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La batteria a CO2 di Energy Dome: un polmone di energia

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Un polmone di energia al servizio delle fonti rinnovabili: è la batteria a CO2 presentata dall’azienda italiana Energy Dome. Un anno e mezzo fa, Energy Dome non era nemmeno un’azienda. Ora ha costruito un sistema pilota di accumulo di energia pulita da 2,5 a 4 MWh. E’ basato su una  tecnologia di batterie dai risvolti paradossali. Funziona infatti sfruttando le caratteristiche fisiche del nemico che vuole combattere: l’anidride carbonica, cioè il temuto gas serra CO2.

Via all’impianti pilota, in Sardegna

Energy Dome è italiana e ha inaugurato l’altro giorno in Sardegna il primo dei suoi impianti di accumulo di energia a livello rete con batterie alla  CO2.

La batteria a CO2, ovvero “ad espansione”

Ma come funziona la tecnologia delle batterie CO2 di Energy Dome? L’anidride carbonica si espande notevolmente quando passa allo stato gassoso da uno stato liquido, in cui si manterrà solo sotto pressione almeno cinque volte superiore alla pressione atmosferica terrestre. A temperatura ambiente, 2,5675 litri di CO2 liquida mantenuti a 56 atmosfere di pressione si espanderanno in 1.000 litri di CO2 gassosa . Con un fattore di quasi 400.

batteria a CO2
La CO2 liquida viene evaporata in un enorme volume di gas e questa espansione spinge le turbine a “scaricare” la batteria di Energy Dome
Il sistema si ricarica utilizza l’elettricità per azionare i compressori che comprimono e liquefanno l’anidride carbonica. Le batterie di Energy Dome, in sostanza, sono un insieme di serbatoi ad alta pressione pieni di anidride carbonica liquifatta, raccolti sotto un’ immensa cupola energetica.
“Carica” ​​la sua batteria utilizzando l’energia per far funzionare compressori elettrici che costringono il gas in volumi sempre più piccoli, condensandolo infine in un liquido immagazzinato sotto pressione a temperatura ambiente. Questo processo di ricarica crea calore di scarto, che viene catturato in un sistema di accumulo di energia termica.

Flessibile, veloce, efficiente, economica

Per rilasciare l’energia, quando sarà necessaria, il sistema utilizza il calore immagazzinato per far evaporare la CO2 e una serie di turbine producendo l’elettricità da immettere in rete. L’anidride carbonica, invece,  si espande nuovamente e viene raccolta in un nuovo serbatoio, pronto per essere nuovamente compressa quando l’energia prodotta da fonti rinnovabili sarà in eccesso.

L’efficienza di andata e ritorno di questa soluzione, afferma Energy Dome, è superiore al 75%. A questo riguardo la batteria a CO2 non può competere con le grandi batterie al litio. Ma il costo è il più competitivo nel settore energetico. Energy Dome ha dichiarato alla rivista Recharge News che il suo costo livellato di stoccaggio sarà dell’ordine di 50-60 dollari USA per MWh entro pochi anni, molto inferiore ai 132-245 dollari USA per MWh delle grandi batterie al litio.

Esistono altre  soluzioni che immagazzinano energia in modo più economico. Ma in genere sono più lente nel reagire alla domanda e più appropriate per la produzione stagionale di energia a lungo termine. Le batterie a CO2 possono rispondere invece in modo  istantaneo, come quelle al litio. E immagazzinare energia più a lungo con una minore degradazione del sistema.

Energy Dome si è costituita nel febbraio 2020, promettendo che avrebbe costruito il suo primo impianto in Sardegna e lo avrebbe messo in funzione entro il 2022. E lo ha fatto, con notevole rapidità. L’impianto in Sardegna è sostanzialmente un dimostratore. E’ stato costruito utilizzando apparecchiature standard disponibili a catalogo in qualsiasi parte del mondo.

Una soluzione per futura la “fame di accumulo”

Ma con componenti prodottti ad hoc è possibile scalare a impianti con una capacità fino a 200 MWh di energia, per fornire fino a 20 MWh quando necessario. Energy Dome promette che il suo primo impianto sarà operativo entro la fine del 2023. Ora avvierà un fund raising per passare alla produzione commerciale del suo sistema.

Solo in Italia si prevede una produzione di energia da fonti rinnovabili non programmabili a oltre 145 TWh entro il 2030. A questo corrisponde una capacità di stoccaggio attorno a 60-70 GW per immagazzinare l’ over-generation, cioè l’eccesso di produzione di energia rispetto alla domanda, e viceversa.

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3 COMMENTI

  1. Geniale. Davvero geniale. Da investirci dentro.

    Domanda: si sa in linea di massima quale può essere, se può essere stabilito, il rapporto tra mW prodotti e metri quadri di suolo utilizzati? Per esempio: questo primo impianto in Sardegna che superficie occupa? Lo so, è una curiosità tutta mia… deformazione professionale… 😂

  2. La notizia dovrebbe occupare tutte le prime pagine dei giornali.

    Soluzione italiana, permette l’accumulo in modo abbastanza sicuro (che succede in caso di perdita dai serbatoi, localmente? Sicuramente qualcosa di meglio rispetto ad un serbatoio di idrogeno…), è la risposta alla produzione con fotovoltaico che è solo diurna e alla eventuale (un giorno…) extraproduzione diurna.

    Ci scanniamo per le dichiarazioni di un Porro qualsiasi (che è un nessuno rispetto al cambio climatico) e ignoriamo questa.

    Redazione, io la metterei in evidenza. Non tanto per gli irriducibili che continueranno a ritenere l’elettrico come l’espressione della “Dittatura Voltaica”, ma per chi è dubbioso e impaurito dal futuro: per fortuna c’è chi fa innovazione, mentre noi blateriamo.

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