Espansione delle rinnovabili e disaccoppiamento dal prezzo del gas per un futuro sostenibile

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Ecco il testo integrale del documento diffuso a fine agosto da SENEC Italia con le proposte per arginare l’imminente caro collette elettriche

A cura di Vito Zongoli∗

Il disaccoppiamento tra il prezzo delle rinnovabili e quello del gas rappresenta un fattore imprescindibile per ridurre i costi di approvvigionamento elettrico di famiglie e imprese italiane, soprattutto in un contesto in cui il costo del gas naturale è previsto in aumento significativo nel 2025, con stime che indicano un incremento del 37% rispetto al 2024.

Attualmente, il prezzo dell’energia elettrica sul mercato all’ingrosso è determinato dal cosiddetto meccanismo del prezzo marginale: il Gestore del Mercati Energetici (GME) riceve le offerte dei produttori di energia e le accetta in ordine crescente di prezzo, fino a soddisfare la domanda. Il prezzo dell’ultima offerta accettata diventa il prezzo di mercato. Dal momento che per soddisfare la domanda è ancora necessaria l’energia prodotta da impianti termoelettrici a gas, più costosi rispetto alle fonti rinnovabili, il prezzo dell’energia elettrica, dunque, riflette il costo del gas. 

In sintesi, anche quando una parte significativa dell’energia proviene da fonti rinnovabili, il prezzo finale resta ancorato alle fluttuazioni del gas, penalizzando consumatori e imprese.

Disaccoppiare il prezzo dell’energia elettrica prodotta da impianti rinnovabili da quella generata da impianti a gas significa dunque fare in modo che i prezzi dell’elettricità riflettano il suo costo reale, generalmente molto più basso, stabile e prevedibile rispetto a quello della produzione da fonti fossili. Questo cambiamento è fondamentale per abbassare strutturalmente il costo dell’energia, offrendo benefici tangibili a famiglie e aziende. Infatti, quando la produzione da rinnovabili è abbondante, si osserva immediatamente una riduzione del Prezzo Unico Nazionale (PUN), a dimostrazione del grande potenziale delle FER (Fonti Energetiche Rinnovabili) nel contenere i costi. Tre sono le principali strade discusse a livello europeo e nazionale finora.

Tetto ai ricavi delle tecnologie di generazione elettrica infra-marginali: La proposta prevede l’introduzione di un tetto ai ricavi degli impianti di generazione elettrica infra-marginali, come quelli da fonti rinnovabili, che solitamente hanno costi di produzione sensibilmente inferiori rispetto alle centrali a gas. Sebbene questi impianti continuerebbero a vendere l’energia al prezzo di mercato, qualora questo superasse il tetto stabilito, la differenza verrebbe restituita al sistema e destinata a misure di sostegno per famiglie e imprese. L’obiettivo è ridurre i costi in bolletta redistribuendo i profitti giudicati eccessivi. In Italia, un meccanismo simile è stato applicato tra il 2022 e il 2023 e ha riguardato solo alcuni impianti FER (quelli con potenza superiore a 20 kW). Anche la Commissione europea aveva sostenuto temporaneamente questa misura, che tuttavia è stata archiviata a causa della discesa dei prezzi dell’energia e della maggiore stabilità del mercato. Il principale vantaggio di questa soluzione è che non altera i prezzi all’ingrosso, garantendo una certa coerenza nel mercato interno europeo, ma il rischio è che, fissando un tetto troppo basso, si scoraggino nuovi investimenti nelle energie rinnovabili, ostacolando il percorso verso la decarbonizzazione.

Creazione di borse elettriche separate per le tecnologie infra-marginali e marginali: La proposta, avanzata dalla Grecia nel 2022, prevede una riforma strutturale del mercato elettrico attraverso la creazione di due mercati distinti: uno riservato alle tecnologie infra-marginali, con alti costi fissi ma bassi costi variabili, e l’altro dedicato alle tecnologie marginali, come gli impianti a gas e carbone. Nella prima sessione, la remunerazione avverrebbe tramite contratti per differenze o attraverso un mercato pubblico volontario gestito da un soggetto pubblico che opera come single buyer, il cosiddetto green power pool. La seconda sessione seguirebbe invece il tradizionale meccanismo del prezzo marginale. Il prezzo finale dell’energia sarebbe il risultato di una media ponderata tra il prezzo medio corrisposto per i contratti alle differenze nella prima sessione, il prezzo di equilibrio della seconda sessione di scambi e il prezzo medio ponderato, per le quantità scambiate, sul green power pool. L’intento è quello di superare strutturalmente il modello basato esclusivamente sui costi marginali, orientandosi verso un sistema in cui i prezzi riflettano anche i costi fissi. Sebbene questa soluzione offra una visione di lungo periodo e miri a una maggiore stabilità dei prezzi, comporta notevoli complessità operative e il rischio di distorsioni dovute al potere di mercato di alcuni impianti a gas.

Tetto al prezzo del gas: Si tratta di una misura temporanea introdotta dalla Spagna nel giugno 2022, poi prorogata fino alla fine di gennaio 2025, per limitare il prezzo del gas utilizzato per produrre elettricità e contenere così i costi per i consumatori. Il tetto iniziale era fissato a 40 euro/MWh e, a partire dal settimo mese, è aumentato progressivamente fino a un massimo di 70 euro/MWh. Pur mantenendo il sistema del prezzo marginale per determinare il costo dell’energia elettrica, la misura ha consentito di ridurre i prezzi dell’energia proveniente da centrali a gas grazie al minore costo del combustibile, con un conseguente risparmio per i consumatori. Il meccanismo mira a contenere le rendite infra-marginali e a garantire la copertura dei costi per i produttori a gas. L’applicazione è stata facilitata dalla scarsa interconnessione energetica tra Spagna, Portogallo e il resto d’Europa. Nonostante i benefici, il sistema comporta oneri pubblici per sovvenzionare i produttori e rischi di distorsioni nei flussi di esportazione elettrica, soprattutto se adottato solo da alcuni Paesi, oltre al pericolo di compromettere la sicurezza energetica qualora il tetto risulti troppo basso.

Tuttavia, la soluzione più sostenibile e strutturale è l’espansione delle rinnovabili abbinata a contratti di lungo termine come i Power Purchase Agreement (PPA). Questi accordi permettono ad aziende e famiglie di acquistare energia verde a prezzo fisso e competitivo per periodi anche di almeno 10-20 anni, stabilizzando i costi, riducendo l’esposizione alle oscillazioni dei prezzi delle fonti fossili e assicurando una maggiore prevedibilità economica. Tutto questo, potrebbe accelerare la transizione energetica (con un impatto positivo sulla riduzione delle emissioni) e generare benefici visto lo scenario di instabilità a livello internazionale che stiamo vivendo.

Questi strumenti devono, inoltre, essere affiancati dalle aste FER, in cui lo Stato fissa l’acquisto di energia da impianti rinnovabili a una base d’asta, e chi offre il prezzo più basso si aggiudica l’incentivo. Questi contratti a lungo termine garantiscono una stabilità di prezzo per i produttori e permettono loro di ottenere finanziamenti, poiché c’è certezza sui ricavi dell’energia prodotta.

Serve dunque una visione politica chiara: le rinnovabili non sono solo una leva per la decarbonizzazione, ma anche una risposta concreta al caro energia. Accelerare su questa transizione, sostenere l’autoproduzione energetica e sviluppare un mercato più equo e flessibile sono condizioni essenziali per rilanciare la competitività delle nostre imprese e migliorare il potere d’acquisto delle famiglie italiane.

∗ CEO di SENEC Italia

Visualizza commenti (1)
  1. un poco tecnico ma molto interessante questo articolo;

    aggiungo che quando il gas metano costa 40 €/MWh-termici,
    – centrale a metano a ciclo semplice (efficenza 40-43%) -> 90-100 €/MWh-elettrici
    – centrale a metano a ciclo combinato (efficenza 55-60%) -> 67-73 €/MWh-elettrici
    di spese di carburante, poi le centrali a metano hanno anche altri costi e il margine di guadagno

    si capisce che a fissare i prezzi orari maggiori, e anche le speculazioni aggiuntive serali a 130-200 €/MWh sono le centrali a ciclo semplice, chiamate quando quelle a ciclo combinato non bastano, oppure perché la variazione di energia fornita va fatta in fretta (le ciclo combinato sono più lente a variare la potenza);

    finché non avremo più accumuli a batterie e rinnovabili, la fornitura rapida di energia è un mercato così redditizio che se ho capito si usano non solo turbine a ciclo semplice a metano, ma anche grossi motori a quattro tempi a metano e forse persino a diesel o simili

    da altra fonte leggevo che al momento le centrali a metano entrano nel nostro mix e stabiliscono il prezzo orario del kwh in circa il 60% delle 8760 ore annue, quindi già aumentare rinnovabili e accumuli andrebbe ad abbassare questo valore e anche il prezzo medio del PUN

    nell’articolo mi piace anche la prima proposta, di modifica della borsa energia, cioè fissare un prezzo massimo ai ricavi delle fonti intra-marginali (in pratica quelle che essendo più economiche vengono chiamate a coprire i consumi prima di chiamare anche le centrali gas) e sono andato a cercare cosa era stato fatto nel 2022.. avevano messo un tetto di prezzo del kwh, che non valeva solo per le centrali a gas; era chiamato “price cap” ed era molto alto, 180 euro al MWh elettrico, non si era osato troppo.. centrali idroelettriche e quelle quote di altre rinnovabili che erano pagate a prezzo orario di mercato hanno comunque guadagnato molto..mentre le quote di fotovoltaico ed eolico che avevano dei contratti di pagamento del kwh a prezzo fisso pre-concordato ( statali CDF o privati PPA) non hanno speculato sui prezzi in quel periodo

    oggi fuori dai picchi delle crisi si potrebbe pensare a un tetto più basso;
    — il PUN orario italiano sta facendo media a circa 108 €/MWh
    — alle 13:00 può essere 20-60 €/MWh (solo rinnovabili)
    — alle 20:00 può essere 130-200 €/MWh (gas + rinnovabili)

    se ci fosse un “price cap” per le rinnovabili economiche pagate a prezzo di liberio mercato ( idroelettrico, e le qupte di fotovolatico ed eolico su terra non soggette a contratti CDF o PPA) diciamo a 100 €/MWh, questo interverrebbe giusto negli orari di picco dei prezzi del kwh, di primo mattino e di sera; la sera in particolare è la più cara, orario circa 19:00-21:00; se alla sera metà del carico elettrico è gestito dalle centrali a metano, e vien estabilito un prezzo orario di borsa mettiamo 180 €/MWh, le centrali a metano continuano a ricevere 180, mentre almeno sull’altrà metà pagheremmo 100, portando la media di quelle ore a 140 €/MWh

    tra sera e mattino, con un “price cap” sulle riinnovabili a 100 €/MWh-elettrici, forse si limerebbe un -10% sul PUN medio, oppure di più nei mesi in cui il metano superasse di nuovo i 40 €/MWh-termici

    credo non si potrebbe pensare a un price-cap più aggressivo di 100 €/MWh, perché si andrebbe a penalizzare troppo gli investitori delle rinnovabili che vendono energia a prezzo orario (che devono fare media tra le ore pagate 100 e quelle pagate 10) rispetto a quelli che vincono le aste die contartti a presso fisso (prezzo fisso 60-85 €/MWh)

    questo tutti in teoria, in pratica il governo non lo farà mai se non lo obblighiamo con qualche iniziativa visibile, se ho capito ci smenerebbero molto i gestori delle centrali idroelettiche (ENEL, EDISON. ed altri) che al momento stanno vendendo energia a prezzo orario (molto alto negli anni recenti grazie al gas), non a prezzo fisso

    un price cap o anche banalmente passare a contratti CDF a prezzo fisso, taglierebbe i guadagni soprattutto alle centrali idroelettriche, mentre il grosso della produzione energia da impianti fotovoltaici ed eolici in italia credo sia già sotto contratti a prezzo fisso, cioè già disaccoppieti dal prezzo del gas

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