I soldi a FCA, intesi come garanzia al prestito da 6,3 miliardi erogato da Banca Intesa con richiesta di garanzia statale, fanno ancora discutere. Transport&Environment (T&E) aveva scritto una lettera aperta sul tema, sui cui contenuti noi di Vaielettrico avevamo espresso più di una perplessità. Ecco la controreplica di Veronica Aneris, manager Italy dell’associazione che si occupa di mobilità sostenibile.
di Veronica Aneris
Cari amici di Vaielettrico.it,

intanto grazie per l’attenzione che riservate sempre al nostro lavoro! Stimo moltissimo quello che fate e non bisogna sempre essere d’accordo. Al contrario: la ricchezza sta proprio nella differenza di punti di vista che apre il confronto. Vi scrivo in merito alla vostra risposta alla lettera inviata da T&E e le altre principali associazioni ambientaliste italiane in merito alle condizioni secondo noi minime e necessarie per concedere il prestito a FCA -qualora questo venga ritenuto ammissibile. Prima di entrare nel merito delle green and social conditions della nostra proposta, una precisazione “tecnica”: non chiediamo lo stop alla produzione di auto fossili al 2025. (Non nego che a livello personale me lo augurerei, per carità!). Quello che poniamo come condizione al punto 2. è “lo stop allo sviluppo di (e agli investimenti in) nuovi modelli endotermici a partire dal 2025”. Un nuovo modello, tra ideazione, produzione, omologazione e commercializzazione, richiede circa sette anni in media per essere immesso sul mercato, e almeno altri 5 anni per ammortizzare l’investimento. Se vogliamo decarbonizzare non possiamo permetterci di iniziare a investire in nuovi modelli/piattaforme per auto fossil based dopo il 2025.
“La tecnologia non basta, serve una spinta normativa”
Per quanto riguarda invece le altre condizioni, vi rispondo di seguito per punti:
Voi scrivete: “No, non siamo d’accordo con buona parte della lettera. Per almeno due buoni motivi. Il primo: non ci piace l’idea di una mobilità elettrica imposta dall’alto, per decreto o per ricatto. Le auto a batterie devono diventare competitive con i veicoli a benzina grazie al progresso tecnologico, cosa che (per gradi) sta puntualmente avvenendo”.
In realtà, sappiamo benissimo che la spinta per innovare l’industria è “regolatoria”. Certamente gli enormi progressi tecnologici effettuati -soprattutto nel campo delle batterie agli ioni-di-litio – hanno rappresentato la condicio-sine-qua-non per il successo attuale della tecnologia elettrica. Tuttavia il progresso tecnologico non è stato sufficiente ad assicurare che questa rivoluzione industriale a favore della sostenibilità avvenga a vantaggio del nostro paese e della nostra forza lavoro. E’ grazie al target europeo dei 95grCO2 /km entrato in vigore quest’anno che le case automobilistiche europee hanno smesso di investire e di creare nuovi posti di lavoro verdi in Cina, invece che in casa nostra. I nuovi obiettivi europei di riduzione di CO2 delle auto 2020/2021 e quelli previsti per il 2025 e 2030, hanno di fatto obbligato i costruttori europei a produrre e commercializzare auto elettriche in UE, assicurando all’europa solo nel 2019 (finalmente) il record di €60 miliardi di investimenti. Non è stato del resto regolatorio (benefici fiscali del carburante e più alto valore permesso per emissioni NOx rispetto alla benzina) il driver che negli anni ‘90 ha fatto del Diesel la tecnologia predominante in europa?
“Per tutelare i posti di lavoro serve una catena del valore nell’elettrico”
Voi scrivete: “E non vorremmo che un domani, nel licenziare migliaia di persone, (FCA) collegasse la decisione con un insufficiente ritorno dai forzati investimenti sull’elettrico“.

Per carità, nessuno ha la palla di vetro! Ma la causa di una possibile insolvenza (e conseguenti licenziamenti) da parte di FCA sarà proprio la mancanza di innovazione e non viceversa. L’esperienza insegna. Abbiamo visto come ignorare regolamenti europei, strategie e linee di indirizzo comunitarie in materia ambientale è la strada dritta verso il fallimento (vedi pool FCA con Tesla). Oggi con la necessità impellente di decarbonizzare la nostra economia, un green deal europeo che a) anticipa a giugno 2021 la revisione del regolamento per gli standard di CO2 di auto e furgoni per rivedere al rialzo i target sopracitati, b) prevede un piano a inquinamento zero per aria, acqua e suolo da adottarsi entro il 2021, non c’è dubbio che un piano industriale robusto e affidabile debba essere basato sullo sviluppo delle auto elettriche e della relativa catena di valore, oggi in Italia del tutto assente, sia nel dire che nel fare.
“Le garanzia statali? Guardate Germania e Francia”
Voi scrivete: “Non bisogna fare confusioni, le garanzie statali a questi prestiti nascono per tutelare l’occupazione, non per finanziare la conversione verso motorizzazioni pulite. Non a caso la Francia, nel concedere alla Renault la garanzia su su un finanziamento da 5 miliardi, ha insistito soprattutto sul fatto che non si licenzi e che molte produzioni ora all’estero vengano fatte rientrare“.
Il piano di recupero con il quale la Francia, che a differenza dell’Italia possiede una parte di Renault, ha concesso il prestito prevede non solo il mantenimento dei livelli occupazionali attuali che citi, ma anche- tra le altre cose- 1 milione di veicoli elettrici al 2025, insieme alla rilocalizzazione della produzione e la partecipazione al consorzio per la produzione di batterie (…) per ridurre la dipendenza dalla Cina, e fare della Francia “il primo produttore europeo di auto pulite”. FCA, che stando ai dati in nostri possesso, prevede nel 2025, di produrre più auto in Polonia e altri paesi europei che in Italia, deve impegnarsi a fare lo stesso e a maggior ragione visto che scontiamo già un ritardo notevole. Impegnarsi a mantenere i livelli occupazionali non basta. Deve anche riportare la produzione a casa (almeno quella di auto elettriche) e impegnarsi affinché l’Italia possa prendere parte alla rivoluzione industriale del secolo.

Questo vuol dire aumentare la produzione di auto elettriche (ad oggi marginale, stando ai piani e notevolmente inferiore agli big), investire nella catena di valore, facilitare la creazione di una gigafactory tramite consorzi con i costruttori di batterie, impegnarsi a comperare le batterie prodotte in Italia per le sue auto. In UE sono in cantiere almeno 16 giga factories- Zero in Italia! Qualche giorno fa la Germania ha presentato il piano di stimolo all’economia più verde della storia e l’auto elettrica e la sua catena di valore sono -non a caso- centrali! Complice anche la gigafactory di Tesla che- e la cancelliera lo sa bene, non potrà che portare tanti nuovi green jobs! I pacchetti di stimolo di Merkel e Macron parlano chiaro: le auto endotermiche non salveranno posti di lavoro! Le auto elettriche (molto probabilmente) SI e ne creeranno di nuovi. E non si tratta di “un ricatto” come lo chiamate a mio avviso erroneamente (perdonatemi) a investire nell’elettrico, ma di una garanzia verso l’Italia e i contribuenti italiani. E i prestiti, da che mondo e mondo, si concedono a fronte di garanzie.
“Anche il sindacato guarda alle auto del futuro”

Infine, relativamente agli incentivi per l’acquisto di auto elettriche che citate e che anche Merkel ha messo nel pacchetto di stimolo all’economia: FCA li ponga pure come eventuale “condizione alle condizioni” se lo ritiene necessario. Che la discussione abbia inizio! Ma sui temi del 2020, che sono innovazione, uscita dai fossili, sostenibilità e giusta transizione. La nostra proposta non ha la presunzione di essere perfetta. Piuttosto vuole innescare un confronto costruttivo sul tema del prestito che vada oltre il mero tema (rilevante, ma limitato) delle sedi legali e fiscali di FCA, su cui il discorso politico sembra essersi ingessato. Bisogna parlare di green and social conditionalities e di come allineare politiche ambientali, industriale e sociali per rinascere prosperi e verdi ed evitare il collasso ambientale ed economico. Michele de Palma, il segretario nazionale della FIOM/CGIL- ha lanciato un video appello disperato al Presidente Conte, chiedendo un confronto con il governo “per discutere di come produrre le auto del futuro e poter salvaguardare il futuro ambientale e occupazionale del nostro paese”. La commissione UE ha appena presentato un piano di ripresa senza precedenti di cui l’Italia potrebbe essere il maggior beneficiario in Europa se gioca bene le sue carte e presenta un piano di ripresa green.
Insomma ci vogliamo dare una mossa?
I brand automotive generalizzati sono globalizzati per aprirsi ad ogni possibile mercato dove risultano competitivi i propri prodotti e produrre dov’è più conveniente in quel dato momento.
FCA non è Fiat ed Alfa Romeo, è pseudo globalizzata ed ha la filiera EV incompleta ovunque.
Tutti i governi vorrebbero imporre alle logiche produttive, quelle economiche nazionali ed occupazionali.
In Italia il Ministero dell’Economia e delle Finanze non detiene partecipazioni azionarie in FCA o Exor, per cui non ha il potere dei grandi azionisti pur avendo voce politica in capitolo.
Quali alternative ad FCA ha il governo italiano per localizzare nuovi insediamenti produttivi automotive in Italia, aumentando l’occupazione?
E quali strategie e condizioni ha messo in atto per aumentare l’occupazione nel settore automotive attirando gli altri brand automotive?
Come si può considerare la sola logica politica dell’interesse nazionale proiettato all’Europa, quando lo scenario è internazionale ed è rivolto alla Cina.
Uno scenario in cui:
BYD va con Toyota. Non ho messo a caso, prima BYD e poi Toyota, la società è BYD TOYOTA EV TECHNOLOGY Co Ltd (BTET). Indovinate chi ha più capitale in questa joint venture per condurre ricerca e sviluppo di veicoli elettrici a batteria?
Tesla abbandona Panasonic, LG e le celle cilindriche NMC532 variamente impiegate in una moltitudine elettronica per le mirabolanti nuove celle pouch L6 e va con CATL per rifornirsi di batterie prive di cobalto da installare nei veicoli prodotti nella Gigafactory di Shanghai come disposto dal governo della Repubblica Popolare Cinese.
Volkswagen produce in Salzgitter le proprie celle pouch e se in Cina qualcosa vuol fare, deve spingersi tra le braccia di Guoxuan High-tech Co Ltd e celebrare come si conviene, la joint venture voluta dalla Repubblica Popolare.
Daimler Benz produce in Europa a Jawor, Polonia dove la manodopera poco incide e Kamenz, Sindelfingen e Untertürkheim per accontentare la Merkel, negli US a Tuscaloosa, in Asia a Bangkok e come disposto dal governo della Repubblica Popolare Cinese, partecipa alla joint venture obbligata con BAIC.
I cinesi BYD, CATL, BAIC e Guoxuan High-tech Co Ltd, hanno messo fuori gioco nel loro mercato, LG, Panasonic e Samsung che possono ora contare solo sui concorrenti di risulta, prima tra tutti, la confraternita sudcoreana LG, Hyundai fuori dalla Cina.
Portato a regime il mercato cinese automotive EV, nessuno può pensare che i brand della Repubblica Popolare si fermeranno alla Grande Muraglia, dazi attuali o non.
Dovendo confrontarsi e competere in questo scenario internazionale, FCA continuerà a rifornirsi da Samsung SDI per assemblare i battery pack nel “Battery Hub” di Mirafiori, oppure con PSA seguiranno strade diverse?
Come può pensare, il governo italiano, di imporre condizioni diverse da quelle finanziarie di garanzia del prestito ad una multinazionale che a breve si fonderà con un’altra, senza avere un controllo azionario.
Analisi impeccabile. Speriamo che anche la classe dirigente ed imprenditoriale possa valutare le argomentazioni proposte senza preconcetti ed egoismi, cercando almeno per una volta di imbastire una programmazione economico-industriale seria per favorire lavoro, ambiente e salute.
Gentile Veronica, aggiungo che considerando l’ostracismo verso le auto elettriche (inclusa in ultimo la presa in giro delle mild Hybrid con cambiata manuale, lanciate in modo anacronistico nel 2020 al solo scopo di catturare benefici fiscali) e la mancanza di visione del futuro dimostrata finora da FCA, come si può darle torto?
Dato che anche io apprezzo moltissimo il lavoro informativo e privo di fanatismo di Vaielettrico, non starò a dare voti o a dire chi è piu bravo. Certo che Transport & environment ha messo sul piatto delle ragioni solide e..aggiungo, nel mio piccolo, che la storia dell’auto insegna che senza regolamenti europei coercitivi (come tutte le leggi) forse non avremmo nemmeno la marmitta catalitica. Il privato fa profitto e basta e quando fa progresso tecnologico lo fa solo per battere i concorrenti e continuare a fare profitto. Se nessuno fa da solo il salto all’elettrico, la questione si arena. E poi FCA (anche come ex gruppo Fiat) ne ha ricevuti tanti dei nostri soldi, anche per fare auto elettriche mai arrivate sul mercato, quindi mettiamoli un pò in riga.
Io non ho detto che le normative non debbano spianare la strada all’elettrico. Ho detto che la garanzia sul prestito non mi sembrava lo strumento giusto, in un momento drammatico per tutti, grandi industrie comprese. E francamente resto di questa idea.