Avvelenati dalla centrale a carbone gli attivisti/flotilla, anche se molto tranquilli e senza il disturbo dell’esercito Israeliano, si mobilitano contro un parco eolico off-shore. Tanto chiasso per una tecnologia pulita mentre in Sardegna la battaglia contro le rinnovabili ha portato un metanodotto, ultimo degli ultimi in Europa, e incertezza sulla data di chiusura delle centrali a carbone. Dismesse in gran parte d’Europa ma funzionante a Portoscuso.
La Flotilla contro l’energia del vento a due passi dalla centrale a carbone
A pochi metri dalla centrale a carbone gli attivisti saltano sulle barche per contestare un parco eolico, che sarà posizionato a 40 km dalla costa. Quasi invisibile da terra. Per la cronaca la Flotilla di Portoscuso alla fine non approda da nessuna parte per condizioni meteo avverse. Ma bandiere, striscioni, slogan sono stati ben esposti ad uso delle telecamere. Come i motori super inquinanti delle barche che ospitano gli attivisti.

“Contro gli impianti eolici off shore al largo delle nostre coste, contro il progetto della Ichnusa Wind Power”. Questo lo slogan farcito da dichiarazioni di lotta: «Ciò che conta è dare battaglia, resistere, testimoniare». Peccato che tutta questa furia svanisca quando si parla di carbone, l’energia più sporca e velenosa che in tutti gli Stati europei si sta rottamando con la chiusura delle centrali. In Sardegna avanti tutta con tonnellate di gas serra ed emissioni inquinanti, ma il problema sono le pale eoliche che non hanno controindicazioni ambientali.
A dar man forte agli attivisti il sindaco di Portoscuso Ignazio Atzori e pure Don Antonio Mura, responsabile diocesano della pastorale sociale e del lavoro. Incredibile visto che il Vaticano per arrivare al net zero ha investito fortemente sull’agrivoltaico (leggi).
Il progetto Ichnusa: fabbisogno elettrico di circa 600.000 famiglie
Il progetto che sta prendendo forma a circa 35 chilometri dalla costa del Sulcis, il parco eolico offshore Ichnusa, avrà una capacità installata di 504 MW, sufficiente a soddisfare il fabbisogno elettrico di circa 600.000 famiglie. Altro che tetti, ne servirebbe una quantità incredibile vista la poca produttività. In un’area limitata si produce energia per una parte significativa dell’isola. Senza dimenticare le aziende, quelle sopravvissute alla deindustralizzazione, che possono avere energia a basso costo. Un problema, quello del caro tariffe, rimarcato ogni giorno da Confindustria.

L’approdo a terra e il collegamento alla rete elettrica di trasmissione nazionale sono previsti nella zona industriale di Portovesme. In un’area fortemente degradata dal punto di vista ambientale. Lo studio di impatto ambientale è stato presentato nell’aprile 2023, mentre la costruzione è in fase di pianificazione.
Pale invisibili da terra
Il parco sarà composto da 42 turbine eoliche galleggianti ad asse orizzontale, ciascuna con una potenza di 12 MW (qui il link al sito del ministero). La tecnologia impiegata si basa su piattaforme galleggianti che permettono l’installazione in acque profonde, lontano dalla costa, «evitando interferenze con il paesaggio, la pesca e le attività costiere».
L’occupazione? Nel sito del progetto si legge: «Durante la fase di costruzione, il progetto è stimato a generare circa 3.500 posti di lavoro a livello regionale, rappresentando un importante volano occupazionale per il territorio».

Anche di recente si sono contestati gli impianti dedicati alle rinnovabili per l’impatto paesaggistico. «Ma le strutture galleggianti consentono di collocare le turbine in acque a oltre 35 km dalla costa, rendendo il parco eolico invisibile a occhio nudo dall’entroterra. La posizione è stata selezionata con attenzione, tenendo conto della compatibilità ambientale e dell’assenza di interferenze con aree sensibili dal punto di vista paesaggistico, economico e naturalistico». Ma il dato importante, nonostante tutte le balle senza nessun fondamento scientifico diffuse, è quello ambientale: con la produzione annua stimata di circa 1,6 TWh di energia rinnovabile, si prevede una riduzione di 500.000 tonnellate di CO₂ all’anno». Eppure tutti zitti sui danni enormi all’ambiente e alla salute della centrale a carbone.
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Sono d’accordo con gli attivisti: installando il parco eolico e chiudendo la centrale a carbone poi si dovrebbe cambiare nome alla città e provincia, da Carbonia a Eolia. No no, meglio il carbone, più tradizionale e più antico! 😉
Evviva gli ecologisti del piffero.