La fusione tra Honda e Nissan porterà alla creazione del quarto gruppo mondiale per veicoli venduti. Tenendo conto che Nissan controlla il 27,6% di Mitsubishi. E’ la risposta giapponese alla crescita record dei veicoli elettrici cinesi e di Tesla. Ma non sempre le fusioni nell’automotive hanno funzionato. Un’operazione necessaria, ma che nasconde più di una incognita.
La possibile fusione Honda-Nissan tiene banco nelle cronache dell’automotive. Perché avvenga nessuno ha dubbi: in Giappone tutti sono convinti di dover creare un nuovo campione – oltre a Toyota – che regga l’urto delle auto elettriche cinesi, che dominano il mercato, e Tesla.
Ma quali vantaggi porterebbe una fusione tra Honda e Nissan, tenendo conto che potrebbe essere coinvolta anche Mitsubishi? Lo ha ben sintetizzato il Financial Times in uno dei suoi articoli di approfondimento. Nella produzione di automobili, i modelli delle case giapponesi “venivano tradizionalmente sviluppati in circa cinque-sette anni e poi prodotti per 14. Ma i rivali cinesi – si legge nel quotidiano britannico – possono sviluppare auto in appena 18 mesi”.
Le trattative tra Honda e Nissan sono una risposta del Giappone per recuperare terreno sull’auto elettrica
Ma con una accordo, tutto questo è destinato a cambiare, proprio per stare al passo con i rivali. “Una nuova Honda dotata della tecnologia delle batterie Nissan o del sistema ibrido Mitsubishi – si legge ancora – potrebbe non essere disponibile sul mercato prima della fine del decennio”. Di fatto, il modello Leaf di Mitsubishi è stata la prima elettrica destinata al largo consumo ad aver avuto successo. E la tecnologia sviluppata potrebbe aiutare Honda verso il passaggio all’elettrico.
I colloqui tra Honda e Nissan sono anche una risposta al tentativo di Foxxcon, il colosso taiwanese dei chip primo fornitore di Apple – è molto interessato ad entrare nella tecnologia dell’elettrico. Proprio per la sua posizione di leader nei microchip. Nissan non avrebbe da sola le possibilità finanziarie per difendersi da un attacco di questo tipo. Mentre Honda ha una capitalizzazione quattro volte più grande. Assieme diventerebbero il quarto gruppo al mondo per auto vendute.
Il ruolo “positivo” delle tecnologie di Mitsubishi e le incognite finanziarie di Renault
Con la fusione, il governo di Tokyo otterrebbe il risultato che insegue da tempo: mettere al sicuro Nissan con una operazione di mercato. Nissan è entrata in una crisi di vendite che ha portato la società ad annunciare 9mila tagli, riduzione degli obiettivi di produzione e taglio ai profitti.
Honda mette dalla sua il fatto di essere forte anche in altri settori come le moto e una posizione di rilevo nel segmento delle ibride. Ma allo stesso tempo è indietro nello sviluppo dei modelli elettrici e nella guida autonoma. Tre anni fa aveva stretto un accordo di partnership con Sony per sviluppare queste tecnologie, ma senza grandi risultati. E cosa succederà ora?
Inoltre, va ricordato che il gruppo Renault controlla ancora il 43% di Nissan. Per quanto tempo eviterà di vendere la sua quota? E quali garanzie chiederà per continuare a essere della partita? Inoltre, quali saranno i termini finanziari della fusione? La prima reazione degli investitori ha premiato Nissan, con i titoli cresciuti addirittura del 30%. Mentre sono scese del 5% le azioni Honda. Una fusione che non dovesse incontrare le aspettative del mercato partirebbe azzoppata.
Le auto elettriche cinesi dominano il mercato
Il caso della fusione tra Honda e Nissan, in ogni caso, va inserito è solo un nuovo capitolo della transizione verso la mobilità elettrica. La scalata delle case automobilistiche made in China alle classifiche mondiali di vendita stanno terremotando il settore auto. Le gerarchie si sono ribaltate. Nonostante le “nostalgie” dei governi di destra in Occidente che continuano a difendere i motori endotermici (e la lobby dei fossili), il futuro è della “spina”.
Prevalgono ancora, nelle vendite, i modelli ibridi. Ma solo per il timore degli automobilisti di restare a piedi, visto che in molto paesi la diffusione delle colonnine non è ancora sufficiente a garantire sicura autonomia. Ma la crescita delle elettriche appare inarrestabile. Un segmento che al momento è sinonimo di modelli cinesi.
Pechino domina le classifiche di vendite. Ed è pronta a invadere i mercati occidentali. Questo perché ha anticipato i tempi e ha deciso di convertire il suo parco auto anche per combattere l’inquinamento crescente nelle sue megalopoli. investito già anni fa sulle green car, scommettendo sulla transizione. Dotandosi di tutta la filiera, dai chip alle materie prime strategiche per le nuove tecnologie.
Risultato: senza i dazi imposti da Stati Uniti, Unione Europea e paesi occidentali, i modelli cinesi spopolerebbero. Il successo lo si legge in un grafico di pochi mesi fa: quando BYD, il primo produttore di Pechino è riuscita – anche se per poco – a superare Tesla nelle vendite.
Da Bruxelles fondi per le case automobilistiche europee
Le case automobilistiche europee stanno reagendo con una serie di ristrutturazioni aziendali. La più clamorosa riguarda Volkswagen, con i sindacati impegnati in una trattativa per impedire, per la prima volta nella sua storia, la chiusura di fabbriche in Germania. E chiedendo appoggio politico ed economico alla Commissione Ue. Sollecitano una revisione delle regole che già dall’anno prossimo imporrebbero multe a chi non riduce del 15% le emissioni inquinanti complessive dei suoi modelli.
Ma bussano anche a quattrini, per sostenere il passaggio alle tecnologie dell’elettrico. Ma anche della guida autonoma. Lo ha suggerito anche Mario Draghi nel suo dossier sul rilancio della competitività in Europa. E lo ha fatto capire anche nelle ultime ore anche Ursula von der Leyen, presidente riconfermata della Commissione. “L’industria automobilistica è un orgoglio europeo. Milioni di posti di lavoro dipendono da questo. Dobbiamo sostenere questo settore nella transizione che ci attende. Oggi abbiamo lanciato un dialogo strategico affinché il futuro dell’industria automobilistica sia costruito in Europa. Sarò lieta di presiedere la sua prima riunione a gennaio”.
Il dibattito su come modificare il percorso verso la transizione elettrica è ufficialmente aperto. Ma, come ha già scritto Draghi nel suo rapporto, va modificato per accelerarlo, trovando il modo di limitare l’impatto sociale. Ma non certo per difendere ancora le auto a benzina e diesel.
>> La prima reazione degli investitori ha premiato Nissan, con i titoli cresciuti addirittura del 30%. <<
30%? Non risulta affatto. Siete sicuri non aver messo uno 0 di troppo?
nell’ articolo c’è qualche errorino: la Leaf è Nissan, non Mitsubishi, che aveva sviluppato secoli fa la i-miEV. Foxconn, non Foxxcon.
Bloomberg ha intervistato ieri Carlos Ghosn a tal proposito, bocciando sonoramente la fusione perché le società sono troppo simili per posizionamento e capacità produttiva. solo nel lungo periodo porterebbe vantaggi potendo spalmare investimenti su un nuovo powertrain o pianale su tre compagnie. nel breve termine risparmi sono se si chiudono fabbriche e si lascia a casa operai. Il ministero dell sviluppo economico non rimarrà solo a guardare.
Su entrambe le sponde del “fronte politicamente occidentale” (in cui noi europei ed americani inseriamo anche l’orientalissimo Giappone) abbiamo avuto case auto pionieristiche nello sviluppo e produzione di auto elettriche: Renault da una parte e Nissan dall’altra, solo che quest’ultima la Leaf l’ha trascurata per decenni non continuando a seguire lo sviluppo tecnologico come nel frattempo facevano americani e cinesi.
Ritrovarsi adesso ad aver ben chiaro il futuro della mobilità (con auto elettriche, magari a guida totalmente autonoma, come sviluppano i concorrenti) ha dato anche ai giapponesi il senso dell’urgenza e della necessità di sopravvivenza commerciale, visto che particolarmente gli avversari cinesi son ottimamente radicati in alcuni mercati (come l’Africa) in cui fanno non solo vendite auto ma anche tante altre attività (minerarie ad es.), per altro “copiando” sistemi inventati dai giapponesi stessi che decenni fa avevano fatto le strade in Jamaica purché venissero acquistate solo loro auto senza dazi d’importazione.
Gli anni di sviluppo necessari ora sono veramente tanti per recuperare il divario tecnologico; fare J.V. è indispensabile ovunque per contrastare i giganti cinesi e può darsi che lo “scambio” di azioni Nissan in possesso Renault consenta più agevolmente di arrivare ad un secondo mega-gruppo giapponese da una sponda dell’oceano mentre nel nostro continente consenta di fare una fusione Renault-Stellantis (e di riflesso i tedeschi tra loro, visto che han sempre dei “distinguo” a fondersi con altri (vedi tentativi di fusioni bancarie in corso… Commerzbank + UniCredit etc).