Il Lunar Cruiser giapponese? Una Toyota all’idrogeno

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Viaggerà sulla Luna spinto da un motore elettrico fuel cells ad idrogeno e si chiamerà Lunar Cruiser il rover giapponese che nel 2030 porterà un equipaggio alla scoperta del satellite. Manco a dirlo lo svilupperà la casa nipponica che da anni produce il Land Cruiser, la Toyota, in collaborazione con l’agenzia spaziale giapponese Japan Aerospace Exploration Agency (JAXA).

lunar cruiser

Un “camper” per due astronauti

Nel primo anno di lavoro (il progetto fu annunciato nel giugno del 2019) i due partner hanno prodotto il “soprannome”, qualche rendering e il filmato qui sotto. Ma nella seconda parte dell’anno avvieranno lo sviluppo vero e proprio, con la progettazione virtuale e le simulazioni al computer. Il veicolo dovrà ospitare un equipaggio di 2 astronauti (fino a 4 in emergenza) e dovrà essere in grado di affrontare la problematica superficie lunare. Sarà un veicolo a sei ruote con  una cabina sigillata e pressurizzata. L’autonomia sarà  strabiliante: 10.000 km (6.200 miglia) con un unico serbatoio.

Un ecosistema per vivere sulla Luna

Toyota e JAXA hanno scelto il soprannome Lunar Cruiser per la sensazione familiare che offre al team impegnato nella produzione del prototipo del veicolo e al grande pubblico. I contribuenti giapponesi infatti dovranno sobbarcarsi un pesante onere per la missione. Il progetto è molto più ampio e riguarda un intero ecosistema di sopravvivenza per la colonizzazione della Luna.

La prima missione Lunar Cruiser nel 2030

Le prime simulazioni computerizzate si svolgeranno con l’uso di realtà virtuale e modelli in scala reale. Riguarderanno la dissipazione di potenza e calore durante la guida, i  prototipi di pneumatici e il layout delle apparecchiature nella cabina. Al progetto collaboreranno altre aziende giapponesi di diversi settori, riunite in un Team Japan Study Meeting.

lunar cruiser

Anche la Nasa americana in collaborazione con Northrop Grummansta sta lavorando a una nuova missione lunare con equipaggio  umano. Il progetto si chiama Artemis III e dovrà concretizzarsi entro il 2024. Il  2 settembre si svolgerà un importante test del nuovo sistema di lancio Space Launch System (SLS).

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Visualizza commenti (2)
  1. Alberto Spriano

    Ricordo ancora quelle immagini fantastiche che vidi da ragazzo dopo l’allunaggio e la dispiegatura dal LEM del buggy lunare.

    A quei tempi, il Lunar Roving Vehicle, nome in codice LRV era plein air, la versione essenziale, pieghevole e scheletrata di un dune buggy lunare.

    Lo spirito americano pionieristico, oltre Shepard che tirò fuori dal modulo lunare un “ferro 6” per giocare a golf tra i crateri, fu il memorabile Grand Prix lunare.

    Tutto iniziò dopo un’impossibile camminata di 2 ore e mezza sulla superficie lunare durante la missione Apollo 11. Fu allora che la NASA decise che era venuto il momento di preparare un buggy lunare per consentire agli astronauti di esplorare la luna guidando sulla superficie accidentata e polverosa nelle future missioni Apollo 15, 16 e 17.

    Il progetto e la realizzazione del Lunar Roving Vehicle LRV fu una sfida tecnologica non indifferente perché oltre a funzionare regolarmente con una diversa gravità, su un terreno accidentato e tra la polvere sospesa, doveva essere trasportato dalla terra alla luna.

    Venne eliminata l’ipotesi di un veicolo lunare pressurizzato e autonomo da 4 tonnellate con strumenti e materiali di consumo, in grado di consentire due settimane di esplorazioni a pilota e copilota astronautici. Il mezzo venne comunque approvato dalla NASA nonostante la necessità di doverlo lanciare, in una missione appositamente ideata, con un Saturno V per poi utilizzarlo solo in quella regione lunare.

    Prevalse l’esigenza di ideare un mezzo all-in-one. In questo modo gli astronauti potevano arrivare sulla luna portando in ogni missione il Lunar Roving Vehicle per poi consegnarlo definitivamente alla Luna nel rientro.

    Decisero quindi i tempi del progetto. In 17 mesi il Lunar Roving Vehicle venne progettato, costruito e collaudato.
    Ai requisiti di essenzialità, compattezza nel trasporto, montaggio, semplicità d’uso, leggerezza, affidabilità e robustezza si aggiunsero le specifiche tecniche: un peso di 462 kg, la capacità di trasportare 1000 kg di materiale scientifico in un raggio operativo di sette chilometri dal LEM, Lunar Excursion Module e di percorrere 200 km sulla superficie lunare con a bordo un secondo astronauta.

    Altra caratteristica richiesta era la facilità di montaggio che venne risolta suddividendo e piegando la piattaforma in tre settori per poter inserire il Lunar Roving Vehicle nel LEM, Lunar Excursion Module e aprirlo come un letto a scomparsa sulla superficie lunare.

    La notorietà scatenata dalla missione interessò diverse aziende aerospaziali e non, tra cui Chrysler e General Motors.

    Alla fine, prevalsero Boeing e General Motors con un veicolo elettrico leggero e semplice, in grado di resistere a sbalzi di temperatura estremi tra -328 e 392 gradi Fahrenheit e a tutte le immaginabili sollecitazioni meccaniche terrestri e nel trasporto spaziale. La costruzione del Lunar Roving Vehicle venne affidata dalla Nasa a Boeing e General Motors con un budget di 38 milioni di dollari.

    Gli ingegneri Boeing realizzarono il sistema di apertura e di sbarco del Lunar Roving Vehicle semplicemente tirando due cavi d’acciaio, mentre ruote, motori elettrici e sospensioni a doppio braccio oscillante sono stati costruiti da General Motors a Santa Barbara, in California. Boeing costruì a Kent, Washington, la piattaforma in tubi di alluminio incernierati per consentire la piegatura nel trasporto e i due sedili pieghevoli per gli astronauti.

    Sulle ruote in alluminio di 80 cm di diametro per una larghezza di 24 cm non vennero montati pneumatici in gomma, ma “donut” in maglia di fili d’acciaio di 81,8 cm di diametro, larghi 23 centimetri con all’interno una struttura interna toroidale a piastrine arcuate e imbullonate sul bordo collegate ad un profilo perimetrale circolare con sezione ad omega.
    Il battistrada era formato da piastrine in titanio sovrapposte e rivettate, inclinate e incrociate tra loro.
    La ruota lunare così reinventata da John N. Calandro, Norman J. James e Ferenc Pavlics, era alta 114 cm e consentiva al Lunar Roving Vehicle di galleggiare sulle asperità del suolo lunare.
    Ogni ruota aveva il suo motore elettrico in-wheel a corrente continua capace di 0,25 cavalli a 10.000 giri al minuto con riduttore cicloidale per riduzione della velocità di 80: 1. Trazione integrale, 1 CV di potenza combinata e velocità massima limitata a 14 km/h.

    I motori elettrici, la telecamera, i comandi e la radio di bordo venivano alimentati da due batterie da 36 volt (+ 5/-3 volt) di idrossido di potassio e zinco-argento con una capacità totale di 242 Ah, ovvero 8,7 kWh. Le batterie non erano ricaricabili e garantivano una percorrenza di 90 km.

    Niente volante e pedaliera, solo un controller a T-bar tra i due posti, per accelerare, frenare e sterzare le quattro ruote comandate dai due motori elettrici di sterzo che garantivano un raggio di sterzata di 3 metri.
    I comandi erano intuitivi, muovendo il T-bar in avanti si procedeva in avanti accelerando, spostandolo a sinistra o a destra, il Lunar Roving Vehicle sterzava fino a ruotare su se stesso, per frenare bastava tirare indietro il T-bar fino al freno di stazionamento.
    I moduli di controllo e monitoraggio erano situati davanti all’impugnatura e fornivano informazioni su velocità, direzione, altezza e livelli di potenza e temperatura delle batterie. La navigazione era affidata a un giroscopio e a un contachilometri direzionali che trasmettevano dati su un computer che programmava il percorso di ritorno al LEM.

    L’univa misura di sicurezza passiva per gli astronauti erano le cinture con chiusura a velcro per evitare sobbalzi.

    Il primo Grand Prix lunare con il Lunar Roving Vehicle fu opera dell’astronauta pilota John W. Young nella corsa del “Lunar Grand Prix” durante la missione dell’Apollo 16 nel cratere Cartesio, un circuito accidentato di 47,73 km di diametro, situato nella parte sud-orientale della faccia visibile della Luna.

    Celeberrimo fu il film in 16 mm girato il 21 aprile del 1972 dall’astronauta Charles M. Duke, Jr. che riprese il suo collega John W. Young mentre si divertiva a fare evoluzioni facendo sobbalzare il Lunar Roving Vehicle nei crateri della regione lunare degli altopiani di Cartesio mentre l’altro astronauta, Thomas K. Mattingly rimase diligentemente nel LEM ad aspettare e controllare la situazione. In realtà il “Lunar Grand Prix” era pianificato a tavolino come la terza missione dell’Apollo 16 per mettere alla frusta il Lunar Roving Vehicle, LRV.

    Non fu la prima volta. Tanti furono i test terrestri nel deserto, prima della missione Apollo 15, il primo shakedown lunare, ma fu la missione Apollo 16 dove il Lunar Roving Vehicle venne impiegato in un test al massimo delle sue possibilità tecniche in un cratere lunare. Gli unici inconvenienti durante le tre missioni Apollo furono provocati dalla polvere lunare che ostruì i radiatori di raffreddamento delle batterie e la rottura di due parafanghi, riparati sul posto.

    I tre Lunar Roving Vehicle delle missioni Apollo 15, 16 e 17 percorsero 91,7 km prima di essere abbandonati nei crateri di allunaggio dei LEM.

    Senza di essi le principali scoperte scientifiche di Apollo 15, 16 e 17 non sarebbero state possibili, così la comprensione dell’evoluzione lunare e molto altro ancora.

    Addio LRV, hai segnato un’epoca dove tutto sembrava possibile.

    https://www.youtube.com/watch?v=TX3kMC5m6Y4
    https://www.youtube.com/watch?v=7o3Oi9JWsyM

    https://www.youtube.com/watch?v=7OL3OmM-CYQ

  2. Ottimo progetto. Unico appunto: l’autonomia è garantita dai pannelli solari che riciclano l’acqua producendo idrogeno e ossigeno, per cui dire che ha un range di 10.000 km con un unico serbatoio è un’imprecisione. Infatti nelle note stampa Jaxa parla di un range massimo sulla superficie lunare di 6.200 miglia grazie all’uso dei pannelli solari per riciclare l’acqua in idrogeno in modo da aumentare il range.

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