Finanza e clima, la sfida impossibile della COP 29 a Baku

cop 29

Da lunedì e fino a venerdì 22 novembre, a Baku, in Azerbaijan, i delegati di 198 Paesi si incontreranno per la COP 29, 29esima sessione della Conferenza delle Parti promossa dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). Tema: la finanza climatica. Dodici giorni per capire se i Grandi della Terra vorranno e potranno proseguire il cammino verso un Pianeta sostenibile. Accelerare il passo, come richiederebbe l’emergenza climatica, o arrendersi a un nuovo scenario geopolitico sempre più oscuro.

La COP 28 a Dubai, l’anno scorso, aveva acceso speranze con lo storico accordo del transitioning away– o uscita progressiva – dalle fonti fossili già a partire da questo decennio. E la prossima COP 30 di Belém, in Brasile, dovrebbe incardinare questo impegno con la presentazione dei piani nazionali di riduzione delle emissioni al 2035, i cosiddetti NDCs (Nationally Determined Contributions).

Uno scenario geopolitico sempre più buio

Ma a Baku si arriva con due guerre (Ucraina e Palestina) in decisa escalation. Un negazionista climatico come Donald Trump alla Casa Bianca. Un’Europa sul filo della crisi economica, con il mal di pancia sul Green Deal dopo le elezioni di giugno, l’avanzata delle forze sovraniste nei Paesi chiave. La Cina che scarica sul resto del mondo il fuorigiri della sua industria e sulla stabilità dell’area Pacifico le sue contraddizioni politiche. E per finire il gruppo dei Paesi emergenti BRICS (35% del Pil e metà della popolazione mondiale) che recluta nuove adesioni e si pone ornai in esplicita contrapposizione con l’Occidente industrializzato.

Non è certo il quadro più favorevole per raggiungere l’obiettivo di rivedere, aumentandolo, il fondo “loss & damage” di 100 miliardi di dollari istituito per risarcire i danni provocati dalla crisi climatica ai Paesi più vulnerabili e aiutarli ad attuare misure di mitigazione (riduzione delle emissioni) e adattamento (contenimento delle conseguenze) al surriscaldamento globale. Il Fondo fu istituito a Parigi, nel 2015 ma nei fatti è stato implementato solo negli ultimi due anni, dopo un rinvio di 5.

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(fonte Unfccc)

Cento miliardi non bastano più: solidarietà cercasi per aiutare i Paesi vulnerabili al cambiamento climatico

Il nuovo obiettivo di finanza per il clima, ovvero il New Collective Quantified Goal (NCQG) dovrebbe prevedere più risorse e più trasparenza nei criteri di erogazione. Il precedente Fondo da 100 miliardi, infatti, è nato in forte ritardo ed è stato duramente criticato dai Paesi del Sud del mondo per la mancanza di una chiara definizione di ciò che si può considerare finanza per il clima e dalla confusione dei vari contributi. Contributi pubblici contati assieme a quelli privati, molti finanziamenti erogati sotto forma di prestiti (per lo più non agevolati), e un’attenzione sproporzionata alla mitigazione rispetto all’adattamento.

Anche sul lato dei Paesi donatori non sono mancate le polemiche sui criteri di suddivisione degli oneri. Insomma: chi deve pagare e secondo quali logiche (politiche, economiche o ambientali?). Un accordo si potrebbe raggiungere solo sulla base di una ritrovata fiducia reciproca, un valore mai stato così scarso come in questo momento.

La COP 29 si apre quindi in un clima di diffuso pessimismo. Secondo un’analisi condotta da GlobalData , azienda leader nel settore dei dati e dell’analisi, l’impatto degli eventi COP  «è sempre minore». La  partecipazione è diminuita e «c’è stato un certo grado di resistenza rispetto ai precedenti obiettivi di sostenibilità da parte di numerosi governi, aziende e investitori». Perciò «le aspettative per la COP29 sono basse».

La politica è distratta, ma la tecnologia corre

Tuttavia, prosegue l’analisi, abbiamo avuto tutti «le  prove evidenti dell’impatto catastrofico dei disastri del cambiamento climatico su popolazioni, economie e stabilità politica in tutto il mondo». E questo potrebbe richiamare l’attenzione dei governi, fin qui distratti da guerre, crisi economiche e scadenze elettorali.

Altro elemento che autorizza un briciolo di ottimismo è il progresso della tecnologia «che continua a guidare le innovazioni per migliorare la sostenibilità nelle proprie operazioni, attraverso le catene di fornitura e del valore e per i propri clienti aziendali». Insomma, potrebbe essere il mercato ad innestare quei processi virtuosi che la politica non riesce ad implementare.

Con ECCO per seguire i lavori giorno per giorno

Chi volesse seguire da vicino i lavori di COP 29 può consultare una cronaca quotidiana sul sito  del Think Tank ambientalista italiano ECCO, presente a Baku come partner ufficiale del  Padiglione del Mediterraneo. O iscriversi alla newsletter Buongiorno COP qui.

 

Visualizza commenti (6)
  1. Massimo Bonato

    Armaroli mi pare dica che la tecnologia ha già fatto molto bene la sua parte, fotovoltaico, eolico, pompe di calore e batterie..
    Io la penso così e penso che adesso tocchi alla politica fare la sua parte e decidere più per il bene comune che per continuare a prendere voti..

    1. Nello Roscini

      Ma quali voti , forse intendevi , i “contributi elettorali “delle-a bigoil
      le rinnovabili hanno un “difetto” polverizzano le mazzett.. pardon i “contributi elettorali” tra troppi soggetti
      aumentando il rischio di essere sputtanat..
      pardon di ricevere pessime recensioni sui social e da quel poco di stampa indipendente che ancora esiste nel paese

      my 2 cent di disgusto e fastidio

  2. “… potrebbe essere il mercato ad innestare quei processi virtuosi che la politica non riesce ad implementare.”
    Non vedo relazione di equivalenza tra mercato e progresso della tecnologia.

    1. Se la tecnologia farà il suo dovere, avremo energia da fonti rinnovabili a basso costo, stoccaggi sufficienti a coprire le intermittenze, veicoli elettrici più economici e con autonomie più elevate, un’industria europea competitiva. Il mercato le adotterà senza necessità di incentivi, obblighi, sovvenzioni.

      1. roberto guidetti

        Spero ardentemente che la situazione da lei ipotizzata si concretizzi presto. Non ci sarebbe più bisogno di incentivi e gli animi, probabilmente, si calmerebbero, smettendo di litigare sulle scadenze del 2035

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