energia che aveva prodotto un record di installazioni fotovoltaiche (10 GW di potenza) mai più avvicinato nei 15 anni successivi. Ora la storia si ripete, secondo un eterno “stop-and-go” che secondo Marletto «butta via il bambino con l’acqua sporca». Più per incompetenza dei decisori, aggiunge, che per un preciso disegno politico.
Intanto il problema climatico globale si aggrava, l’urgenza del fare cresce, ma interessi divergenti paralizzano ogni decisione. Lo si è appena visto alla COP30 di Belèm dove pochi Paesi produttori di gas e petrolio hanno impedito di fissare un termine vincolante per l’abbandono delle fonti fossili, come chiedeva la stragrande maggioranza dei partecipanti, «vittime dei cambiamenti climatici pur senza esserne responsabili».
Sardegna: la forsennata propaganda anti rinnovabili

In Italia assistiamo al paradosso della Sardegna, la regione italiana con il maggior potenziale di fonti rinnovabili e nel contempo quella che oggi si alimenta nel modo più sporco. Con due centrali elettriche a carbone e una a sottoprodotti della raffinazione, emette 1 kg di CO2 per ogni kWh di elettricità prodotta, paga l’elettricità più di ogni altra, fa circolare tutti i suoi treni a nafta. Eppure osteggia come nessun’altra il fotovoltaico e l’ eolico che potrebbero farne un modello mondiale di autosufficienza energetica. Ma anche qui «interessi economici speculativi hanno scatenato una forsennata campagna di propaganda pro gas, alimentando ogni sorta di disinformazione sulle fonti rinnovabili».
La transizione in Italia, un gol a porta vuota
Fonti rinnovabili che ormai «si sostengono da sole». Producono l’ energia a costi più bassi, ci possono affrancare da ogni dipendenza con l’estero, sono gestibili in autonomia dalle comunità locali. La transizione energetica è insomma un gol a porta vuota che l’Italia, l’Europa e l’intero pianeta si ostinano a sbagliare.
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