Il 2020 è stato l’anno più caldo della storia. Contende il primato al 2016, ma con la concomitanza di due fenomeni che possono averlo influenzato, in entrambe le direzioni. Gli incendi in Australia e in California hanno offuscato l’atmosfera, schermandola dall”irraggimaneto solare. Nel contempo, però, il lock down da Covid 19, riducendo traffico e scarichi industriali, ha contenuto le emissioni di particolato rendendo l’atmosfera più permeabile agli stessi raggi solari.
Più 1,02 gradi dal 1980, più 1,2 dall’800
Stabilire quale dei due effetti sia stato prevalente richiederà ulteriori approfondimenti. Fatto sta che anche il report della Nasa, dopo quello del programma europeo Copernico, ha stabilito che la temperatura media della superficie terrestre ha superato di 1,02 gradi la media del periodo di riferimento 1951-1980. E ha superato di 1,2 gradi la temperatura dell’era pre industriale, alla fine del 19esimo secolo. Sono misure praticamente identiche a quelle del 2016, sin qui considerato l’anno più caldo da quando si effettuano rilevazioni scientifiche.
Gli esperti del Goddard Institute for Space Studies (GISS) di New York che hanno rielaborato i dati, affermano che la differenza statistica fra i due anni è minima. Si conferma però un trend di lungo periodo assolutamente allarmante. Gli ultimi sette anni sono stati i più caldi mai registrati e ciò conferma la drammatica tendenza al riscaldamento climatico. Nel 2016 fu il vento caldo El Nino a giustificare l’anomalia. Quest’anno, in assenza di una fenomeno globale così impattante, la tendenza sembra ancor più preoccupante, affermano gli scienziati americani.
L’impennata della CO2 in atmosfera
Del resto, nonostante sia diminuita del 7% circa, sempre per il Covid, l’emissione globale di gas serra CO2 equivalenti, la loro concentrazione in atmosfera è ulteriormente cresciuta. Il picco di 417,9 parti per milione (ppm) è stato toccato in giugno.
Incendo e lock down, effetti opposti
Tornando ai due fenomeni descritti all’inizio, gli scienziati americani fanno notare che gli incendi della prima metà del 2020 hanno prodotto così tanto fumo da ridurre la radiazione solare e raffreddare leggermente l’atmosfera. Al contrario, i vari lock down dalla pandemia hanno ridotto il particolato atmosferico, permettendo a una maggiore quantità di raggi solari di raggiungere la Terra. Ciò avrebbe determinato un riscaldamento piccolo ma potenzialmente significativo.
Questi primi dati saranno validati dall’IPCC, il massimo organismo scientifico internazionale promosso dall’Onu, e saranno la base per il vertice COP 26 di Glagow in programma per fine anno.
L’uomo della Nasa: possiamo evitare il disastro
In una recente interista il direttore del GISS Gavin Schmidt ha affermato che «se decidiamo di bruciare tutti i combustibili fossili che possiamo trovare, potremmo raggiungere 900 ppm entro la fine del secolo». E ha aggiunto che «la sensibilità climatica ci dice cosa possiamo aspettarci in termini di temperatura: tra un altro 1 o 2 gradi Celsius in più per lo scenario migliore, che sarebbe molto grave, e tra 4 e 7 gradi per lo scenario peggiore, che sarebbe il disastro». Ma con un’ aggressiva lotta alle emissioni di Co2, come prevista dall’Accordo di Parigi, è ancora possibile restare sotto i 500 ppm. «La sensibilità al clima non è così bassa da poterla ignorare, né è così alta da dover disperare. In definitiva, mentre il cambiamento climatico prodotto dall’uomo è (e continuerà a essere) un problema, le nostre azioni come società possono cambiare quella traiettoria».
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