E’ possibile (ma tutto ancora da dimostrare) che la transizione green “bruci” occupazione. Tuttavia, se anche così fosse, ne può creare altrettanta nel settore dell’elettronica e dell’elettrotecnica. Anzi, li sta già creando, sostiene l’ANIE Confindustria.
Il settore è in buona salute con la domanda di lavoro in crescita, in termine di numeri, di competenze e di impiego di nuove tecnologie e trainata «dalle transizioni green e digitale».
Queste le cifre: Circa 47 mila le assunzioni nel 2023, con una crescita del 3,9% sul 2022 e un contributo del 6,6% sul totale delle assunzioni nell’industria manifatturiera nazionale. Le posizioni richieste sono aumentate di 7 mila unità (+7%) rispetto all’ultimo anno pre pandemia.
Caccia grossa agli ingegneri: mancano nel 73% dei casi
A fare la differenza sulla domanda di lavoro è la struttura imprenditoriale. Sono le aziende con più di 50 dipendenti le più dinamiche, registrando un incremento annuo nelle assunzioni programmate del 9,4%. Maggiori difficoltà delle micro imprese che registrano una flessione sui livelli del 2022 del 10,5%.
Un limite è la richiesta di “alta” formazione: laurea o istruzione tecnica superiore (ITS) (32,9% dei candidati all’assunzione), livello di istruzione secondaria (61,2%, di cui diploma 35,6% e qualifica di formazione/diploma professionale 25,7%).
In un caso su due le imprese denunciano difficoltà nel reperire nuovo personale e personale qualificato. Mancano nel 58% dei casi profili adeguati (contro 37,1% nel triennio prepandemico 2017-2019).
L’insufficienza di candidati tocca addirittura il 73,6% per i laureati, soprattutto con lauree in ingegneria industriale, elettronica e dell’informazione (71,3%), mentre è pari al 59,4% per i candidati con formazione di livello secondario.
Serviranno 22.500 nuovi occupati
Secondo le previsioni di Unioncamere, tra il 2024 e il 2028 le imprese elettrotecniche ed elettroniche italiane esprimeranno un fabbisogno di circa 22.500 nuovi occupati, portando lo stock occupazionale a fine periodo a circa 230 mila unità. Le competenze specifiche legate alle transizioni green e digital saranno sempre più strategiche.
«L’accelerazione tecnologica è esponenziale e le competenze ne sono un fattore strategico – ha dichiarato Renato Martire, Vicepresidente ANIE con delega Innovazione ed Education -. il divario tra le necessità delle imprese e la disponibilità effettiva di competenze sul mercato del lavoro è in progressivo peggioramento. Colmare questo gap sarà la sfida cruciale nei prossimi anni».
Prima del sistema scolastico dobbiamo formare le famiglie
Per trovare tecnici ormai ci mettiamo mediamente un’anno , in alcune zone molto di più ( e con stipendi sensibilmente superiori alla media , molti benefit e possibilità di avanzamento carriera)
Alcuni si presentano ai colloqui con i genitori che di fatto fanno da manager , l’ultimo assunto in zona padova dopon2 giorni non si e presentato facendo preoccupare tutti e alle 9 ha chiamato la MAMMA dicendoci che il figlio non voleva un lavoro dove ci si sporcavano le mani
Abbiamo fatto lo scorso hanno una statistica nei 6 paesi dove operiamo direttamente e in cui abbiamo fatto accordi con le scuole superiori e le universita ( sugli ingegneri non ci sono grossi problemi al limite sulla.qualita degli atenei che li hanno formati) sapete su 140 ragazzi che hanno fatto doposcuola da noi e che studiano materie tecniche hanno risposto positivamente sulla volontà di fare il lavoro tecnico sul campo? Mediamente 22/25 ‘/, con punte del 35 nell’area ex jugoslava
Ma dove vogliamo andare?
infatti in Italia più che i lavoratori specializzati … mancano i lavoratori… (nel senso di voglia di impegnarsi in certe attività… che poi magari possono portare a crescita professionale e sbocchi inizialmente inattesi … ma ora troppe persone non son disposte a qualche anno di sacrificio… – anche se in troppi settori ci son persone sottopagate o anche peggio … ma quelli son altri drammi italici)
I giovani d’oggi guadagnano su OnlyFans e TikTok, a che serve impegnarsi in un lavoro serio? Sono ironico, ovviamente…
Ok per quelli che guadagnano (se riescono a campare..i miei complimenti 👍)
Il guaio sono quelli che ci passano le giornate…non ci guadagnano (anzi…) e non si impegnano per crearsi un percorso formativo ed una carriera (se non.ci credi tu ..come fanno gli altri a credere in te ? )
Finalmente anche dentro Confindustria – enorme calderone che inevitabilmente contiene al suo interno tutto e il contrario di tutto – qualcuno rompe l’assordante silenzio pro-fossili e prospetta che un’altra via sia possibile!
Era inevitabile, la burrasca di Schumpeter, meglio conosciuta come distruzione creativa, si sta palesando in tutta la sua banale ovvietà.
La prospettiva più importante di questa possibile “rivoluzione tecnologica” è che farebbe crescere parecchio il livello qualitativo dell’occupazione: per portarla avanti richiede l’ingresso in tante (vecchie e nuove ) aziende di personale qualificato: si alzerebbe così il livello medio di istruzione degli occupati, degli stipendi e quindi di riflesso anche il livello del PIL nazionale (nonché delle maggiori entrate su stipendi più alti = maggiori risorse per i nostri disastrati servizi statali, come quello sanitario, scolastico, assistenza alle famiglie etc),
Certe rivoluzioni sarebbero benedette….
Chiaramente sì, in effetti quando le carrozze sono state sostituite dalle auto, l’industria e il business che ne sono scaturiti sono stati enormemente più grandi del precedente.
Questo non toglie che i passaggi necessari per la transizione siano molto dolorosi per tutte quelle attività che non riescono a convertirsi e quindi vengono sostituite dalle nuove.
Dai “Tempi moderni” di Charlie Chaplin la costruzione di oggetti (e veicoli) ha progressivamente diminuito il lavoratore-cacciavite con sempre più moderne macchine automatiche, fino ad arrivare alla “nuova frontiera” del giga-cast che “stampa” sottogruppi da assemblare (sempre con alta automazione).
In questi “passaggi” i lavoratori a bassa formazione che non vengono sufficientemente aiutati a trovare nuovi sbocchi lavorativi hanno sicuramente problemi enormi (vista anche la scarsa tendenza agli spostamenti e/o aprire attività in proprio come negli USA, ove il mercato del lavoro è molto più elastico e chi perde un impiego ne può trovare un altro, anche se di diverso tipo – di necessità fanno virtù).
Preoccupante (per certi versi) la proposta del “servizio civile in aziende agricole” proposto dal min. Lollobrigida … siamo alla fase del “braccia rese all’agricoltura? “
È vero, chi si è specializzato in attività che riguardano specificamente i motori termici e fa solo quello inevitabilmente soffrirà il cambio di tecnologia, ma è anche vero che sarà un cambio estremamente diluito nel tempo.
È infatti già stato detto che, se anche da domani tutti i circa 1.6-1.7 milioni di auto e furgoni venduti ogni anno fossero elettrici, per sostituire completamente l’attuale parco circolante di 40 milioni di vetture e furgoni ci vorrebbero più di 20 anni.
In realtà, quindi, ce ne vorranno almeno 30 di anni, se non di più, quindi chi vorrà avrà tutto il tempo per riconvertirsi.
Inoltre, cosa già detta anche questa, tutta la componentistica delle auto che non è legata al motore termico – quindi almeno il 90% dei componenti – rimane invariata nelle auto elettriche, quindi per le ditte del settore non cambierà nulla.
Personalmente quindi trovo del tutto fuori luogo e artatamente allarmistico ululare ad una rovina dell’industria italiana nel passaggio all’auto elettrica: sarà una lenta evoluzione praticamente indolore.
Piuttosto, il problema in Italia sarà adeguare il sistema scolastico e della formazione dei lavoratori, settori in sofferenza e in ritardo già oggi verso il mondo del lavoro.