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Fotovoltaico, il pannello-foglia che produce idrogeno dall’acqua sporca

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Si chiama “New Artificial Leaf” ed è un’evoluzione del fotovoltaico. Il pannello è concepito come una foglia: in pratica, possono immagazzinare energia solare e produrre idrogeno verde partendo dall’acqua “sporca” o dall’acqua di mare. E’ l’idea della start up Green Independence che ha completata la raccolta fondi ed è pronta per passare alla fase “industriale”. 

Tutto nasce con un assegno di soli 500 dollari e sei mesi di tempo per convincere una dozzina di professori dell’università di Chicago. In caso di fallimento, avrebbe dovuto rinviare di un anno la possibilità di finire gli studi.

Ma c’è sempre una sliding door che si apre al momento giusto nelle storie delle start up. Ed è quello che è successo ai primi passi di Green Independence, quando era ancora soltanto una intuizione nata dopo aver visto un video su internet.

Ma andiamo con ordine. Tutto nasce da un giovane di Brindisi. Alessandro Monticelli sta completando il suo primo ciclo di studi in ingegneria in America (università dell’Alabama, sfruttando un accordo con il Politecnico di Torino).

Come nella fotosintesi, sfrutta la luce del sole

Di passaggio a New York, in un ostello, vede un video che gli fa scattare l’idea: pannelli solari come foglie e come avviene nella “fotosintesi” sfruttano la luce del sole per produrre energia. Ma anche per immagazzinare quella non utilizzata producendo idrogeno verde.

Da qui il nome di New Artificial Leaf. Tornato a Torino il neo ingegnere si presenta a uno dei massimi esperti di tecnologia dell’idrogeno in Italia, il professor Massimo Santarelli. E lo convince, al punto che è diventato uno dei consulenti di Green Independence. Ma un conto è una idea tratta da un video: una evoluzione del fotovoltaico, un micro pannello solare che in acqua con un po’ di calore emette bollicine e libera idrogeno. Un conto è trasformare l’idea in un progetto che stia in piedi economicamente.

Prima di arrivarci ci sarà un secondo cicli di studi negli Stati Uniti, questa volta a Chicago. Dove l’idea comincia a definirsi in prototipo. Così lo racconta Monticelli: “Mi sono presentato davanti a dodici professori che dovevano decidere se assegnarmi un laboratorio. Se non avesse funzionato avrei dovuto ripetere il corso, ma senza borsa di studio“.

Alessandro Monticelli e Marta Pisani hanno fondato a Brindisi Green Independence, società che avvia la produzione di un pannello solare che utilizza acqua sporca o di mare per ricavarne idrogeno e combustibile sintetico

Ma Monticelli è un “cervello di ritorno“. Dopo aver dimostrato che il pannello-foglia funziona davvero, invece di iniziare a cercare finanziatori negli Stati Uniti, torna in Italia. Dividendosi tra il lavoro in una multinazionale – perché anche gli “inventori” devono mangiare – e i laboratori che gli vengono assegnati al Politecnico di Torino che utilizza nel tempo libero e usando le ferie.

Ad aiutarlo una coetanea, Marta Pisani: anche lei brindisina, con studi di economia e marketing. Diventano soci (e anche compagni di vita), lo aiuta a mettere in piedi la start up e dare vita a Green Independence. E a iniziare la raccolta fondi, che vede tra i finanziatori Scientifica Venture Capital, Fondo H2, Plug and Play e CDP Venture Capital, per 1,5 milioni totali. Due anni per “stabilizzare” la tecnologia del pannello-foglia fino al modello che ora è pronto per la produzione.

Tra i finanziatori anche Cdp Venture Capital

Si parte dall’acqua sporca o dall’acqua del mare trasformandola in acqua distillata e potabile attraverso il calore dissipato da un pannello. Il quale incamera energia elettrica in modo ancor più efficiente grazie all’azione di raffreddamento dell’acqua. L’energia che non viene utilizzata è convertito in idrogeno tramite una cella elettrochimica.

Dopo essersi aggiudicati il bando Smart&Start di Invitalia, con un incentivo di 500mila euro, e il bando TecnoNidi della Regione Puglia, ottenendo un finanziamento di ulteriori 350mila euro, ora Green Independence si presenta con un convegno evento proprio a Brindisi, lunedì 24 marzo. Per spiegare come la transizione sia ormai una realtà.

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3 COMMENTI

  1. L’elettrolisi non è una novità, non si capisce quale sia l’idea innovativa. E soprattutto, l’idrogeno prodotto come lo conservi e lo trasporti?

  2. Ho cercato ma trovo descrizioni fuffosi da marketing, peccato non siano più chiari o no ci sia una pubblicazione scientifica; comunque i finanziamenti li stanno avendo, sia dal pubblico che dal privato, qualcosa di funzionante e interessante dovrebbero averlo

    forse (?) vogliono integrare commercialmente in un packaging comodo 3 dispositivi già esistenti (poi c’è sempre l’incognita costo ed efficenza complessiva):

    – evaporatore ( per distillare l’acqua)
    – pannello fotovoltaico
    – cella elettrochimica (alimentata dal pannello solare), come gli elettrolizzatori

    oppure un evaporatore + una cella foto-elettrochimica (elettrodo che si alimenta di corrente da solo se esposto al sole)

    === fotosintesi artificiale ==

    mi sono fatto un ripasso, le celle foto-elettrochimiche si usano per generazione di idrogeno dall’acqua in cui è immerso; questo è il filone di ricerca della “fotosintesi artificiale”; a seconda dei catalizzatori presenti sulla superfice degli elettrodi, è usabile per:

    1) generare idrogeno e ossigeno dall’acqua, il primo tipo di reazione svolto dalle piante

    2) oppure per la reazione chimica successiva svolta dalle piante, fissare il carbonio preso dalla Co2 atmosferica all’idrogeno, per costruire zuccheri e amidi; nel caso della fotosintesi artificiale si punta a costruire precursori per carburanti sintetici (solar fuel)

  3. non so se ho capito bene.. ma questo pannello “lavora” assieme all’acqua anche non pulita (che tra l’altro contribuisce a filtrare).
    penso sarebbe fondamentale utilizzarlo in aree umide/paludose che ultimamente si son dimostrate spazi vitali per la biodiversità ma soprattutto per salvare le città dalle devastanti alluvioni di questo periodo (che ormai sono “the new normal” purtroppo).
    Se così fosse anche i terreni paludosi non sarebbero visti come “inutili e improduttivi” ma contribuirebbero contemporaneamente all’abbassamento delle emissioni con l’energia prodotta (oltre che con la funzione biologica del terreno natuale ).
    Poi sarebbero impiegabili anche per alimentare dissalatori per le zone di mare (isole o città frontemare) nonché per abbattere i consumi dei depuratori / acquedotti, nonché di tutti gli impianti a ciclo chiuso che possono necessitare in imprese industriali, agricole ed allevamenti di animali.
    Speriamo che questa coraggiosa start-up italiana non venga abbandonata a se stessa e non finisca preda di nazioni concorrenti…

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