Irlanda, chiude l’ultima centrale a carbone. In Italia resteranno aperte?

L’Irlanda chiude l’ultima centrale a carbone, l’impianto di Moneypoint nella contea di Clare a sud del Connemara. L’isola “verde” diventa il sesto paese in Europa ad abbandonare il più inquinante dei fossili. Altri nove lo faranno nei prossimi mesi, tra cui l’Italia. Ma c’è la possibilità che rimangano attive le centrali in Sardegna. Mentre Claudio Descalzi e Flavio Cattaneo, rispettivamente amministratore delegato di Eni ed Enel, hanno chiesto di tenerle comunque funzionanti anche dopo il 2025

Per l’Irlanda una chiusura più che simbolica La dismissione definitiva della centrale di Moneypoint rappresenta infatti il segnale concreto di una svolta energetica, accelerata da un incremento significativo della produzione di energia da fonti rinnovabili. In particolare l’eolico, che nel 2024 ha coperto ben il 37% del fabbisogno nazionale.

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La centrale di Moneypoint non è un sito qualunque. Operativa dal 1985, con una capacità installata di 915 MW, fu progettata per rispondere alla crisi energetica derivata dagli shock petroliferi degli anni ’70. Per quasi quarant’anni ha rappresentato uno dei pilastri del sistema elettrico nazionale. Ma l’avanzata delle rinnovabili e la necessità di decarbonizzare il mix energetico hanno spinto il governo a voltare pagina. Spegnendo in anticipo l’impianto, originariamente previsto per la chiusura entro il 2025.

Pur non bruciando più carbone, la centrale non sparisce del tutto dal panorama energetico nazionale. Un accordo siglato con il gestore EirGrid ne prevede il mantenimento come riserva di emergenza fino al 2029. In caso di carenza di produzione elettrica, potrà essere riattivata in via temporanea. Ma solo con olio combustibile pesante, meno inquinante rispetto al carbone.

L’Irlanda diventa il sesto Paese europeo ad aver eliminato completamente il carbone dalla propria produzione di elettricità, affiancandosi a nazioni che hanno già compiuto questo passo negli ultimi anni. Ad oggi, sono 23 gli Stati membri dell’Unione Europea che si sono impegnati formalmente a liberarsi dal carbone entro pochi anni, e la metà di questi lo ha già fatto o lo farà tra poco.

A fine 2025 tocca all’Italia. Ma la Sardegna potrebbe essere esclusa, Eni ed Enel chiedono di tenerle attive per le emergenze

L’estate 2025 si annuncia decisiva per il phase-out del carbone in Europa. A breve, anche Italia e Spagna continentale seguiranno l’esempio irlandese. La penisola iberica spegnerà le sue ultime centrali a carbone. Alcune delle quali verranno riconvertite per l’uso di gas. L’unica eccezione rimarrà la centrale di Alcudia, nelle Baleari, che resterà in funzione ancora per poco tempo. Quanto all’Italia, il carbone verrà eliminato dalla rete continentale, con la Sardegna che rappresenta ancora un’eccezione temporanea.

L’Italia ha inserito nel Pniec (Piano nazionale per l’energia e il clima) l’impegno a chiudere le ultime centrali alla fine di quest’anno. Ma bisognerà ancora capire se non verrà fatta una eccezione per la Sardegna: sono ancora due le centrali attive, Fiumesanto e Portovesme gestite rispettivamente da Eph e da Enel. Potrebbero rimanere in funzione per mancanza di alternative. Anche per le opposizioni a livello locale, le rinnovabili non possono ancora sostituire il carbone. E l’isola non è mai stata metanizzata. Ragion per cui non sono mai state costruite centrali a ciclo combinato come nel resto d’Italia.

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Ma c’è di più. A un recente convegno, sia l’amministratore delegato di Enel Flavio Cattaneo , sia quello di Eni Claudio Descalzi si sono spesi per chiedere che le 6 centrali ancora in funzione non vengono definitivamente spente. I due manager sostengono che andrebbe valutata la loro utilità in termini di sicurezza energetica. Soprattutto alla luce della volatilità dei prezzi del gas e le incognite geopolitiche nelle forniture. Comunque sempre meglio del leader populista inglese Nigel Farage che ne ha proprio chiesto la riapertura permanente in tutta la Gran Bretagna.

Entrambi hanno ricordato che all’apice della crisi delle forniture russe, alcuni impianti ancora in funzione sono stati riattivati per garantire la scurezza della produzione elettrica. Descalzi e Cattaneo, inoltre, hanno fatto notare come la Germania, nonostante gli obiettivi di decarbonizzazione, abbia mantenuto in funzione le centrali a carbone. Anche con il governo guidato dai Verdi, per far fronte alle esigenze energetiche.

Una proposta che nasconde uno dei grandi limiti della transizione energetica italiana: il ritardo nella costruzione di impianti eolici e fotovoltaici. E aver appena iniziato le operazioni per affiancare alle centrali green batterie e sistemi di accumulo. Un ritardo che si sconta anche in emissioni inquinanti. E costi della bolletta energetica più alta rispetto alla media Ue.

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  1. Imbarazzante il nostro ritardo in tutta Italia e soprattutto in Sardegna, isola che si oppone a qualsiasi cosa e vuole rimanere attaccata al carbone.
    Quello che andrebbe fatto è una decisa accelerata verso l’eolico offshore dando il via agli impianti che hanno già la VIA pronta e accelerando su tutto il resto. Avremmo bisogno di almeno 10GW entro il 2030, ma qui si perde tempo e dando retta alla becera minoranza del NO a tutto.

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