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Frenata rigenerativa e-bike: matrimonio complesso

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Perché le e-bike non usano la frenata rigenerativa? È una domanda che si fanno in tanti tra coloro che posseggono una bici elettrica. Noi di Vaielettrico abbiamo provato a rispondere e a spiegarla bene.

La frenata rigenerativa è uno dei dispositivi più importanti dei motori elettrici delle auto e delle quattro ruote in generale. Ma trova con grande fatica applicazione nelle due ruote in generale e sulle e-bike in particolare. Abbiamo voluto capire perché.

Ci ha provato, e con risultati ottimi, solo Zehus Bike. Azienda italiana e figlia della ricerca universitaria più avanzata. «Ci siamo rivolti a loro perché semplicemente erano gli unici a ricaricare la batteria utilizzando la bicicletta con movimento muscolare». Ci hanno spiegato da Moto Morini, altra azienda italiana che ha messo in commercio e-bike con il sistema Zehus Bike+ montato.
Da diversi anni proprio in Italia è stato sviluppato il kit per bici Zehus Bike+ come side project del Politecnico di Milano. Un dispositivo capace di trasformare una bici qualsiasi in e-bike con pochi e semplici passaggi. Una tecnologia che agisce direttamente sulla ruota posteriore con un pacco di 3 kg di peso in cui trova spazio tutto, compreso un accumulatore di energia recuperata proprio dalla frenata.

Parliamo di un sistema talmente ben fatto che è in commercio dal 2014. Un’era geologica fa se pensiamo alla rapidità con la quale si muove il mercato delle due ruote elettriche. Eppure, sempre a detta di Moto Morini: «Questa scelta ha consentito di avere e-bike leggere (il peso si aggira intorno ai 13.5 kg come una bicicletta tradizionale) e dalla linea pulita e stilose». E-bike che sono ancora in vendita e che confermano quanto dichiarato.

Frenata rigenerativa Zehus, come funziona

«La nostra bici è in grado di recuperare l’energia cinetica derivante dal moto – dichiara Luca Strassera di Zehus – applicando una coppia frenante che permette di recuperare energia che viene immagazzinata nelle batterie presenti nel mozzo».

Questo può avvenire in due macro fasi. In maniera automatica, o attivata dall’utente, che facendo retro-pedale attiverà il freno motore del sistema permettendo così di frenare. Ma contemporaneamente di recuperare energia. Una contropedalata che sostituisce di fatto il freno a leva. 

«Il recupero può tranquillamente avvenire fino al 100% delle batterie. Ma non c’è in realtà un dato tipo “il 5% ogni 10 km”_ fanno sapere dall’azienda meneghina _. Sarebbe un dato inesatto anzi fuorviante perché non è questa la logica con cui opera il sistema, ed è legata ad una serie di variabili».

Infatti il sistema Zehus Bike+ non va mai a scarica completa, ma oscilla nello stato di carica in media sopra il 50%. Quindi abbiamo sempre sufficiente energia per dare asservimento. Indicativamente avendo a disposizione 160Wh di pacco batterie, complice la leggerezza del sistema a piena spinta comunque con Zehus siamo in grado di percorrere 25/30km prima di scaricare le batterie.

Lo Zehus non si ricarica

«La quantità di energia da erogare, quando erogarla e per quanto tempo sono le variabili su cui si basa il nostro controllo – prosegue Strassera – che legge le caratteristiche del percorso e le fasi in cui si trova il mezzo. Con il nostro sistema l’efficienza aumenta del 30% a partirà di percorso. Sempre a livello indicativo, lavorando in parallelo col nostro sistema, si ottiene uno sforzo che non supera mai quello che si fa a pedalare una bicicletta a 15km/h, tutti i picchi di fatica saranno compensati ed eliminati dal sistema».

Il range invece in normale utilizzo è pressoché infinito, non esiste una vera autonomia. Certo prima o poi il sistema andrà ad esaurire lo stato di carica, ma lo farà gradualmente diminuendo ad esempio la spinta via via che diminuisce la carica residua avvisando un po’ l’utente. La spiegazione è semplice.

Lo Zehus è stato realizzato e poi commercializzato tra il 2013 e il 2014, per poi restare esattamente identico negli anni. Moto Morini produce e-bike che utilizzano proprio questo all in one che non ha bisogno di essere ricaricato praticamente mai ma che comunque possiede un attacco per l’energia elettrica casalinga. 

Zehus ha comunicato lo scorso 30 settembre di aver approntato un’evoluzione del suo sistema che però presenta novità soprattutto per quanto riguarda il software e il display da integrare alla bici. I primi sistemi saranno disponibili a marzo e i pre-order sono già aperti. Ma soltanto per i professionisti del settore e quindi produttori e rivenditori.

Allora perché non lo usano tutti?

Qui arriva il nodo da sciogliere. Un sistema come lo Zehus Bike+ è una innovazione che conviene a chi fa piccole produzioni e si appoggia ad alcuni artigiani. Ma non conviene alle grandi aziende che lavorano con batterie e motori “canonici”. Vediamo perché, aiutandoci con i commenti lasciati da @Nicotrev su Ebikemag.

Innanzitutto qualsiasi dispositivo che possa recuperare energia ha dei vincoli precisi di peso, funzionamento, utilizzo e resa per cui, l’eventuale impiego, debba risultare conveniente. Questo non avviene in alcune categorie molto vendute come le e-mtb. Infatti i primi sistemi per e-bike utilizzavano motori Hub (sulla ruota). Una funzione denominata regen che, opportunamente attivata, anziché consumare energia assistendo la pedalata, ne recuperava parzialmente facendo trascinare il motore. Solo che essendo normalmente posizionato sulla ruota posteriore, comportava uno sbilanciamento dei pesi molto limitante in offroad.

Questa funzione era possibile entro un range limitato di velocità (tra i 5 e i 20 Km/h) con un recupero intorno il 30% dell’energia utilizzata per salire un tratto pari alla discesa. Più che in fase di frenata, molto limitata specialmente nelle e-mtb, era quindi un rallentamento continuo. Come un freno motore che poco piace a chi fa fuori pista.

Batteria troppo piccola e resa insufficiente

Se nel caso di lunghe e prolungate discese su asfalto il rendimento poteva risultare comunque interessante, nel caso di percorsi di montagna, il recupero risultava veramente limitato, con in più la penalizzazione dello sbilanciamento del peso.

Questione della batteria che a differenza di quella delle auto anche ibride, dove la frenata rigenerativa funziona, è piccola e permette una corrente di carica limitata. In una discesa ripida la corrente che potenzialmente potrebbe generare il motore usato come freno sarebbe di gran lunga superiore a quella accettabile dalla batteria senza pregiudicarne la durata nel tempo. Ecco perché non vale la pena affrontare le complessità meccaniche ed elettroniche per poter implementare la frenata rigenerativa in una bici.

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3 COMMENTI

    • Tutto quanto viene proposto sul mercato, viene ingegnerizzato facendo delle scelte , ma è comunque un compromesso tra esigenze diverse. I costi sono certamente importanti , l’affidabilità anche. Un sistema in vendita all’utenza normale ,non può essere sperimentale o troppo costoso. Con questo intendo dire che probabilmente questi vincoli, non permono l’adozione di supercondensatori, che allo stato attuale, non ci sono nemmeno nelle auto, che beneficiano certamente, di una ricerca più avanzata.
      Ma la tecnologia evolve , quindi magari tra un tempo non definibile con precisione , potrebbero diventare una realtà 🙂

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